Salvator Ruju
Nasce a Sassari il 6 maggio 1878 da Francesco e Teresa Mannu, in una famiglia di agricoltori. Studia giurisprudenza presso l’Università di Sassari, dove fonda e dirige insieme a Alfonsino Aroca, nel 1901, il settimanale goliardico “Il Burchiello” cui, da subito, collaborano Salvatore Scano, Nicola Pisano, Onorio Pisano, Sebastiano Satta, Salvatore Manconi e Antonio Ballero. Dopo aver conseguito la laurea in leggi si trasferisce a Roma dove si iscrive alla facoltà di lettere, contestualmente collabora con il giornale isolano “La Nuova Sardegna” per il quale scrive articoli di critica letteraria, di cronaca mondana nonché versi di matrice pascoliana e dannunziana. Inoltre pubblica novelle su riviste tra le più disparate (“La Riviera Ligure”, “La Patria”, “La Tribuna” ecc.). Nella capitale, grazie alla Deledda, frequenta gli ambienti letterari romani di quegli anni inserendovisi con successo. Stringe amicizia con Yosto Randaccio che lo introduce nel Circolo di filosofia e di lettere e soprattutto con il pubblicista, prosatore, critico nonché fine poeta simbolista, Guelfo Civinini che gli farà da guida nei menandri del giornalismo e lo introdurrà nel clima culturale che si respirava allora a Roma, un intreccio di positivismo, spiritualismo, socialismo e dannunzianesimo. Il suo esordio letterario è rappresentato da due raccolte di versi A Vent’anni (1898) e Palmira (1899). In occasione dell’inaugurazione, sul monte Ortobene di Nuoro, della statua del Redentore, dà alle stampe il poemetto Il canto di Ichnusa che verrà pubblicato anche su altri giornali nonché letto, con grande entusiasmo di pubblico, all’inaugurazione della società Elleno-Latina di Roma, retta da Angelo De Gubernatis, dal poeta crepuscolare Tito Marrone. È tra i fondatori della Società degli amici dell’arte, presieduta da Domenico Gnoli insieme a Ugo Fleres e a Luigi Pirandello. Consegue, nel 1908, a Catania, la seconda laurea in lettere con una tesi su Petrarca discutendola, tra gli altri, con Luigi Capuana. Due anni più tardi fa rientro a Sassari dove si sposa e contemporaneamente si dedica all’insegnamento dopo aver vinto i concorsi per l’Istituto Tecnico e per le Grandi Sedi.
Alla docenza affianca l’attività di giornalista. Collabora con numerose riviste e giornali: “Il Tempo” di Roma, “La Nuova Sardegna”, “L’Isola”, “Rivista Sarda”, “La Regione”, “Fontana viva” ecc.
Nel 1948 pubblica in volume l’Eroe cieco dedicato alle coraggiose imprese della Brigata Sassari. Collabora, inoltre, con diverse riviste e quotidiani locali, dà alle stampe novelle e poesie nonché i saggi: Le tendenze estetiche di Pietro Aretino (1909), L’antifemminismo di Francesco Petrarca (1909), Le rime spirituali di suor Maria Rosalia Merlo (1921). Contemporaneamente coltiva la sua passione per il sassarese. Infatti, con la collaborazione di Giosuè Muzzo, attende alla redazione, nel 1955, del Supplemento al dizionario italiano-sassarese. Scrive in lingua sassarese e con lo pseudonimo di Agniru Canu le raccolte di versi Agnireddu e Rusina (1956) e Sassari vèccia e nòba (1957) e in italiano Ore del mio giardino (1961) cui segue Memoria di un figlio (1963). Muore a Sassari il 21 giugno 1966.
Nel 1980, a Sassari, viene collocato, nella piazza a lui intitolata, un suo ritratto in bronzo dell’artista Gavino Tilocca.
Da autori sardi