Il nostro professore di Matematica Paolino Urgias, dopo il matrimonio contratto con una chiaramontese , si trasferì a Olbia dove visse e dove è passato ultranovantenne a miglior vita.
Oltre al ricordo degli studenti di Olbia abbiamo avuto la fortuna di rintracciare alcuni acquerelli su alcuni monumenti di Chiaramonti. In particolare preziosi sono quelli che ci hanno lasciato sia in paese sia ad Olbia presso i suoi due figlioli che ivi risiedono.
Riportiamo qui alcuni passa del libro scritto da Antonio Ledda sui Carmelitani in Sardegna
Antonio Ledda, Breve Storia dei Carmelitani, Stadium app, Muros 2007
Le prime tracce sicure della presenza dei Carmelitani in Sardegna risalgono ai primi anni del Cinquecento e precisamente al 26 maggio 1506 quando un ricco possidente, di nome Salvatore, del quale non si conosce altro offrì allo spagnolo padre Pietro Terrase, priore generale dell’ordine carmelitano di antica osservanza, la chiesa di san Pietro di Bosa e quella di santa Lucia di Trillu.
Il priore generale accettò l’offerta e incaricò lo spagnolo fra Silvestro di Stobel (nelle vesti di superiore) e altri tre religiosi della Catalogna, di recarsi in Sardegna per impiantarvi una nuova fondazione dell’ordine carmelitano, con facoltà di ricevere novizi e ammetterli alla professione.
Questi fissarono la propria dimora nei dintorni di Cagliari in un monastero in disuso, situato sul colle di sant’Elia, nelle vicinanze della Torre della Lucerna.
L’effettiva nascita e diffusione del Carmelo nell’isola coincise però con l’arrivo nel 1559 dei due carmelitani spagnoli padri Pietro e Felice, che in quella località fondarono il primo convento dell’ordine in Sardegna[1] (vedi nota 27 alla fine del VI cap.).
I sardi non si trovavano in condizioni molto felici, quando i due carmelitani arrivarono nell’isola: i barbareschi continuavano ad infestare le coste sarde, (e non solo le coste), contadini e pastori nonostante ricavassero tanto poco dalla loro terra da essere ai limiti della sussistenza, erano caricati di balzelli tanto dal governo spagnolo quanto dai feudatari sardi e spagnoli.
Il pericolo dei razziatori musulmani era sempre presente, ma divenne particolarmente incombente dopo il 1553 quando, con la caduta della rocca di Bonifacio (Corsica) in mano ai francesi, alleati dei turchi, questi ultimi poterono disporre di ottime basi per le razzie nella nostra isola.
Gli assalti s’intensificarono maggiormente in seguito alla sconfitta nel 1560 della flotta del viceré di Sicilia, duca di Medinacaele, da parte dell’armata di Dragut presso l’isola di Gerba: nello stesso anno fu saccheggiato il paese di Narbolia e poco tempo dopo nove galere turche assediarono la fortezza di Castellaragonese.
Nonostante la sconfitta subita dalla loro flotta nelle acque di Lepanto nel 1571 i mussulmani assaltarono il paese di Siniscola, mentre l’anno successivo trecento corsari tentarono l’assalto al paese di Villanova Monteleone, ma furono sconfitti dagli abitanti e dovettero fuggire dopo aver lasciato sul terreno più di cinquanta morti e numerosi prigionieri.
Sorte diversa toccò invece agli abitanti delle ville di Quartu, Quartucciu e Pirri che dovettero subire il saccheggio.
Nel Seicento la costruzione delle torri costiere fece diminuire il numero delle incursioni, ma non lo eliminò del tutto.
Nonostante il pericolo dei pirati che incombeva continuamente, soprattutto nelle zone costiere, i padri carmelitani Pietro e Felice animarono ancora di più la festa di sant’Elia che ogni anno il 16 luglio riempiva di fedeli l’intero promontorio.
Questi fedeli partivano con carriaggi, cavalcature e a piedi dai loro paesi fin dalle prime ore della notte precedente, (iniziando una tradizione che sarebbe durata in molti centri sardi fin quasi ai nostri giorni), per partecipare alle prime funzioni religiose che si celebravano in chiesa fin dalle prime luci dell’alba e che continuavano durante il giorno con solenni processioni.
La vicinanza del mare però rappresentava un pericolo, dovuto alle scorrerie dei barbareschi che con veloci incursioni continuavano ad assalire gli abitanti delle zone costiere e potevano profittare dell’annuale ricorrenza festiva in cui si concentrava un gran numero di persone.
I mussulmani erano informati sulla data di queste feste da rinnegati sardi che, dopo essere stati fatti prigionieri e venduti nel Nord Africa, avevano cercato nell’apostasia una via di scampo alle proprie sofferenze, mentre altri erano stati spinti dal desiderio di conseguire prestigio, onori e ricchezze che mai avrebbero potuto ottenere nella società d’origine.
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