C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare.
Siamo stati in silenzio nei momenti della morte di un essere umano, del dolore dei suoi familiari per la perdita, della preghiera di suffragio con il pietoso rito delle esequie. È un silenzio dettato dall’umana pietà, da un sentimento di fraternità e di comunione che non dobbiamo mai smarrire verso nessuno, perché rischieremmo così di cancellare il rispetto per l’umanità in quanto tale e perdere la nostra stessa anima.
Viene però pure il tempo di parlare. E qui vorremmo perciò svolgere qualche riflessione. Non tanto su Berlusconi, anche se da quello che – in alcuni ambiti – Berlusconi ha storicamente rappresentato si dovrà pur partire.
Nell’impossibilità di un discorso complessivo e a tutto tondo, lascerò da parte la considerazione del Berlusconi imprenditore (e della conseguente questione della sua correttezza, onestà, legalità, nonché dei suoi vari legami con ambienti “particolari”) e non parlerò neppure del Berlusconismo politico, che indubbiamente ha inciso profondamente nella storia italiana (si potrà non indebitamente parlare di “età berlusconiana” come si è parlato di “età crispina”) e che – per dirla sinteticamente – si è rivelato soprattutto, se non unicamente, una protesi efficace ed efficiente dei suoi affari, funzionale alla difesa e all’espansione del suo impero economico.
Mi vorrei concentrare, invece, su un piano di “antropologia culturale”: per quel che attiene, cioè, la lenta formazione di modelli comportamentali, mentalità sedimentate, paradigmi culturali di massa; la costruzione dell’immaginario collettivo, della sua dimensione morale, delle sue aspirazioni emergenti; la diffusione di simboli condivisi; la colonizzazione delle coscienze e dei sentimenti. Mi riferirò, dunque, alla “Berlusconizzazione antropologica” vista sia come volto nazionale della globalizzazione neoliberale degli ultimi decenni (tra XX e XXI secolo) sia come alveo collettore di vizi “arci-italiani” di lungo periodo e perciò come autobiografia tossica della nazione. Ma, anche per quest’ambito, lascerò da parte, per quanto possibile, gli aspetti sociali e civili e mi limiterò agli aspetti “religiosi”, quelli cioè che indubbiamente caratterizzano la Berlusconizzazione, sul piano storico, come il più potente ed efficace agente di scristianizzazione della società italiana.