Il romanzo di Tunström sugli anni nascosti della vita di Gesù di Lucetta Scaraffia
Lettera dal deserto
Cosa ha fatto Gesù nei primi trent’anni della sua vita? Come si è svolta la fase nascosta dell’esistenza terrena del Figlio di Dio? Era consapevole fin dall’inizio della sua natura speciale? Sono domande che sorgono spontaneamente nei lettori dei Vangeli, e in molti modi si è cercato di rispondervi.
Ci prova anche Göran Tunström, scrittore svedese morto nel 2000, con un bel libro tradotto ora da Iperborea, Lettera dal deserto. Nella narrazione, Gesù non sa chi è. Lo capiscono prima gli altri, che vedendolo intuiscono in lui una natura speciale. Come Maria, che qui, a differenza di tanta altra narrativa, non è una madre affettuosissima, ma una donna intimidita dal figlio, che non osa neppure toccare, mentre Giuseppe, che forse capisce meno, riesce meglio nel ruolo tradizionale di padre, che trasmette il mestiere di falegname. O Elisabetta e Zaccaria, che lo circondano di affetto speciale, suscitando la gelosia e insieme l’ammirazione di Giovanni, il loro figlio. O i sacerdoti con cui parla dodicenne nel Tempio, e che gli offrono di studiare nel grande monastero di Qumran appena avrà raggiunto un’età adatta. Ma ci sono anche riconoscimenti negativi, accecati dall’invidia, come quello di Jochanan, figlio negletto di un sacerdote del Tempio, che lo denuncerà ai soldati romani per l’amicizia con un compagno di studi di Qumran, lo zelota Tobia. E questo suscita una così violenta ostilità da mettere in pericolo la sua vita.
Ma il personaggio chiave di questo processo di riconoscimento è senza dubbio Giovanni, che fa da specchio alla vicenda di Gesù in un rapporto che, nato nell’infanzia, durerà fino alla maturità dei trent’anni e segnerà la vita di entrambi. Giovanni, torturato dal bisogno di purificazione, severo predicatore dei castighi celesti, comprende con infinito stupore che il cugino Gesù, fin da bambino, è abitato da una insolita capacità di sentire il legame profondo che unisce tutto il creato, e di amare animali e piante, vento e pioggia. Ma soprattutto di amare concretamente ogni essere umano con cui entra in rapporto, per salvare il quale è disposto a rimettere in questione tutti i suoi progetti. Come quando la sua vita subisce una svolta imprevista per curare il bambino minorato e malato che i genitori abbandonano nelle sue braccia, a causa del quale non ricuserà neppure l’ospitalità di un potente dominatore romano. Uno di quei romani che riconosceva come oppressori del suo popolo, tanto da essersi avvicinato, per un momento, ai bellicosi zeloti.
Tunström descrive lo sguardo di Gesù sul mondo con parole molto simili a quelle usate da Benedetto XVI nell’omelia della domenica delle Palme, “uno sguardo sapiente e amorevole, capace di cogliere la bellezza del mondo e di compatirne la fragilità”.
In questi anni di maturazione Gesù impara a conoscere il mondo, incontra e riconosce subito come falso un aspirante messia, che però rivela il profondo desiderio del Messia nascosto nell’anima del suo popolo. Comincia a capire la forza eversiva del messaggio che è venuto a portare: “Era crudele predicare la libertà. Che cosa se ne sarebbero fatti Maria e Giuseppe? Lo stesso Giovanni, l’avrebbe voluta? Sarebbe stato crudele assegnare loro quel pesante lavoro che era la libertà, perché avrebbe richiesto una totale assunzione di responsabilità”. Solo nel deserto Gesù trova il silenzio e la pace capaci di fargli comprendere la via: “Nel cuore del silenzio tutti gli ostacoli scompaiono: solo lì è possibile tracciare il cammino, un cammino diritto. Che va diritto alla morte”. E dopo il deserto sarà di nuovo Giovanni che, riconoscendolo infine come Messia, l’introduce alla missione di redenzione che ormai Gesù ha compreso a sua volta e ha deciso di accettare.
(©L’Osservatore Romano 5 aprile 2012)