Storia di una parrocchia di Angelino Tedde
( F. Cossu, Arzachena di Santa Maria della neve,1856-2006, Roma 2007 pp.384 )
La nuova storia, iniziata negli anni Trenta del Novecento in Francia, con la rivista Annales, pubblicata a Parigi nel 1929, ebbe il merito di allargare l’orizzonte nel lavoro di ricostruzione degli avvenimenti da parte degli storici. Nell’ambito degli studi del passato essi avevano privilegiato la ricostruzione dei grandi avvenimenti, mirando ad illustrare i grandi protagonisti. Vi era in questi studiosi, che per comodità chiameremo vecchi storici, anche l’intento di dare un’identità storica alle nazioni e ai continenti: si pensi alla storia della Francia, dell’Inghilterra, della Spagna e, infine, dell’Italia, ma anche alla storia del continente europeo in epoca moderna (1492- 1789). Imperatori, re e principi; papi, vescovi e riformatori; guerre, trattati e alleanze, riforme religiose, rivoluzioni: pensate alla rivoluzione inglese, seguita da quella americana e dalla rivoluzione francese, e ultima per l’occidente, alla rivoluzione russa, tutti questi avvenimenti costituiscono i punti forza della cosiddetta grande e vecchia storia.
Gli storici, è noto, devono tener presente le coordinate spazio-tempo, i fatti avvengono in un determinato territorio e in un determinato periodo, ma tutti gli storici, in modo consapevole o inconsapevole tengono conto anche della loro ideologia: si pensi alla storia risorgimentale italiana tutta tesa ad illustrare la nazione che inesorabilmente tende all’Unità, alla laicità, a liberarsi del retaggio dell’alleanza fra Trono ed Altare dell’epoca moderna, a mirare, per dirla con Cavour, a costruire uno stato in cui possano convivere in modo equilibrato liberamente lo Stato e la Chiesa nei propri ambiti. Un equilibrio difficile perché i due poteri, quello religioso e quello civile, si rivolgono ai fedeli e ai cittadini della stessa nazione.
In ciascuno di noi convive il cittadino accanto al credente. Sorvoliamo sul fatto se il cittadino e il credente siano ossequiosi all’una e all’altra autorità. Il nostro individualismo ci porta spesso a contestare le autorità civili come quelle religiose, ma ad entrambe dobbiamo obbedire se vogliamo essere cittadini onesti e credenti genuini.
Questa produzione storica, diciamo quella vecchia e quella nuova, solitamente è detta storiografia di orientamento laico, di orientamento cattolico, di orientamento marxista. Si assume il compito di ricostruire non solo i grandi avvenimenti in un determinato territorio (coordinate spazio temporali), ma anche il punto di vista dello storico, il giudizio dell’io narrante, il giudizio del ricostruttore delle vicende storiche o se volete del fabbricante della storia vale a dire l’ideologia dello storico.
Con queste tre coordinate deve per forza di cose procedere lo storico per la ricostruzione dei fatti nel tempo e nello spazio. Il progresso della scienza e della tecnica, lo sviluppo di molteplici ideologie o visioni del mondo hanno indubbiamente influenzato le sue indagini, hanno offerto l’ausilio di nuove discipline ancelle come la sociologia, l’antropologia culturale, la psicologia, la pedagogia intesa come studio dei processi educativi e formativi, la stessa medicina e numerose altre scienze. Grazie a tutto ciò gli storici di Annales hanno posto le basi per la ricostruzione della storia non solo di Napoleone, ma anche dei suoi soldati. La storia non solo dei papi, ma anche del popolo di Dio. La storia non solo dei potenti, ma anche degli umili. Diciamo pure, semplificando, che la storia da aristocratica si è fatta democratica, per cui dalle nebbie in cui le avevano collocate gli storiografi sono emerse le folle degli umili, delle comunità di ogni tempo, la storia delle nobildonne, ma anche quella delle serve. La storia dei padroni, ma anche quella dei servi. La storia degli uomini, ma anche quella delle donne. La storia degli industriali, ma anche quella degli operai.
Accanto alla macrostoria è nata quindi anche la microstoria.
I nuovi storici non si sono accontentati però solo di queste scelte. Essi hanno voluto ricostruire, ciascuno secondo il proprio punto di vista, la totalità dell’uomo, in salute e in malattia, in amore e in odio, in allegria e in tristezza, in fervore e tiepidezza, in virtù e in devianza. Il nuovo storico è arrivato a scandagliare anche il momento della nascita e della morte: egli ha voluto ricostruire i più delicati sentimenti dell’amore , cioè la storia dei sentimenti familiari, dell’amore sponsale, dell’amore filiale e di quello genitoriale, dell’amore parentelare e di quello amicale, della stessa storia dell’amore verso verso Dio. La storia della pratica religiosa, degli stessi inspiegabili avvenimenti miracolosi e delle stesse figure carismatiche.
I nuovi storici cercano quindi di ricostruire la storia di tutti gli uomini con piglio democratico e nella sua totalità visibile come il suo corpo, ma anche invisibile come i suoi affetti e i suoi pensieri.
In quest’ottica rientra il tentativo d’indagine multidisciplinare di don Francesco Cossu, parroco di Arzachena dal 1977, che nel suo ardente zelo pastorale, nella sua visione cristiana della vita, ha cercato di tracciare un ampio affresco, costituito da vari riquadri: le opere e i giorni dei protagonisti del suo territorio parrocchiale, cogliendoli nel ciclo della vita, nel giro del sole, nel ciclo del tempo liturgico, nel cammino verso il progresso, ma anche verso il degrado dello spirito, nella genuinità delle loro tradizioni agro-pastorali, ma anche nell’assunzione di modelli di vita effimeri.
In tutto il libro si avverte la sua ansia pastorale, ansia quasi ossessiva, che sottintende le domande: quanti abitanti di Arzachena cercano di vivere un’esistenza armoniosa tra valori materiali e spirituali ? Quanti vivono in armonia con la loro fede predisponendosi a godere un giorno della felicità senza fine?
Sospinto da queste ansie egli cerca di tracciare il cammino percorso dalla comunità, dall’epoca della vita del pastore errante alla ricerca di pascoli, a quella stanziale contadina intorno alla chiesa-scuola di Santa Maria della Neve, dalla istituzione del comune con il graduale sviluppo economico nel settore agrico-pastorale, artigiano e dei servizi all’avvento del boom turistico.
Arzachena di Santa Maria della Neve ha un’innegabile ascendenza religiosa e civile. Si trattò di un’azione concorde, del governo subalpino liberaldemocratico del regno di Sardegna unificato, retto in quegli anni dal giovane Camillo Benso Conte di Cavour, e della chiesa di Tempio Ampurias, allora retta dal Vicario Capitolare Generale, mons. Tomaso Muzzetto.
Un avvio umile, dimesso, ai limiti della sussistenza che ha visto le sue brughiere di lentisco e cisto, sagomate dal vento, avare di pascoli ubertosi, trasformarsi in ridenti elitarie località turistiche, produttrici di ricchezza e di benessere, dove oggi, adulti e giovani arzachenesi, quasi ammaliati dai nuovi modelli di vita, fastosa e fatua dei protagonisti transumanti delle estati smeraldine, come i compagni di Ulisse rapiti dal canto delle Sirene, vengono attratti da valori effimeri, rischiano di dimenticare le loro radici, quasi figli alla deriva, e anime che vanno a perdersi, se Santa Maria della Neve, dalla quale traggono origine, non interviene richiamandoli e additando loro l’autentica via della salvezza che è poi un progetto di vita che sappia mantenere saldi i valori degli antenati pur apprendosi alle inevitabili occasioni della crescita economica.
In questa analisi storica, a tratti antropologico-culturale e sociologica, si avverte l’ansia del pastore d’anime che teme la rovina del suo gregge e punta a richiamarlo alla sua identità storico-cristiana, alla sua identità socio-economica storica, alle sue radici antropologico-culturali, vale a dire ai suoi valori di laboriosità, di coesione familiare, di forte legame parentelare, di grande cordialità amicale, di fervida religiosità, di rettitudine civica, di coesione comunitaria.
I titoli delle varie parti del suo ampio studio sono espliciti: i segni della storia nel territorio di Arzachena, la lenta e graduale costituzione del centro rurale intorno al campanile, la costruzione delle chiese ai santi protettori in tutto il territorio, l’istituzione della parrocchia e della scuola popolare con il campo sperimentale agrario prima presso la parrocchia e poi presso il comune che sancisce il diritto all’alfabeto e alla tecnica agraria per le nuove generazioni. La società pastorale che tende a farsi contadina e stanziale, il ciclo della vita segnato nei quinque libri parrocchiali, il diritto all’infanzia con l’istituzione dell’asilo infantile, l’educazione alle buone maniere e alle competenze femminili per le adolescenti e le giovinette nell’educandato dello stesso asilo diretto dalla Figlie della carità prima e poi da latra congregazione religiosa, l’inculturazione cristiana attraverso le associazioni cattoliche, le visite pastorali dei vescovi, le istituzioni che si consolidano e si rinnovano, la comunità che si fa società civile, l’economia che sviluppa le sue potenzialità, i documenti quasi notarili del sorgere della comunità di Arzachena, il museo dell’anima quasi a rammentare che al di là del corpo c’è lo spirito. A questi si aggiungano gli sguardi fotografici su monumenti, personaggi, comunità.
Queste parti segnano quasi le mete del cammino dell’apostolo che va visitando il suo territorio, a piedi, appoggiandosi al bastone e tenendo in mano il vincastro come un aspersorio per esorcizzarlo dalle incursioni sataniche. Egli si ferma a contemplare i resti antichissimi della protostoria, quasi a meditare sull’inesorabile corsa del tempo, su una società arcaico-aristocratica che ha voluto lasciarci le tombe dei giganti, su quella delle ville medioevali nei ruderi dei villaggi e delle chiese, dell’epoca moderna coi segni delle ferite inferte dalle varie potenze dominatrici e, quasi alla fine di quell’epoca la parrocchia come segno della rinascita e del richiamo di un popolo disperso a ricongiungersi intorno al tempio della sua materna protettrice Santa Maria della Neve, punto di attrazione, chiaro invito alla convivenza civile, alla conquista dell’alfabeto e dell’agricoltura, al diritto del popolo disperso a divenire comunità civile e cristiana.
Dopo questo pellegrinaggio sui luoghi segnati dalla storia ecco il luogo prescelto nell’anno del Signore 1856 per meditare sulla storia di una frazione prima, di una borgata poi, di una comunità che si fa adulta nell’autonomia locale sviluppando la sua autonomia.
L’anno 1856 segna l’inizio di questo cammino, la chiesa viene ristrutturata e si aggiunge la canonica: una porta che resterà aperta per chiunque voglia riversare le sue pene nel cuore del pastore inviato per annunciare la parola di Dio, per assolvere e perdonare le colpe, per confortare nel dolore e condividere le gioie durante l’intero giro del sole, fra le opere e i giorni di un popolo che pareva gregge disperso, che ha scoperto la fede e cerca di costruire le sue dimore attorno al campanile.
Nei libri parrocchiali si fanno più frequenti le annotazioni delle nascite, delle cresime, dei matrimoni, delle sepolture. Il parroco spesso funge anche da ufficiale di stato civile, orienta e guida il suo gregge, permette ai fanciulli in età scolare di conseguire il diritto all’alfabeto in armonia con i rappresentanti governativi che sembrano prendere a cuore questi territorio vasto e lontano dai centri abitati.
Le chiese si rianimano, si organizzano intorno ad esse le feste religiose e civili, si socializza, si combinano affari e spesso nascono gli amori dei giovani che daranno vita a nuove famiglie, a nuovi figli, ad una nuova società.
Grazie ai matrimoni si verificano nuovi arrivi dai paesi della Gallura e della Sardegna, dalle regioni dirimpettaie del Continente, tutta la Gallura marina e delle isole procede con un lusinghiero incremento demografico e, mentre in Europa nel morente Ottocento si organizzano esposizioni universali e nel triangolo industriale dell’Italia settentrionale nascono le industrie, Arzachena assume sempre più i connotati di una comunità che aspira all’autonomia, che vuole liberarsi dal giogo burocratico di un comune, Tempio, che appare lontano e poco empatico ai problemi di una borgata che vuole decidere sul suo futuro.
Il Novecento, col generale progresso economico dell’Italia giolittiana, tocca anche la comunità di Arzachena che ormai vive non solo di pastorizia, ma anche di agricoltura; che beneficia delle migliorate vie di comunicazione, che vende i suoi prodotti e ne acquista degli altri, che va crescendo con ritmo sostenuto: Arzachena, all’epoca, cresce con tutt l’Italia.
La prima guerra mondiale vede partire gli uomini verso il fronte, molti non ritorneranno, ma non saranno dimenticati: la comunità paga il suo tributo per la patria italiana; altri partiranno verso le regioni europee più accoglienti, altri attraverseranno l’Atlantico raggiungendo le Americhe.
Ai primi del Novecento Arzachena avrà i suoi primi maestri, i suoi piccoli e coraggiosi intellettuali che agiteranno il desiderio dell’autonomia da Tempio, così agli inizi del Ventennio, col declino della democrazia, gli orientamenti di controllo dello Stato combaceranno con l’ardente desiderio di autonomia della borgata che nel 1922 diventa finalmente Comune.
I piccoli padri della comunità, pur nella mortificazione dei limiti imposti alla libertà, iniziano a progettare un futuro urbano costruendo la casa comunale, la scuola: il ciclo della vita e quella del tempo oltre che intorno al campanile si svolge intorno al municipio con i suoi riti, i suoi servizi, le sue adunate di uomini e donne, di giovani e di giovinette. Podestà e parroco guidano la comunità, ognuno operando nel proprio ambito, fino alla caduta del Fascismo.
Nel secondo dopoguerra la cittadina cresce in popolazione e in agglomerato urbano. Le associazioni cattoliche favoriscono la nascita della struttura per l’infanzia, l’asilo San Vincenzo; le adolescenti e le giovinette nell’educandato dell’asilo apprendono a ricamare, a cucire, a utilizzare le macchine per la maglieria, a cantare, a fare teatro ad apprendere le doti delle buone madri di famiglia. Le Figlie della Carità dell’asilo, ricche dell’esperienza degli altri centri dell’isola, in parte continentali e in parte sarde, imprimono nella gioventù femminile i modelli della buona e operosa madre di famiglia. Il parroco non è più il solo motore del progresso di Arzachena, dell’educazione civile e cristiana. L’educazione si fa policentrica: il comune con i vari partiti politici promuove lo sviluppo democratico, la scuola con l’opera illuminata dei maestri offre a tutti l’opportunità dell’alfabeto, le associazioni di categoria, i sindacati dei pastori e dei contadini sollecitano negli aderenti la crescita dei diritti nel lavoro: è tutto un movimento che porta verso una vita pienamente civile.
Tutti vogliono il riscatto dell’uomo, cattolici, laici e marxisti, nell’immediato dopoguerra; tutti vorrebbero essere alla guida della comunità per dare un’indelebile impronta del riscatto del lavoro dell’uomo: la vittoria arride all’occidente, al modello americano di democrazia, ma anche i perdenti vigilano nelle opposizioni democratiche, nelle loro sezioni e tutti offrono inculturazione ai propri aderenti, pare che gli avversari non possano abbracciarsi, ha inizio un periodo di infinita dialettica, di divisione degli animi, di malsopiti rancori.
La comunità si divide nella visione della vita, ma il ciclo della vita attorno a Santa Maria della Neve continua, anche i marxisti battezzano i loro figli, si sposano in chiesa: la scuola, il catechismo, la messa domenicale, la parrocchia non si chiude per nessuno, ma rimane aperta a tutti, ai credenti e ai non credenti, ai piccoli e ai grandi, ai giovani e agli anziani.
Nei morenti anni Cinquanta, ma soprattutto nei primi anni Sessanta del Novecento, l’Aga Khan, scovolge i progetti di tutti trasformando, il paesaggio sterile e selvaggio, in un oasi di svago e divertimento per le élites internazionali. Una nuova era si apre per Arzachena, tutti i progetti e tutte le pastorali si scompigliano, il nuovo status sociale incide su uomini e cose. Servono nuove sfide civili e religiose per dare armonia anche al benessere economico e soprattutto a risolverne le sue contraddizioni. Il parroco, anzi i parroci, osservano, continuando a ripetere i gesti di sempre, segnando con la croce di Cristo, col crisma, con l’acqua benedetta i neonati, gli sposi, gli adolescenti, i morti. C’è un distacco quasi traumatico tra passato e presente, tra le vecchie e le nuove generazioni, il ritmo dell’esistenza è cambiato, scompaginando quasi il lento ciclo della vita; il ciclo del tempo è stato quasi spezzato, anche se procede egualmente in modo inesorabile il giro del sole; continua il ciclo del tempo liturgico anche senza la partecipazione di tutta la comunità che pare abbia perso la coesione di un tempo nella connotazione dei suoi quartieri di benestanti, di meno agiati e di disagiati.
La Chiesa di Santa Maria della Neve, nella sua duplice presenza, di povertà antica e di fasto presente, è lì a simboleggiare la presenza della Vergine dalla quale la comunità è sorta e alla quale deve guardare se vuole salvare la propria identità storico-cristiana evitando di perdersi nell’effimero di valori passeggeri che creano disarmonia spirituale e intellettuale.
Il Concilio Vaticano II offre al parroco e ai cattolici l’opportunità del rinnovamento, dell’invenzione di nuovi approcci alla fede e di nuove sorgenti per alimentarla.
“Si salveranno gli abitanti di Arzachena nella vita eterna?”
L’infaticabile zelante parroco sembra lasciare spazio alla speranza.
Questo il contenuto del suo libro, luogo della memoria, dell’identità materiale e spirituale, storica e attuale che ogni arzachenese può ritrovare per sapere chi è davvero.
Un grande psichiatra ha scritto che ognuno di noi costruisce la propria identità richiamandosi alle ascendenze parentali, alla cerchia parentelare, a quella amicale, al suo paese di nascita, al periodo in cui vive, al suo credo religioso alla sua vita civile. A questo incredibile fascio di relazioni affida l’equilibrio psichico. Tutto questo gli fa capire da dove viene, chi è, dove vive, quali riferimenti civili e religiosi avverte. Smarrire questi riferimenti identitari, vuol dire rischiare la follia, condurre una vita di depressione o di vana euforia, significa correre nei luoghi e nel tempo come il vecchio folle della pessimistica lirica leopardiana, che dopo affannosa corsa precipitando nel vuoto il tutto oblia.
Chi dimentica i suoi avi, il suo territorio, i suoi parenti ed amici, la casa del Signore, la casa comunale, i suoi compaesani e va alla ricerca di modelli estranei alla sua storia alle sue radici rischia di finire come l’uomo colpito dal morbo di Alzheimer che una mattina svegliandosi chiede: dove sono, chi sei tu che mi circondi, come mi chiamo, che cosa sono questi oggetti che mi circondano?
Gli studi come quelli di don Francesco Cossu servono a rafforzare l’identità degli arzachenesi, a conferire loro equilibrio fisico e mentale, materiale e spirituale, a favorire insomma il loro benessere temporale ed eterno sotto lo sguardo vigile di Santa Maria della Neve, della Vergine Immacolata più della neve, della Madre della Comunità di Arzachena.