“Il suicidio fra gli anziani” di Angelo Mauro
Introduzione
Il suicidio è tema di numerosissimi lavori. La letteratura esistente, a riguardo,è prolifera ed ampia,anche se di certo l’interesse maturato per il suicidio dell’anziano, a giudicare, perlomeno dalla quantità dei lavori, è sicuramente minore di quello rivolto ad altri gruppi di età.
Gli studi sulle condotte suicidarie, però, non sono giunti ancora ad una adeguata sistematizzazione e conclusione, né per quanto riguarda il comportamento suicidario negli adulti e negli adolescenti, né tantomeno per l’anziano. Le variabili implicate nelle condotte suicidarie, infatti, sono numerose e complesse, sia quelle causali del fenomeno, sia quelle che riguardano la sua prevenzione e trattamento.
Gli anziani detengono purtroppo un triste primato, il suicidio, infatti, è molto più frequente in questo gruppo di età. Il problema acquista proporzioni rilevanti, in quanto si stima che, nell’anno 2000, in Italia, ci saranno 14 milioni di persone oltre i sessantacinque anni. Il suicidio nell’anziano, quindi, è destinato ad aumentare nei prossimi anni, nel nostro paese, senza che si abbiano le necessarie conoscenze, strutture e preparazione per arginare il fenomeno. Il presente lavoro vuole essere, quindi, spunto di riflessione e discussione sul comportamento suicidario nell’anziano, sia per l’attualità di questo fenomeno, destinato ad incrementarsi, sia per il minore interesse che verso questo gruppo di età si è avuto a riguardo.
Si inizierà individuando delle differenze all’interno della categoria dei comportamenti autolesivi, in quanto requisito essenziale per orientarsi nello studio di questo fenomeno. Il primo capitolo proseguirà con l’indagine dei
significati religiosi, sociali e psicologici del suicidio nell’anziano, per terminare con i contributi psicodinamici.
L’epidemioloogia delle condotte suicidarie nel’anziano, la rilevanza della sottostima del fenomeno e le caratteristiche del suicidio in tarda età, costituiscono la seconda parte di questo lavoro. In questa parte sono riportati gli ultimi dati disponibili, per quanto riguarda l’incidenza suicidaria negli anziani, vi sono riportate le varie fonti da cui si attingono e i loro pregi e difetti. La sottostima del fenomeno riguarda la non completa attendibilità delle fonti ufficiali dei tassi suicidari, dimostrata da alcuni lavori e particolarmente presente negli anziani. Le caratteristiche del comportamento suicidario negli anziani tratta dei mezzi usati per attuare il suicidio, dell’intenzionalità e di altre peculiarità che lo distinguono da quello di altri gruppi.
Nella terza parte si è cercato di individuare, tramite la letteratura esistente le variabili maggiormente associate al comportamento suicidario nell’anziano. L’individuazione di queste variabili permette, da una parte, di evitare le difficoltà di integrazione teorica fra le varie prospettive e, dall’altra, di considerare più fattori, contenuti prima isolatamente nei diversi approcci teorici.
Seguirà la valutazione del rischio suicidario che comprende la conduzione dei colloqui, gli elementi da considerare e i test e i questionari che si possono usare per effettuarla.
La prevenzione e trattamento costituiscono l’ultima parte del lavoro, in cui si cerca di definirla concettualmente, di dare suggerimenti e di riportare e analizzare i lavori effettuati in questo ambito.
Una volta terminate le analisi e le argomentazioni, approfondite in parte, vista la gran mole degli scritti, spero di aver compiuto un lavoro che possa destare, o perlomeno sollevare discussioni e attenzioni sul problema del suicidio negli anziani. Le cause, infatti, di questa enorme incidenza del fenomeno sono dovute, forse anche, a mio parere, alla nostra disattenzione verso questa fascia d’età, che al contrario avrebbe bisogno di maggiore comprensione.
CAPITOLO I
Caratteristiche generali
1,1 Definizione del suicidio
Un’analisi dei comportamenti autolesivi, ci conduce ad individuare delle differenze, all’interno di questa categoria di fenomeni. Esistono, infatti, dei comportamenti autolesivi, che non conducono alla morte,nonostante la serietà di intenti e anche delle azioni che simulano un’intenzionalità suicida.
I comportamenti autolesivi possono essere, quindi, suddivisi in suicidi, suicidi mancati e parasuicidi.
Le caratteristiche del suicidio sono l’intenzionalità di darsi la morte e la riuscita del suo intento. La distinzione tra suicidio mancato e parasuicidio, è stata introdotta da Kreitman e Philip, infatti una loro distinzione prima non era attuata e venivano raggruppati sotto la definizione di tentati suicidi entrambi i termini.
Il suicidio mancato assume le caratteristiche proprie della intenzionalità del suicidio anche se non si ha come conseguenza la morte, in quanto intervengono degli eventi fuori dalla consapevolezza e dal controllo del soggetto che la impediscono,come per esempio, l’intervento di altre persone .
Il parasuicidio, invece, diventa sinonimo di una richiesta d’aiuto, rivolta all’ambiente sociale del parasuicida, affinché intervengano delle condizioni a lui pù favorevoli, senza che, però, si abbia intenzionalità di uccidersi.
Le distinzioni fatte tra suicidio, suicidio mancato e parasuicidio,sono concettualmente perfette. Purtroppo, considerando la realtà pratica, queste distinzioni si rendono incerte e difficili. Infatti, non possiamo dire con certezza che, un individuo, che si getta in mare e viene salvato da terzi, avesse intenzione di darsi la morte, o che sia, invece, un parasuicida. D’altra parte, anche in alcuni tipi di morte è difficilissimo individuare l’intenzionalità suicida, come, per esempio, casi di overdose. Si è cercato, allora, di identificare dei criteri che consentono migliori definizioni, che sono, secondo Weisman e Worden: intenzionalità dell’atto, esecuzione materiale e possibilità di intervento esterno.
L’intenzionalità dell’atto è la variabile più significativa, ma questa, è essa stessa difficilmente quantificabile e varia, quindi, a seconda dell’operatore che la esamina e dalla sua esperienza.
Anche l’esecuzione materiale dell’atto e la possibilità di intervento esterno, a loro volta, possono esserci utili. Infatti, una precipitazione da un’altezza considerevole, in un luogo isolato, indica una serietà di intenti suicidari, mentre, un taglio di polsi, in presenza di altre persone, che potrebbero intervenire ci indirizza verso un parasuicidio.
Nonostante l’uso di questi criteri, comunque, frequentemente, non è possibile riuscire a fare delle distinzioni tra suicidi mancati e parasuicidi, e fra suicidi e alcuni tipi di morte. La stessa intenzionalità dell’atto suicidario è frequentemente ambivalente, che attuano comportamenti autolesivi,spesso, vogliono sia morire che vivere. La distinzione, poi, tra suicidio mancato e parasuicidio è, da un punto di vista operativo, molto limitata. Infatti, i dati a disposizione mostrano come non esistano tentati suicidi che si possano considerare solo richieste d’aiuto, ma solo che alcuni tentati suicidio possano essere considerati prevalentemente comunicativi, meritando, così, sempre attenzione per un intervento adeguato e non misconoscendo l’intenzionalità suicida, che potrebbe portare a cocenti delusioni.
D’altra parte, la definizione del gesto autolesivo, è di estrema importanza, in quanto costituisce la base da cui partire per studiare il fenomeno. Infatti la comunicazione tra studiosi del campo, sulle ricerche sperimentali e sulle considerazioni cliniche, è essa stessa minata nelle sue fondamenta, in quanto, si rischia di non parlare dello stesso fenomeno, rendendo i paragoni inefficaci.
La difficoltà a identificare e definire il comportamento suicidario, è immediatamente visibile dalla stima del fenomeno dalle fonti ufficiali in Italia. I dati sul suicidio nel nostro paese, vengono forniti dall’ISTAT, il quale divulga due tipi di dati: le statistiche sanitarie e le statistiche giudiziarie penali. Le due fonti, differiscono tra loro per i caratteri presi in considerazione e per i criteri di classificazione, divulgando, così, cifre diverse sui suicidi e i tentativi di suicidio.
Nonostante le difficoltà e i limiti delle definizioni del comportamento suicidario, la classificazione di suicidi, parasuicidi e suicidi mancati, è utilissima, in quanto ci consente di associare maggiormente alcune variabili ad altre.
Il tentato suicidio, per esempio, negli adolescenti è molto frequente, per poi diventare la sua incidenza bassissima negli anziani e aumentare di gran lunga il suicidio. Nella realtà operativa questo si traduce nella possibilità di orientare,nella maniera migliore, le nostre scelte, rendendo le, se pur incerte, definizioni di suicidio, suicidio mancato e parasuicidio utilissime.
1.2 Il suicidio in differenti societa’ e prospettive
L’argomento suicidio, sia in passato che ai giorni nostri, è tema di difficilissima discussione, proprio per la sua natura. Il suicidio, infatti, non può essere considerato alla stessa stregua di patologie come la depressione, in quanto, considerarlo come un sintomo, non porterebbe assolutamente a niente. Gli interventi possono essere attuati preventivamente, quando possibile, o al massimo dopo un tentativo di suicidio e bisogna, quindi, intervenire nei suoi antecedenti, che sia un fenomeno razionale o patologico e poi, ancora, un’altra cosa.
Il suicidio, infatti, non può essere considerato solo “patologico” o solo razionale, le sue cause non possono essere univoche e sempre uguali, ma, a seconda delle società, delle situazioni e degli individui, da cui viene attuato, acquista significati differenti. I tentativi di collocarlo all’interno di un solo orientamento, come, per esempio quello sociale, falliscono puntualmente. La multidimensionalità del fenomeno e la sua varietà di significati, è immediatamente visibile se indaghiamo il suicidio in diverse società e secondo differenti orientamenti.
Il suicidio nell’anziano, per esempio, nelle società di nomadi e cacciatori, era approvato (SIMONS L. H., 1970).
In queste società, l’abilità fisica, la forza e la destrezza, sia fisica che psicologica, che come sappiamo, a livello cognitivo, subisce una flessione nell’anziano, era di fondamentale importanza per sopravvivere. Il suicidio in tarda età, probabilmente, si configurava come una scelta dovuta a contingenze di sopravvivenza, che trovavano nella diminuzione delle abilità dell’anziano, una sua giustificazione. L’approvazione e lo sguardo di ammirazione del gruppo per questo atto, costituivano il rinforzo sociale che facilitava l’atto suicidario. Trascuratezza e abbandono, quando il suicidio non veniva perpetrato,lo indicavano come una delle vie per uscire da una situazione insostenibile.
In alcune società, come quelle degli indiani Crow, l’atto suicidario si velava con comportamenti che denotavano coraggio e disprezzo del pericolo. Gli anziani Crow si vestivano e si ornavano accuratamente prima di andare in battaglia, spesso soli, contro i loro nemici, e qua, cercavano di morire onoramente in combattimento, preferendo ottenere la morte in guerra che di vecchiaia.
A loro volta, gli Stoici e gli Epicurei, (OSGOOD NANCY, 1992), nell’antica Grecia, non condannavano il suicidio, specialmente quand’era attuato dagli anziani, per sfuggire alle sofferenze e malattie della vecchiaia. La scelta della propria morte era vista come espressione di libertà e di dignità umana.
Il filosofo greco Platone, poi, considerava sbagliato il suicidio, in quanto andava contro la volontà degli dei, ma lo giustificava quando veniva attuato per sfuggire alla vecchiaia e ai suoi dolori. Platone, quindi, considerava la vecchiaia e le sue perdite, cose difficili da accettare e, giustificando il suicidio negli anziani, dava all’atto suicidario in tarda età, significato di una scelta razionale e fuga da un problema: la vecchiaia.
La tradizione giudaico-cristiana (RACHELS R. 1973), invece, condannava il suicidio in quanto, si configura in un atto, che contrasta contro la logica e i precetti morali di questa tradizione. La vita, per i giudei-cristiani, è un dono di Dio, il quale , solo Lui, ha la facoltà di darla e di toglierla. L’atto del suicida è comportamento che va contro la volontà stessa di Dio, oltraggiandolo e mostrandogli ingratitudine. La sofferenza e i dolori della vita, in questa tradizione, acquistano significato. La sofferenza è un momento di espiazione, unica via per purificarsi e raggiungere Dio e togliersi la vita e sfuggire dalla sofferenza è atto codardo e vile. La vecchiaia e le sue sofferenze, in questa logica, acquistano notevole significato e il suicidio viene attaccato in quanto, da una parte, toglie a Dio la possibilità di prendere e dare la vita, e dall’altra come sconfitta e perdita della possibilità di raggiungerlo.
Il suicidio, seguendo questa prima indagine storica, acquista significati religiosi, sociali e morali.
In contrasto a queste prime prospettive, andarono sviluppandosi dei modelli di comprensione del suicidio, che evitavano le considerazioni di ordine morale e religioso, per indagare il suicidio nei suoi antecedenti e fattori causali.
La visione medica del suicidio, per esempio, lo vedeva causato prevalentemente da dei fenomeni psicopatologici. Ricordiamo la testimonianza di Esquirol che sosteneva che il suicidio era causato dalla follia e di Kraeplein che individuava negli stati misti affettivi la causa di alcuni suicidi.
Andarono, poi, sviluppandosi, le teorizzazioni di natura psicodinamica come quelle di Freud e di Melaine Klein, che però meritano un approfondimento a parte.
Non mancano in passato neanche i lavori di natura sociologica come quello di Emile Durkheim che pubblicò la sua opera nel 1897. Elaborando i dati a sua disposizione, mostrò, che il suicidio aumenta con l’età, in funzione del sesso, status civile ed altre caratteristiche sociali, individuando tre tipi di suicidi: anomico, altruistico ed egoistico.
La vedovanza, per esempio, nell’anziano, è frequentemente associata al suicidio, può essere, infatti, causa di suicidio anomico od egoistico. La perdita di un compagno con cui si è vissuti 40 anni, può provocare difficoltà ed disorientamento nella struttura interazionale di un individuo per il termine di patterns di comportamento abituali che ora vengono a mancare, provocando suicidio anomico. Il matrimonio, d’altra parte, ha una funzione socializzante e la vedovanza, infatti, può essere causa di suicidio egoistico, specialmente tra i maschi che tendono di più a isolarsi socialmente.
Nelle società di nomadi e cacciatori, il suicidio altruistico negli anziani era frequente,infatti, tra gli Sciti (ALVAREZ A., 1972), gli anziani si seppellivano vivi, quando le malattie e la perdita di abilità li rendevano di peso alla comunità.
Negli anni ‘40, prende corpo, grazie ai contributi di Watzlawic, Paolo Alto, Jackson ed altri, la prospettiva sistemica. Il disagio psichico è inquadrato nelle interazioni tra l’individuo e l’ ambiente. Il suicidio nell’anziano, però, in questa prospettiva, non ha ricevuto adeguata attenzione, infatti, i lavori in questo campo, interessano principalmente l’età adolescenziale. Il suicidio, comunque, è visto come comunicazione, espressione di un disagio che culmina nell’ atto suicidario. La tarda età (MALAGOLI TOGLIATTI M., TELFNER U., 1991), necessita a causa dei cambiamenti di ruolo, rispetto alla società, ai propri figli e verso se stessi, di un nuovo equilibrio del sistema che, se inadeguato, sfocia nel comportamento suicidario. La prospettiva sistemica, rende chiari, quindi, certi tipi di suicidi e le loro dinamiche, anche se queste, sono le stesse che intervengono in altri disturbi mentali.
Le diverse prospettive analizzate di ordine morale e sociale, ci aiutano, quindi, a comprendere il fenomeno, ma, neanche quelle di ordine psicologico e religioso paiono inadeguate. Il suicidio nell’anziano, infatti, come abbiamo visto, non può essere considerato solo da un punto di vista patologico. Esso, è a volte, una scelta razionale, un calcolo tra costi e benefici, altre volte ancora, invece, il gruppo sociale lo favorisce, come nelle società di nomadi e cacciatori. Il significato del suicidio nell’anziano, quindi, è vario e multicausale, non può non interessarci, allora, la sua modalità di lettura, che deve essere aperta e orientata a un integrazione, per quanto possibile, dei diversi approcci.
1.3 Psicodinamica del suicidio nell’ anziano
Le teorizzazioni di natura psicodinamica sul suicidio, sono feconde e di lunga data. Infatti, già lo stesso Freud aveva tratto alcune considerazioni sul suicidio. Il padre della psicoanalisi, nonostante non avesse trattato con un opera specifica questo fenomeno, fece delle considerazioni che ancora oggi si mostrano attualissime (FREUD SIGMUND, 1974). Freud vedeva il suicidio come un fenomeno di natura prevalentemente depressiva e, infatti, nell’anziano, assume caratteri depressivi e introversivi.
L’atto suicidario nell’ anziano è, quindi, molto raramente una modalità di protesta contro l’ambiente, l’aggressività è rivolta contro l’interno, al fine di eliminare le difficoltà ad accettare le perdite e i cambiamenti che la vecchiaia comporta. Sono molte le perdite con cui deve fare i conti: perdita del partner, del ruolo sociale, menopausa, cambiamenti di residenza e così via. La dinamica che conduce all’atto suicidario, sembra essere, secondo Freud, una tendenza distuttiva che si rivolge contro il soggetto stesso. Nella melanconia, l’io del soggetto, sostiene Freud, è scisso in due parti, una che valuta l’altra in maniera critica. Il soggetto una volta perduto l’oggetto d’amore ha utilizzato la sua libido senza meta per compiere un’identificazione con l’oggetto perduto, da qui le due istanze dell’io, di cui una criticante. L’aggressività che il soggetto usava contro l’oggetto, si mostra nella distruttività che una parte dell’io rivolge all’altra. Il soggetto rivolge, quindi, verso se stesso l’aggressività che era rivolta prima contro l’esterno, attuando così, l’atto suicidario. Freud, vedeva quindi, nel suicidio, un omicidio mancato e Stengel affermò addiritura che non ci può essere suicidio, senza che prima, non si abbia desiderato la morte di un altro.
Anche Melaine Klein, sosteneva che l’atto suicidario è l’incapacità di tollerare le perdite e le separazioni ed è tipicamente connesso a dinamiche depressive, sostenendo però, diverse modalità e dinamiche inconsce che portavano all’atto suicidario. Il mondo interno, secondo la Klein, è costruito da relazioni con oggetti e anche per lei, il suicidio, è un attacco contro un oggetto interno, affermando però, che la distruzione di questo oggetto era attuata sia per distruggere questo che per preservare gli oggetti buoni. Nel nosto primo sviluppo, infatti, nella nostra mente avviene una scissione tra oggetti buoni e cattivi che assumono significato rispettivamente nella concessione o negazione del seno materno e nella proiezione della propria aggressività sugli oggetti cattivi. Gli oggetti buoni a loro volta, vengono introiettati e la scissione, serve quindi, per preservarli dagli oggetti cattivi e non sentirsi divorato e distrutto da questi. Questa fase , si chiama schizoparanoide ed è seguita dalla fase depressiva, in cui l’oggetto viene visto nella sua totalità. La madre, quindi, è vista allo stesso tempo sia buona che cattiva.
Nella fase depressiva, altre due dinamiche acquistano prevalenza: l’introiezione e gli atti riparativi. Il soggetto, infatti, si accorge, che è egli stesso a odiare e a voler distruggere la madre e introietta, quindi, la parte buona per compensare questo senso di perdita e abbandono da parte dell’oggetto derivato dai sensi di colpa per la sua aggressività rivoltale prima. D’altro canto, anche, gli atti riparativi sono indirizzati a rimediare alle aggressioni contro gli oggetti buoni. Se questi tentativi di preservare gli oggetti buoni non raggiungono il risultato, può esserci la tendenza a distruggere gli oggetti cattivi con l’atto autolesivo che il suicida compie per preservare gli oggetti buoni. Queste dinamiche, tipicamente depressive, sono frequentissime nell’anziano e lo conducono a estraniarsi dal mondo esterno chiudendosi e isolandosi sempre di più, per poi arrivare alla condotta suicidaria che simboleggia la ricongiunzione definitiva con gli oggetti buoni.
Da queste considerazioni, tralasciando le diverse dinamiche inconsce che conducono all’atto suicidario, secondo Freud e Klein, i due autori si trovano d’accordo non solo sul fatto che il suicidio sia un atto aggressivo contro un oggetto interno, ma anche, sul fatto che, esista negli individui suicidi un incapacità a tollerare le perdite e le separazioni.
D’altra parte, l’atto del suicida è un modo di ricongiunzione di un unione perduta. L’oceanica onnipotenza, vissuta col narcisismo primario vuole essere rivissuta da alcuni soggetti suicidi. Il narcisismo fonda le sue adeguatezza, secondo Kohut, su dei processi di introiezione e distacco dalla figura materna che se non adeguatamente risolti provocano incapacità ad accettare la perdita e la separazione. In tal modo, questo autore sostiene che proprio nell’età avanzata alcuni soggetti esperiscano una ferita narcisistica intollerabile a causa delle continue perdite che quest’età comporta e fantasticando una riunione col grembo materno, si diano la morte col suicidio.
Un altro elemento risulta di primaria importanza nella psicodinamica del suicidio nell’anziano: il corpo. Nell’età adulta, infatti, il proprio corpo viene trasceso e la propria unità psicofisica si contrappone al mondo esterno. I profondi mutamenti fisici dell’età avanzata mettono in primo piano il vissuto corporeo. L’unità io-mondo viene dissolta in quanto la presenza del corpo si fa più pregnante e si impone con tutti i suoi cambiamenti. Alla contrapposizione io da una parte, e mondo dall’altra, segue quella di io e corpo. Il disinvestimento libidico attuato dall’anziano fa si che concentri l’attenzione su se stesso. Il corpo si fa, così, veicolo simbolico del disagio dell’anziano e il meccanismo proiettivo così frequente in tarda età, investe il corpo. Sentimenti negativi e disagi vengono così proiettati sul corpo, il quale facendosene carico, ne diventa la causa. La soluzione alla propria sofferenza consiste, allora, nella distruzione del corpo stesso, che l’anziano attua col suicidio.
CAPITOLO II
Il suicidio in numeri
2.1 Epidemiologia
L’epidemiologia delle condotte suicidarie, si costituisce come irrinunciabile per la comprensione del fenomeno. I dati statistici ci consentono, infatti, di scomporre ulteriormente il comportamento suicidario, diversificandolo in base all’età, al sesso ed altre caratteristiche. Questi dati devono essere comunque usati con molta cautela, in quanto, ci potrebbero condurre fuori pista. Infatti, per esempio,l’associazione tra sesso maschile e suicidio in tarda età, non indica una diretta relazione causale tra sesso biologico e suicidio, ma una lettura attenta ci conduce ad analizzare altre caratteristiche sociali e culturali, legate al sesso maschile, che probabilmente, lo rendono più a rischio di suicidio.
In Italia, i dati sulle condotte suicidarie, vengono forniti dall’ISTAT. L’Istituto statistico italiano pubblica due tipi di dati sul suicidio: le statistiche sanitarie e le statistiche giudiziarie penali. Le statistiche sanitarie derivano dai dati dei certificati medici di morte. Queste, purtroppo, vengono pubblicate solitamente con notevole ritardo, infatti, gli ultimi disponibili al 15 gennaio 1996, risalgono al 1991. Le statistiche sanitarie, però, a differenza di quelle giudiziarie differenziano i soggetti oltre i 65 anni in classi d’età. Queste suddivisioni ci consentono ulteriori precisazioni, in quanto i suicidi, dai 65 ai 90 anni, variano notevolmente a seconda dell’età considerata e in base all’associazione di questa al sesso. D’altra parte, le statistiche giudiziarie penali, che derivano dalle indagini della Polizia e dell’Arma dei Carabinieri, sono largamente sottostimanti (TANSELLA M., 1988), ma vengono pubblicate con notevole celerità, infatti, gli ultimi dati disponibili al 15 gennaio 1996, risalgono al 1994.
Le tabelle che seguono, quindi, visti i vantaggi dell’uno e dell’altro tipo di dati, conterranno entrambe le fonti. Prenderemo in considerazione, per gli anni che vanno dall’1981 al 1991 (tab. da pag17. a pag.19), le statistiche sanitarie, mentre, per gli anni ’92, ’93 e ’94 (tab. da pag.20 a pag.25), useremo quelle giudiziarie, in quanto quelle sanitarie non disponibili.
Il tasso di suicidi in Italia nella popolazione ultrasessantacinquenne nell’1991 era di 18.6/100000 ab., mentre, nella popolazione globale, risultava di 7.7/100000. Il comportamento suicidario, quindi, nella popolazione anziana, è nettamente superiore rispetto alla popolazione globale, raggiungendo un rapporto con questa di quasi 3:1. L’incidenza del comportamento autolesivo pende decisamente a favore dei maschi che hanno un tasso di suicidi in rapporto alle femmine intorno a 3:1. Rispetto al totale dei suicidi, la popolazione ultrasessantacinquenne ne ha compiuto 1/3, nonostante sia globalmente intorno al 14% (RAVIZZA, TORTA, 1988), del totale della popolazione. Considerando la popolazione ultrasessantacinquenne divisa in fasce d’età nella tabella…, vediamo che il suicidio nel totale, aumenta progressivamente sino alla fascia 80-84, per poi subire una leggera flessione nelle fasce maggiori di 85 anni. L’ incidenza maggiore, invece, si ha per le femmine nella fascia che va da 70 a 79, mentre nei maschi aumenta progressivamente con l’ et‡. Le statistiche giudiziarie penali, d’ alto canto, indicano un rapporto di suicidi per la popolazione ultrasessantacinquenne rispetto al totale della popolazione negli anni 92, 93, 94, di 3:1. Il rapporto maschi/femmine, rimane in questa fonte, negli stessi anni 92,93,94, di 3:1. L’incidenza del comportamento suicidario negli ultrasessantacinquenni considerando le statistiche giudiziarie penali nell 1994 risulta di 14.17/100000 ab.
L’enorme incidenza del fenomeno, non pare interessare solamente l’Italia, infatti, il tasso di suicidi negli anziani è altissimo in quasi tutti i paesi del mondo.
Negli U.S.A., per esempio (DE LEO D., ORMSMERK S. C. R., 1991), sul totale dei suicidi, gli ultrasessantacinquenni ne compiono 1/4.
In Ungheria (tab. da pag.26 a pag.27), il tasso di suicidi nei maschi nel 1985 nelle fasce 65-69; 70-74; 75-79; 80-84 e maggiori di 85 era rispettivamente di 95.6; 145.7; 173.5; 236.1; 302.1/100000 ab., raggiungendo, quindi, proporzioni agghiaccianti.
L’aumento, poi, della frequenza del comportamento suicidario negli anziani, è oggetto di ipotesi contrastanti (Mc INTOSCH J. L., 1992), infatti, alcuni sostengono una sua diminuzione e un aumento solo nelle fasce più giovani, mentre, altri autori sostengono un suo incremento (GARRISON C. Z., 1992). L’aumento pare interessare, secondo questi autori, sopratutto gli anziani maschi, ma anche le donne, segno questo forse, dei cambiamenti culturali della donna negli ultimi decenni. Infatti, la donna, nella società contemporanea, aspira a fare carriera nel lavoro e a guadagnare posizioni di potere, livellando i suoi valori a quelli dell’uomo, acquistando, così, sia i vantaggi che gli svantaggi. In Italia, l’aumento dei tassi suicidari negli anziani, pare essere un dato già acquisito e sembra interessi le fascie d’età più estreme (maggiori di 80), nonostante siano quelle già più a rischio.
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2.2 Sottostima del suicidio
I dati sui suicidi forniti dalle fonti ufficiali, nonostante attendibili, non devono essere comunque considerati come infallibili e indicanti l’incidenza reale.
Il suicidio, infatti, si presenta a volte in maniera inusuale, difficile a riconoscersi. Le “erosioni suicidarie” degli anziani, rientrano, per esempio, in questi casi. L’anziano, infatti, spesso si rifiuta di alimentarsi o non accetta le se pur necessarie cure lasciandosi così morire. Le erosioni suicidarie, costituiscono dei suicidi mascherati, che non vengono contemplati dalle statistiche ufficiali.
Le fonti ufficiali, risentono anche, della indeterminatezza e difficoltà a definire il comportamento suicidario, infatti anche alcune morti strane ed inusuali potrebbero essere considerati come suicidi.
La disapprovazione morale, d’altra parte, associata al comportamento suicidario potrebbe portare a evitare di rendere noto il suicidio di qualche conoscente o familiare.
La sottostima del comportamento suicidario è, infatti, confermata da alcuni lavori, che tra l’ altro non riguardano solamente gli anziani. Il suicidio a Padova (DE LEO D., BANON D., et al., 1988), per esempio, in uno studio del 1986 subiva una sottostima del 40% circa e Klark e Firmingan, nel ’78, in Irlanda, trovarono un’incidenza della sottostima che rasentava il 50%.
2.3 Caratteristiche del comportamento suicidario nell’ anziano
Il suicidio nell’anziano assume con certezza caratteristiche raramente manipolative e comunicative in contrasto netto con gli adolescenti, nei quali, questa forma di suicidio è molto frequente. Il gesto autolesivo acquista quindi significato di protesta contro la propria persona e i propri difetti e non contro quelli dell’ambiente.
L’intenzionalità di darsi la morte è, poi, molto più pronunciata di quella dei giovani e degli adulti, infatti, quando l’anziano prova a suicidarsi, molto raramente sbaglia. L’anziano, infatti, raramente attua dei tentativi di suicidio ed il rapporto di questi con i suicidi, che nella popolazione globale è di 15:1, è nell’anziano di 4:1. L’intenzionalità pronunciata di darsi la morte è ancora più evidente quando si considera il fatto che la maggior parte dei tentativi di suicidio sono dei suicidi mancati e la probabilità (GARDNER E. A., et al., 1964), di commettere un suicidio, dopo un suicidio mancato, è di circa 20 volte più alta di quella della popolazione globale. Gli scarsi intenti comunicativi e manipolativi vegono ulteriormente confermati da Robins, il quale sostiene che, l’anziano (ROBINS E., MURPHY G. E., 1959), difficilmente lascia delle note scritte e che quando le lascia le rivolge ai familiari e molto difficilmente contro l’ambiente sociale o di rimprovero ad esso. Il suicidio in tarda età, poi, viene compiuto prevalentemente in solitudine, difficilmente in presenza di altre persone e in luoghi in cui queste possano intervenire.
D’altra parte i risultati degli interventi sugli anziani che tentano il suicidio si mostrano in genere molto utili, nonostante la decisa intenzionalità degli atti suicidari in contrasto, invece, ai giovani e agli adulti, nei quali la determinazione a darsi la morte è minore.
I metodi utilizzati dagli anziani suicidi riflettono la serietà degli intenti e sono: impiccagione, annegamento, precipitazione, armi da fuoco e avvelenamento. Miller riporta che, in Arizona (MILLER M., 1978), l’85% degli anziani si suicida usando armi da fuoco e che un quarto di questi ha acquistato l’arma il mese precedente il suicidio. Lindesay J. in un suo studio trova che l’impiccagione (LINDESAY J., 1986), l’avvelenamento e l’annegamento, sono usati nell’85% dei suicidi in tarda età. In Italia, nel 1990 e 1991 i metodi più frequenti utilizzati dagli anziani suicidi sono per i maschi l’impiccagione e la precipitazione, mentre per le femmine viene prima la precipitazione e poi l’impiccagione. Le modalità di esecuzione più frequenti dell’atto suicidario riportate dalle statistiche sanitarie nel 1990 e nel 1991 vengono confermate nel 1994 dalle statistiche giudiziarie penali per entrambi i sessi.
CAPITOLO III
Etiologia e valutazione del rischio suicidario
3.1 Fattori di rischio
L’enorme incidenza delle condotte suicidarie in tarda età ottenute dai precedenti rilevamenti epidemiologici, necessita assolutamente di soluzioni. L’età elevata, infatti,incide tantissimo sui tassi suicidari e nonostante la condotta suicidaria costituisca la nona o la decima causa di morte tra gli anziani nei paesi occidentali, mentre tra gli adolescenti costituisce la seconda o terza causa di morte, gli anziani hanno i più alti tassi suicidari. L’individuazione, però, dei fattori causali del suicidio è molto problematica, in quanto questi sono molteplici e a seconda dell’ottica con cui consideriamo il suicidio, cambiano notevolmente. Freud sosteneva, per esempio, che era l’aggressività contro un oggetto interno a provocare il suicidio, Durkeim che erano cause sociali. Le difficoltà di integrazione teorica fra le varie prospettive e le molteplici variabili da considerare, ha condotto ad individuare delle associazioni fra il suicidio e determinati fenomeni come, per esempio, la depressione e il lutto, denominati fattori di rischio. L’individuazione dei fattori di rischio ha condotto, per un verso, a mettere da parte le difficoltà di integrazione teorica, dall’altra di considerare più variabili, contenute prima isolatamente nelle diverse prospettive. I fattori di rischio, non devono essere visti isolati nella loro azione, infatti, nella maggior parte delle volte, interagiscono tra di loro. E’ noto, per esempio, il rischio altissimo di suicidio, che corrono gli anziani-depressi-alcolisti. Purtroppo, una certa quantità di suicidi non viene evitata in quanto è difficile individuare tutte le variabili in gioco e la stessa presenza di più fattori di rischio, molte volte non è predittiva. Il suicidio, poi, a volte, può essere previsto, ma il momento preciso in cui verrà attuato la maggior parte delle volte non lo è. D’altra parte gli stessi interventi preventivi e anche quelli psicologici e terapeutici sugli individui, che hanno tentato il suicidio, sono molto limitati.
I fattori di rischio, comunque, nonostante le limitazioni, ci consentono di tracciare dei profili delle persone che potrebbero suicidarsi, rendendosi molto utili nell’attività di prevenzione e terapia. I fattori di rischio considerati sono nell’ordine:
– perdite
– pensionamento
– fattori biologici
– fattori genetici
– malattie fisiche
– alcolismo
– sindromi cerebrali organiche
– depressione
– situazione socio-economica
– cultura e valori
– isolamento sociale
La situazione socio-economica e la cultura e i valori differiscono dagli altri fattori di rischio in quanto la loro associazione al comportamento suicidario è meno diretta di quella degli altri fattori; in secondo luogo l’attività preventiva su questi fattori comprende degli interventi globali di vasta portata, all’interno della società in cui vengono effettuati.
3.2 Perdite
Le perdite sono sicuramente nell’anziano una delle cause di suicidio,per le sofferenze che provocano, intendendo per perdita, non solamente la morte, ma anche il rifiuto e la separazione. Il divorzio, per esempio (BUSSE E.W., PFEIFFER E.,1969), nel gruppo di età 75-79, aumenta notevolmente il rischio suicidario. Il matrimonio al contrario, ha un effetto immunizzante, specialmente se associato a interessi e a impegni sociali. La morte del partner è sicuramente la perdita che più suscita sofferenza e disperazione, ma non bisogna sottovalutare neanche la perdita di altre persone care. La perdita di altri signicativi, infatti, come parenti e amici stretti, con cui l’anziano aveva rapporti di confidenza e intimità può essere, infatti, altrettanto pericolosa e incentivante il suicidio.
Carney e collaboratori, nel1994, trovarono che gli anziani subiscono, più dei giovani, la perdita di persone significative. I dati di Carney mostrarono che la perdita dello sposo, in individui anziani, nella metà dei casi studiati, era associata al suicidio. Il rischio suicidario negli anziani è elevatissimo i primi giorni della morte della persona cara e rimane notevolmente alto per tutto l’anno successivo. Il lutto è anche causa di difficoltà concomitanti, che possono aumentare il rischio suicidario. La vedovanza (BROMBERG S., CASSEL C.H., 1983), per esempio, è causa, nel 20% degli anziani, di una sindrome depressiva nel primo anno della morte del partner, aumentando, così il rischio suicidario. La morte del partner può generare anche delle crisi d’identità, infatti, si è sottoposti, delle volte, a dei cambiamenti di ruolo. L’anziano, infatti, può trovarsi spaesato per quei compiti che il partner assolveva e di cui, adesso, si dovrà occupare lui. La vedovanza è seguita, poi, da dei disturbi psicosomatici e da un maggior rischio di malattie fisiche e di morte in generale. Il rischio suicidario aumenta se il partner è deceduto di morte violenta e anche se la relazione precedente con questo era ambivalente. Alcuni autori sostengono anche che la fede in una vita ultraterrena aumenta il rischio suicidario, in quanto si può fantasticare una ricongiunzione con la persona deceduta. Il gesto autolesivo può essere facilitato da tutte quelle circostanze che ricordano il defunto, come compleanni, anniversari di morte, fotografie ed altri oggetti. I maschi, dopo un lutto, sono più a rischio suicidario delle femmine essi hanno meno capacità adattive e di cambiamento e tendono ad isolarsi socialmente e ad avere meno interessi.
3.3 Pensionamento
Il ritiro dal lavoro rappresenta molto spesso simbolicamente un confine oltre il quale c’è decadimento ed inutilità. Gli anziani maschi hanno maggiormente sentimenti di inutilità e soffrono più delle femmine questo cambiamento. Il rischio di suicidio pare aumenti e si mantenga su livelli notevolmente alti per i cinque anni dopo il pensionamento (SOLOMON K.,1981). Il pensionamento potrebbe essere causa indiretta di un decadimento della situazione economica, Sainsbury (SAINSBURY P.,1963), però, dimostrò che accorgimenti economici rivolti agli anziani, che andavano in pensione, non interferivano sui tassi suicidari. Il pensionamento, quindi, sembra avere caratteristiche proprie che aumentano il rischio suicidario. Innanzittutto l’anziano deve fare i conti con l’organizzazione della propria vita e del proprio tempo, infatti, le giornate prima occupate dal lavoro e dai suoi impegni, diventano improvvisamente vuote. Il pensionamento, poi, rappresenta un momento particolarmente a rischio per coloro i quali le relazioni sociali e gli interessi derivavano esclusivamente dal lavoro. Infatti, è noto che molte persone al di fuori del lavoro non hanno una vita privata ed altri interessi. I maschi sicuramente, in questo senso, sono maggiormente colpiti, in quanto in genere le donne, mantengono relazioni ed interessi anche al di fuori del lavoro. La cultura delle società occidentali, come vedremo meglio dopo, esalta i valori della produttività e del rendimento e il pensionamento, configurandosi all’altra estremità di questi valori, acquista significati negativi. Il ruolo dei maschi, infatti, all’interno della società vuole che siano più produttivi e attivi delle donne e il ritiro dal lavoro li rende, quindi, maggiormente a rischio in questo senso.
3.4 Fattori biologici
Le variabili biologiche, che si è cercato di individuare per una comprensione del comportamento suicidario derivano dagli studi sulla depressione. Le ricerche condotte evidenziano che esiste una correlazione tra determinati parametri biologici e il suicidio.
La depressione, come sappiamo, è correlata molto frequentemente al suicidio nell’anziano e sembra che ci sia una particolare forma di questa sindrome, che sia più associata al gesto autolesivo. L’acido 5-idrossindolacetico è un metabolita della serotonina, il quale a sua volta, è un neurotrasmettitore del sistema nervoso centrale. La depressione è correlata a bassi livelli di serotonina, anche se, i meccanismi non sono ancora completamente chiari. Il comportamento suicidario pare sia molto più frequente nelle forme di depressione con bassi livelli di 5-IIA (ASBERG M., TRASKMAN L.,1976). In particolare, le condotte suicidarie più violente sembrano appartenere a queste forme di depressione, con bassi livelli di 5-IIA. Il rischio di suicidio, nei soggetti con bassi livelli di 5-IIA, dopo che hanno commesso un tentativo di suicidio, sembra notevolmente più elevato. D’altra parte ci sono studi che indicano bassi livelli di 5-IIA in soggetti suicidi, che però non avevano una sindrome depressiva. Il dosaggio del 5-IIA, dovrebbe essere quindi preventivo nei confronti dei suicidi, purtroppo ci sono delle limitazioni alla sua applicazione pratica. Esso necessita, infatti, dell’ospedalizzazione ed è anche soggetto a frequenti errori, in quanto, molti individui erano indicati ad alto rischio suicidario , in base alle rilevazioni di 5-IIA , senza esserlo.
3.5 Fattori genetici
Il senso comune vuole che le influenze ereditarie si manifestino in modo visibile e diretto. I caratteri ereditari si manifestano, invece, come predisposizione che a contatto con l’ambiente, potranno fare la loro comparsa oppure no, come per esempio il diabete.
Le ricerche sulle influenze genetiche sul comportamento suicidario propendono per una sua qualche incidenza e sono effettuate su gemelli dizigoti, monozigoti e in particolari culture. Segal N.L. rilevò una percentuale di suicidi dell’11% in gemelli monozigoti (ROY A., SEGAL N.L.,1991), mentre in gemelli dizigoti, la percentuale era dell’1,8%. Shulsiner, nel 1979, mostrò che la concordanza dei suicidi tra figli, che avevano commesso il suicidio e i genitori biologici, era del 4,5 %. Il suicidio, invece, nei genitori di figli adottivi, che avevano commesso il gesto autolesivo, non era presente. Il 50% dei soggetti suicidi, d’altro canto, non aveva nessuna patologia mentale, rendendo più probabile, quindi, una qualche influenza genetica sul suicidio. Una cultura, che è stata oggetto di particolare interesse, è stata quella degli Amish, che si insediarono nel sud-est della Pennsylvania circa trecento anni fa. Gli Amish hanno una bassissima incidenza di suicidi, probabilmente per le caratteristiche culturali di questa comunit‡. Sussex e collaboratori trovarono (EGELAND J.A., SUSSEX J.N.,1985), in un lungo periodo di osservazione (1880- 1980), in assenza di fattori di rischio, ventisei suicidi. Il 73% dei suicidi era spiegato considerando, solo, quattro genealogie familiari, suggerendo quindi, anche perchè in assenza di fattori di rischio, influenze genetiche.
Le ricerche effettuate, quindi, riferiscono una qualche ereditarietà sul comportamento suicidario e questa predisposizione al gesto autolesivo può trovare terreno fertile in tarda età. L’età avanzata, come già detto, infatti, è un età di grande cambiamento e l’anziano è sottoposto a molteplici lutti e a una flessione delle proprie abilità e capacità.
3.6 Malattie fisiche
Il suicidio è correlato strettamente con le malattie fisiche, specialmente in tarda età L’anziano, infatti, a causa del processo d’invecchiamento è sottoposto frequentemente a malattie organiche.
Dorpat rilevò che la malattia fisica è correlata col suicidio nell’anziano, nel 70% dei casi e Sainsbury, invece, riporta una percentuale del 35%. Problemi fisici erano presenti in uno studio del 1994 di Carney e collaboratori, nel 94% di casi di anziani suicidi. Frieson, nel 1991 riporta che circa la metà degli anziani, che avevano tentato il suicidio, soffrivano di malattie fisiche croniche.
Le malattie fisiche, che sembrano incidere maggiormente sul comportamento suicidario nell’anziano, sembrano essere quelle di tipo cronico, che limitano l’indipendenza e l’autonomia, come l’insufficienza renale e i disturbi cardiaci. Le malattie croniche, infatti, spesso necessitano di assistenza continua da parte di altre persone, limitando così l’autonomia e l’indipendenza e provocando in queste situazioni una sofferenza molto pronunciata. L’identità, poi, viene spesso lesa, infatti, individui, che prima erano in piena efficienza fisica, sono limitati a causa delle malattie, subendo anche bruschi cambiamenti dello stile di vita, come dieta e orari.
La malattia fisica, poi,nell’anziano si presenta frequentemente associata a una sindrome depressiva. La depressione può essere reattiva alla malattia e alle sofferenze e perdite dell’indipendenza, che questa suscita.
D’altra parte vi sono dei quadri clinici, come tumori al pancreas o al cervello, che sono causa di severe manifestazioni depressive. Alcune malattie fisiche, infatti, provocano depressione alterando l’organismo e i meccanismi connessi a questa sindrome.L’associazione di malattie fisiche e depressione nell’anziano, quindi, è un’associazione ad altissimo rischio suicidario.
3.7 Alcolismo
L’alcolismo, negli ultimi dieci anni (DIEKSTRA, HAWTON, 1987), ha avuto un notevole incremento e rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio di suicidio nell’anziano.
La percentuale dei suicidi negli alcolisti è molto più alta di quella della popolazione generale e, dal 2% al 10% degli individui sopra i sessanta anni, sono alcolisti (NANCY O. 1992). Gli anziani alcolisti, d’altra parte, hanno cinque volte in più la probabilità di commettere suicidio degli anziani non alcolisti. Bisogna comunque premettere che esistono delle differenze tra i vari anziani alcolisti, infatti, questi possono essere suddivisi in più tipi.
I primi a considerarsi sono gli alcolisti di lunga data, i quali hanno iniziato l’abuso di alcol da giovani e non hanno mai smesso; si calcola che questi costituiscano un terzo di tutti gli alcolisti.
L’altro tipo di alcolisti, sono coloro i quali avevano iniziato l’abuso da giovani e poi interrotto e, una volta divenuti anziani, hanno ripreso l’abuso di alcol.
L’ultima forma di alcolismo è attuata da coloro che fanno abuso di questa sostanza per la prima volta nella vecchiaia e, anche questi, costituivano un terzo di tutti gli alcolisti.
I fattori che conducono alla dipendenza dall’alcol sono molteplici e, mentre la prima forma di alcolismo, ha sicuramente cause più remote, nelle ultime due forme, la tarda età pare essere l’evento precipitante. L’abuso di alcol, infatti, può essere un tentativo di autocura contro le sofferenze e le perdite dell’età avanzata, come l’isolamento sociale e il pensionamento. Il lutto, a cui l’anziano pare essere sottoposto molto frequentemente, potrebbe essere un evento che facilita l’abuso di alcol al fine di arginare la sofferenza. Robin, a riguardo, trovò che circa la metà di alcolisti suicidi aveva subito la perdita di una relazione significativa nell’ultimo anno di vita.
L’abuso di alcol è frequentemente associato a delle malattie fisiche e i suoi effetti vengono usati per dare temporaneo sollievo alle sofferenze di queste. L’effetto deleterio dell’alcol è poi maggiore nel corpo dell’anziano, in quanto il processo d’invecchiamento produce dei cambiamenti, che lo rendono più vulnerabile agli effetti negativi dovuti all’abuso di questa sostanza. La diminuzione della percentuale di massa adiposa nell’anziano, infatti, facilita l’intossicazione da alcol e l’anziano alcolista ha più possibilità di avere un cancro allo stomaco, all’esofago ed effetti deleteri al cuore, alla circolazione ed altri disturbi ancora. Il suicidio, negli stati di intossicazione da alcol, può presentarsi facilmente, in quanto intervengono fenomeni di alterazioni dello stato di coscienza con varie manifestazioni motorie e psichiche. L’alcol ha, anche, effetti negativi sul sistema nervoso centrale, infatti può essere causa di sindromi, come quella di Korsakof, alterazioni del sonno e delle performance mentali.
L’ abuso di alcol, d’altra parte, produce, in interazione con i farmaci, conseguenze molto pericolose, infatti, i farmaci, essendo comunemente usati dagli anziani per curare vari disturbi fisici, una loro associazione con l’alcol è, quindi, molto frequente. L’abuso di alcol porta, poi, all’instaurarsi di un circolo vizioso, in cui abbiamo alcol, seguenti malattie fisiche e incremento dell’ uso di alcol, aumentando, così, il rischio suicidario.
La depressione, d’altro canto, è una patologia mentale, che troviamo associata, molto spesso, all’alcolismo. Gli individui, infatti, che abusano di alcol, soffrono, il 35% di una sindrome depressiva e, i depressi hanno cinque volte più probabilità di essere alcolisti, della popolazione generale. Gli anziani che soffrono di depressione, infatti, usano l’alcol per indurre uno stato di rilassamento e di euforia, dando temporaneo sollievo alle sofferenze della depressione. L’abuso di alcol, d’altra parte, produce dei cambiamenti nell’organismo, che conducono alla depressione.
L’interazione alcolismo-depressione nell’anziano aumenta, così considerevolmente il rischio suicidario. Gli stessi effetti euforici e disinibenti, per concludere, dopo l’abuso di alcol, possono facilitare il passaggio all’atto suicidario.
3.8 Sindromi cerebrali organiche
Il suicidio è abbastanza frequente anche negli anziani che hanno delle sindromi cerebrali organiche (POKORNEY A.D., 1964). Le sindromi demenziali, infatti, specialmente all’inizio della loro evoluzione, sono accompagnate da una sintomatologia depressiva, che può scatenare l’atto suicidario.
La demenza senile malinconica e la demenza senile delirante o paranoidea, per esempio, all’inizio della loro insorgenza mostrano una sintomatologia depressiva marcata, che col progressivo strutturarsi della sindrome demenziale, lascia spazio a quei sintomi più caratteristici delle sindromi cerebrali organiche. L’instaurarsi di una sintomatologia depressiva, all’inizio dell’insorgenza di una sindrome demenziale pone dei problemi diagnostici, che possono inficiare l’intervento terapeutico, poichè la sindrome demenziale senile e quella depressiva possono essere facilmente confuse (RABINS P.V.,1984).
La diagnosi di demenza senile, infatti, ha una prognosi sfavorevole, nonostante in alcuni casi in cui si presenta con episodi acuti o subacuti e con un buon trattamento farmacologico si possa avere una remissione parziale dei sintomi.
La diagnosi, invece, di una sindrome depressiva ha in genere una prognosi favorevole, nella quale però, se non si interviene tempestivamente e nella maniera adeguata, si può avere un ulteriore aggravamento, aumentando, così il rischio suicidario.
La diagnosi differenziale è più complessa e difficile, se deve essere effettuata tra pseudodemenza, che è una particolare forma di depressione, e demenza senile. La pseudodemenza, infatti, presenta alterazioni della memoria, dell’orientamento e delle funzioni intel- lettuali, che fanno maggiormente pensare ad una sindrome cerebrale organica.
L’evoluzione della demenza, però, è lenta e progressiva e presenta più deficit cognitivi della pseudodemenza, la quale, al contrario, ha un esordio veloce e rapido.
3.9 Depressione
La depressione è la patologia mentale con la più alta incidenza di comportamento suicidario nell’anziano.
I lavori, che dimostrano una correlazione tra depressione nell’anziano e suicidio, sono molti. Barraclough riporta una percentuale di depressi suicidi dell’82% (BARRACLOUGH B.M.,1971), mentre Robins del 62% (ROBINS E.,1981). Isometsa, nell’aprile del 1994, riporta una percentuale di anziani depressi suicidi del 50%. Il disturbo depressivo si manifestò nell’83% dei casi, in associazione a disturbi fisici e molto frequentemente con complicazioni psicotiche. Carney , nel 1994, riporta una percentuale di sintomi depressivi in anziani suicidi, del 54%, i quali, nel 14% dei casi, erano associati ad alcolismo.
La sindrome depressiva può essere fatta risalire a delle cause endogene, organiche, psicogene ed endoreattive.
La depressione endogena pare essere associata ad una ipoattività delle sinapsi noradrenergiche e serotoninergiche, a dei cambiamenti del sistema endocrino e in particolare, per quanto riguarda la psicosi maniaco-depressiva, ad una trasmissione genetica. L’esordio della psicosi maniaco-depressiva, si colloca prima della senescenza e tende a ripresentarsi , però anche in tarda età La depressione endogena monopolare ha un’età di insorgenza media intorno ai quarant’anni, ma non è raro, un suo esordio anche in età avanzata.
La depressione può avere cause anche organiche e può essere provocata da malattie come tumori al pancreas, al cervello, infezioni virali, ipertensione ed altre ancora. Il morbo di Parkinson, molto frequente in età avanzata, è associato spesso a disturbi depressivi. Le caratteristiche di questa malattia, come una diminuzione dei livelli di dopamina e serotonina, fanno sì che, i soggetti colpiti da essa, sviluppino una sindrome depressiva.
Le modificazioni nell’organismo, a causa dell’invecchiamento, come quelle neuroendocrine e neurotrasmettitoriali, fanno in modo che l’anziano abbia una ridotta capacità di reagire ad eventi stressanti, predisponendolo a dei disturbi depressivi. Le depressioni endoreattive, le quali scaturiscono da una reazione ad eventi psichici e somatici, sono molto frequenti nell’anziano e influenzano, una volta avviate, l’organismo e i suoi dispositivi anatomo fisiologici assumendo le caratteristiche di profondità e sofferenza delle depressioni endogene e sganciandosi da elementi situazionali e ambientali.
I principali fattori eziologici psicosociali della depressione nell’anziano sono: la perdita del supporto sociale, trasferimenti ed istituzionalizzazione, pensionamento e lutto.
Il sostegno sociale, infatti, oltre ad avere un effetto positivo generale sul benessere psicofisico ha anche la funzione, in situazioni di stress, di limitare le conseguenze negative di questo. Elton, nel1983, analizzando un gruppo di anziani alcolizzati, che erano andati in pensione, mostrò che questi avevano reti sociali molto pù ristrette degli anziani, non alcolisti, pensionati.
I trasferimenti in case di cura o in altra dimora, costituiscono frequentemente un altra causa di depressione nell’anziano, a causa dei cambiamenti pratici, come lo spazio a disposizione e le abitudini di vita e provocando spesso, perdita di contatti sociali ed emozionali. Il pensionamento e il lutto, abbiamo già visto, che sono entrambi frequentemente causa di depressione, per la sofferenza e i sentimenti negativi che suscitano.
Anche le distorsioni cognitive sono causa di depressione, Beck, infatti, trovò che gli individui, che sviluppano sintomi depressivi, si pongono di fronte alla realtà con un set cognitivo improprio e negativo riguardo al mondo, alla propria persona e al futuro. Gli individui che hanno questa distorsione cognitiva considerano se stessi impotenti di fronte agli ostacoli del mondo esterno e senza alcuna speranza di esercitarvi il controllo. Questo schema cognitivo negativo (Hopelessness) è strettamente associato al suicidio, tanto che, il rilevamento della sua intensità è un buon preditore del comportamento suicidario.
La sintomatologia della depressione nell’anziano presenta alcune caratteristiche che si discostano dai sintomi depressivi dell’età adulta. La depressione è, spesso, mascherata da fenomeni neurovegetativi, come disturbi gastrointestinali e genito-urinari. I sintomi somatici sono accompagnati da sintomi psichici come ansia e tensione e l’umore depressivo, a volte, sembra passare in secondo piano. Il sonno negli anziani depressi è disturbato e spesso si ha un risveglio molto precoce con difficoltà ad addormentarsi; inoltre, si ha più raramente ipersonnia e si hanno, anche, lamentele ipocondriache, perdita degli interessi e della libido, sensi di colpa e ideazioni suicidarie frequentissime. Il rallentamento ideo-associativo-motorio, comunque, è frequente e l’agitazione intesa come espressione motoria è più frequente nelle femmine che nei maschi. I sintomi precedenti possono associarsi, anche, a disturbi ossessivo-compulsivi, depersonalizzazione e derealizzazione che tendono a scomparire con un miglioramento della sintomatologia depressiva ed infine possono presentarsi, anche, idee a sfondo paranoideo.
Il suicidio, nelle depressioni endogene, si manifesta più frequentemente dopo molto tempo dal primo episodio di malattia.
Nelle forme bipolari, il viraggio timico è un momento particolarmente a rishio di suicidio, in quanto, si passa da uno stato di rallentamento ideo-associativo-motorio all’eccitamento maniacale, con conseguente rimozione dell’inibizione motoria; pare non esistano differenze di frequenze di suicidi tra depressi unipolari, bipolari 1 e bipolari 2, in quanto, gli studi fatti riportano dati contrastanti.
Il suicidio, invece, nelle depressioni reattive ed endoreattive si manifesta più frequentemente a ridosso dell’episodio scatenante la sindrome.
Il suicidio è pù frequente nelle depressioni ansiose e agitate, infatti, il gesto diventa impulsivo ed improvviso, come spesso accade nella melanconia involutiva. Roose, poi, riporta che i depressi psicotici hanno cinque volte pù probabilità di commettere suicidio dei depressi non psicotici.
Il rischio di suicidio in individui depressi aumenta con i seguenti fattori: isolamento sociale e difficoltà interpersonali, esposizione a stressors psicosociali, storia di perdite significative in età infantile e adolescenziale e negli individui, il cui disturbo depressivo ha avuto un esordio precoce.
La sindrome depressiva, per concludere, è la variabile che più incide nel gesto autolesivo nell’anziano e quindi deve essere particolare oggetto di interesse e studio, per una prevenzione delle condotte suicidarie, purtroppo, infatti, è sottostimata negli anziani e in genere non riceve adeguati trattamenti.
3.10 Situazione socioeconomica
Le condizioni socioeconomiche, sono degli indicatori della qualità che non possono essere sottovalutati, infatti, incidono a tutti i livelli di essa. Il 5° rapporto sugli anziani in Italia del 1995 mostra come vi sia una diminuzione della situazione economica globale degli anziani nel nostro paese. La situazione, poi, è più preoccupante quando guardiamo le condizioni socioeconomiche degli anziani del sud. Infatti, nonostante i livelli medi della situazione economica degli discostino poco da quelli nazionali, gli anziani del sud spesso mantengono economicamente le famiglie dei figli, a causa dell’enorme disoccupazione presente nel mezzogiorno. I più alti tassi suicidari, presenti nelle regioni del nord Italia, non possono essere indicanti che la situazione socioeconomica non ha peso sul suicidio nell’anziano. Infatti, il minor tasso suicidario potrebbe essere dovuto tranquillamente a parecchie altre caratteristiche sociali, come una migliore integrazione e ruolo positivo all’interno della famiglia, da parte degli anziani del sud, rispetto a quelli del nord, ed altri variabili ancora. Il contrario, però, non può essere affermato, infatti, che la situazione socioeconomica incida sui tassi suicidari degli anziani, è dimostrato da molti lavori.
Sainsbury trovò che, negli anziani delle categorie socioeconomiche più elevate, i tassi suicidari tendevano a decrescere con l’aumentare dell’età Gli anziani, invece, che appartenevano alle categorie socioeconomiche più basse, tendevano ad avere tassi suicidari pù elevati, con l’aumentare dell’età In uno studio di Robins, i dati indicarono che gli individui che appartenevano a categorie socioeconomiche più basse, una volta andati in pensione, erano soggetti ad un aumento sensibile dei tassi suicidari.
Gli individui che appartengono a categorie socioeconomiche più basse, infatti, una volta ritiratisi dal lavoro, hanno in genere una diminuzione del livello economico. Carenti situazioni economiche, infatti, incidono indirettamente, su tutta la qualità della vita. La qualità dell’abitazione e i suoi servizi, se l’anziano non può usufruire di adeguate risorse economiche, sono scadenti. I servizi ricreativi e culturali, per essere frequentati, come pure ricevere adeguate cure sanitarie, necessitano di risorse economiche.
Una situazione economica inadeguata, quindi, porta l’anziano ad avere meno interessi e minore qualità di vita, aumentando così il rischio suicidario.
3.11 Cultura e valori
La cultura e i valori di ciascuna società svolgono sicuramente un ruolo nel favorire o decrementare i tassi suicidari. I differenti indici di suicidi tra le varie società, che a volte sono notevolmente significativi, lo dimostrano. L’atteggiamento culturale che un paese ha verso gli anziani svolge, infatti, un ruolo indiretto, influenzando la qualità della loro vita e il loro atteggiamento verso di essa. Una cultura, che è stata oggetto di particolare interesse da parte di studiosi in questo senso e di cui abbiamo già parlato in precedenza, è la comunità degli Amish.
Gli Amish hanno forti tradizioni religiose e forte attaccamento alla famiglia. Gli anziani, nella comunità Amish, sono rispettati e onorati e occupano posizioni di prestigio e di potere. I tassi suicidari tra gli anziani Amish sono bassissimi e questo può essere spiegato dall’atteggiamento verso di loro e dalle altre caratteristiche culturali di questa comunità.
Le differenze, nella cultura e nei valori, per esempio, possono spiegare i diversi indici suicidari tra i bianchi e i neri, nella società statunitense. I bianchi, infatti, negli U.S.A., si suicidano più frequentemente dei neri, con un calo di differenza, negli ultimi anni, segno forse, dell’uniformarsi dei valori e della cultura tra le due etnie. Le società occidentali non hanno un atteggiamento positivo nei confronti degli anziani. Gli anziani, infatti, sono visti come non produttivi e decadenti, vengono isolati socialmente e subiscono l’influenza di notevoli stereotipi, che ledono la loro autostima, provocando sentimenti di inutilità e disperazione.
Gli stereotipi sugli anziani sono molti e la maggior parte negativi. Gli stereotipi sono credenze generalizzate irrazionali e prive in genere di fondamento. L’anziano, infatti, è visto nella nostra cultura come un individuo, le cui capacità fisiche, intellettuali, interessi sociali e sessuali sono andati perduti. Lo stereotipo dell’anziano vuole, infatti, un vecchio che non si ricorda cosa faceva un attimo prima, che ha difficoltà ad apprendere e ha pochi o nessun interesse. Le credenze sugli anziani, però, sono frammentarie e prive di fondamenti scientifici. Non si vuole, qui, dimostrare che l’anziano non subisca delle perdite nelle sue abilità, ma si vuole riferire un ridimensionamento di queste perdite, confermate da una miriade di ricerche. Il deficit imputato alle abilità cognitive dell’anziano, si riferisce alla velocità dei processi cognitivi e non alla sua qualità Le ricerche sulla produttività dell’anziano dimostrano come si abbia in tarda età una diminuzione della velocità e della quantità del lavoro svolto, compensato, però, da una migliore precisione e qualità di questo. Gli interessi sessuali, poi, possono essere presenti anche in persone in tarda età, sia negli uomini che nelle donne. Le ricerche svolte sugli anziani, poi, risentono di forti limitazioni metodologiche, infatti, i campioni esaminati, non sono nella maggior parte dei casi, omogenei. Gli individui differiscono, per l’istruzione, classe socioeconomica ed altre variabili di difficile controllo. In sostanza, le ricerche confermano che c’è un decadimento, ma anche che ci sono tanti tipi di anziani, tra i quali molti, sono in piena efficienza fisica ed intellettuale.
I meccanismi, d’altra parte, che maggiormente perpetuano gli stereotipi sugli anziani, sono la letteratura e i media.
L’immagine dell’anziano tramandata da poeti e prosatori descrive il vecchio come solo, disperato, ammalato e la sua vita come priva di significati e di gioie. Già nell’antichità, infatti, i Greci cantavano le lodi della giovinezza e i dolori della vecchiaia. Nel rinascimento, il Macchiavelli nella Mandragola, tramanda una figura del vecchio come stolto e demente. Il Goldoni, nei Rusteghi, nel settecento, ironizza la figura dell’anziano, offendendola e ridicolizzandola nella morale.
I media, d’altro canto, non parlano quasi mai degli anziani e quando lo fanno, ne parlano nella maniera sbagliata. Ci sono due tipi di vecchi che i media descrivono, il vecchio buono e il vecchio cattivo. Il vecchio cattivo viene abbandonato da tutti e ripudiato, il vecchio buono, d’altra parte, non dà fastidio a nessuno, è simpatico ed è una figura positiva, che, però, sparisce immediatamente quando diventa d’intralcio.
I media non parlano quasi mai, poi, del suicidio nell’anziano, nonostante la sua frequenza sia elevatissima. I media parlano del suicidio negli adolescenti e, se questo è giustificato dal fatto che, nella fascia 15-24, è in incremento, questo non giustifica che non si parli del suicidio dell’anziano, per la memoria storica e i potenziali insegnamenti, che vanno perduti.
Solomon mostrò come gli stereotipi sugli anziani provocano in loro sentimenti depressivi e di inutilità. Le persone che stanno intorno agli anziani, infatti, hanno delle aspettative su di loro, dettate dagli stereotipi, questo le porta a non considerare i bisogni dell’anziano stesso e questi, non vedendo che i loro bisogni e azioni non vengono presi in considerazione dall’ambiente, sviluppano sentimenti d’impotenza e depressione. Gli anziani, argomenta Solomon, diventano i capri espiatori dei mali che affliggono la società presente e sono accusati di essere non produttivi ed inattivi e l’accetazione di questi stereotipi, provoca sentimenti di vergogna e di inutilità.
La cultura dell’ageismo delle società occidentali non può non essere, quindi, presa in considerazione, in quanto interferisce negativamente nella qualità di vita degli anziani, incidendo sicuramente in modo negativo sui tassi suicidari.
3.12 Isolamento sociale
Un altro importante preditore del comportamento suicidario nell’anziano, risulta essere l’isolamento sociale.
L’isolamento sociale, non solo in numerosi casi è causa diretta di gesti suicidari, ma è causa di numerose difficoltà concomitanti, che aumentano il rischio suicidario. Barraclough evidenziò l’associazione fra isolamento sociale e suicidio nell’anziano (BARRACLOUGH B.M.,1971). Il 50% degli anziani suicidi, che prese in esame, vivevano permanentemente soli. Sainsbury mostrò come l’isolamento sociale, che nella maggior parte dei casi, era seguente alla morte del coniuge, era anche nel suo lavoro frequente causa di suicidio (SAINSBURY P.,1963). Anche Carney riportò numerosi casi di anziani suicidi che erano isolati socialmente (CARNEY S.S.,1994).
L’isolamento degli anziani nella nostra cultura sembra dipendere anche in larga parte dalla struttura del sistema sociale. L’anziano, infatti, raramente ha occasione di stringere contatti e relazioni sociali, al di fuori della sua abituale cerchia. Le strutture esistenti, poi, di integrazione sociale, sono veramente poche e spesso difficili da raggiungere per molti anziani. L’isolamento sociale sembra essere più frequente nei maschi che nelle femmine. Le donne, infatti, mantengono più solide e frequenti relazioni interpersonali, che durante la vita lavorativa, si discostano anche dall’ambiente di lavoro. Gli uomini, invece, sembrano far dipendere i contatti interpersonali dall’ambiente di lavoro e dal coniuge e, una volta che vengono a mancare questi due punti fermi, si ritrovano isolati socialmente. L’essere soli e con poche possibilità di stabilire rapporti interpersonali, si carica, così di significati negativi. La solitudine viene vissuta con colpa e responsabilità personale e si hanno così pericolosi cali di autostima, che possono portare l’anziano a decidere di suicidarsi. L’isolamento sociale è, poi, causa frequentissima nell’anziano, di episodi depressivi, aumentando, così, il rischio suicidario. Le indagini condotte sul sostegno sociale confermano che esiste una relazione diretta tra sostegno sociale e qualità della vita. Il sostegno sociale, infatti, influisce direttamente sulla salute psicofisica (main effect) e in situazioni di stress offre la possibilità di contenerne gli effetti dannosi (buffering hipothesis). La conferma delle condizioni di isolamento sociale di un anziano, deve destare sempre l’attenzione degli operatori con cui viene a contatto. Quand’anche non si siano evidenziati intenti suicidari, il ripristino e l’aiuto a stabilire dei contatti interpersonali, è sempre una misura da prendere in considerazione. Si possono prevenire, così bruschi cali di autostima e sentimenti negativi, che potrebbero provocare il gesto autolesivo.
3.13 Valutazione del rischio suicidario
La valutazione del rischio suicidario deve essere fatta usando tutti gli strumenti a disposizione, all’uso di colloqui clinici, infatti, deve essere affiancato quello di questionari e scale seppure in modo complementare o ausiliario. L’utilizzo di questionari e scale, infatti, consente , da una parte, di eliminare gli errori dovuti all’interazione col paziente. Elementi controtransferiali, come un’ansia causata dal tema del suicidio, può, infatti, indurre nell’ operatore un attegiamento difensivo che inficia la rielaborazione ed esternazione di queste problematiche. I questionari e le scale, d’altra parte, risentono di problemi di validità, di taratura, per variabili come, per esempio, l’istruzione, classe socioeconomica e di situazioni significative che il soggetto può aver vissuto. L’uso dei colloqui, d’altra parte, consente una maggiore flessibilità e considerazione dell’ esperienza del soggetto.
La valutazione del rischio suicidario, non consiste nell’individuazione dei fattori di rischio precedentemente discussi, in quanto, essa è più propriamente individuale.I fattori di rischio invece, sono essenzialmente considerati in un ottica preventiva, nonostante interrelati con la valutazione del rischio suicidario.
La conduzione dei colloqui con individui anziani, diverge profondamente da quella di pazienti di altre età. L’individuo anziano, infatti, vive una condizione e situazione di vita che in genere, chi conduce il colloquio, essendo più giovane, non comprende. L’intervistatore, allora, dovrà porre enorme attenzione all’ascolto, unico modo per superare queste problematiche. Un colloquio, infatti, meno direttivo, che lascia spazio al racconto e all’esperienza del paziente anziano, ci consente di metterci in comunicazione con lui e di capire, per quanto possibile, la sua vita emotiva. Un ascolto attento e partecipe, consente, in alcuni casi, un notevole recupero del paziente anziano che sembrava seriamente compromesso.
Durante la valutazione del rischio suicidario si devono tenere in considerazione determinate problematiche che hanno particolare influenza nell’ atto suicidario.
Si elencano dei punti proposti in uno schema guida da Tatarelli Roberto che sono particolarmente fruttuosi per la valutazione del rischio suicidario (TATARELLI ROBERTO,1992):
-Decorso della malattia
-Malattie fisiche
-Storia farmacologica
-Condizioni ambientali
-Elementi relazionali
-Storia familiare
-Comunicazione suicidaria
-Precedenti tentativi di suicidio
-Impulsività e violenza
-Difese
-Almanacco affettivo
Il decorso della sindrome, come sottolineato in precedenza, è fondamentale per prevenire un aumento del rischio suicidario. Nelle depressioni endoreattive, infatti, il gesto autolesivo in genere interviene a ridosso dell’evento scatenante la sindrome, mentre in quelle endogene, dopo più tempo dall’ inizio della depressione.
Le malattie fisiche possono scatenare il suicidio, propendendo, però, per un maggior rischio soprattutto per quanto riguarda l’anziano, per le malattie croniche che causano perdita di indipendenza e autonomia.
Anche la storia farmacologica e le condizioni ambientali costituiscono una fonte di valutazione, in quanto, la tendenza all’abuso di farmaci ed elementi relazionali che sono fonte di sofferenza e stress, aumentano il rischio suicidario.
La storia familiare di un individuo interviene spesso nelle sindromi suicidarie, tanto è che l’indagine di eventuali problematiche e di suicidi è indice di un maggiore rischio suicidario.
La comunicazione di intenti suicidari in individui anziani, diverge da quella degli adulti e degli adolescenti. L’anziano, infatti, comunica intenzionalità suicide prevalentemente sul piano simbolico. Frequenti lamentele somatiche, devono insospettire l’operatore, il corpo, infatti, è il veicolo privilegiato del disagio nel paziente anziano. Nei casi in cui si abbia il sospetto di intenti suicidari, questi devono essere indagati attivamente. L’anziano, infatti, prova notevoli difficoltà a comunicare il disagio psichico e la determinazione a darsi la morte è molto ferma e sicura.
L’impulsività caratteriale, in quanto rende il passaggio all’atto brusco ed improvviso, deve essere oggetto particolare di interesse. Precedenti tentativi di suicidio, abbiamo detto, che nell’anziano aumentano di circa venti volte il rischio suicidario.
Le difese, come le capacità attentive, di rielaborazione dei propri contenuti emotivi e di stabilire legami con altre persone, costituiscono dei fattori protettivi nei riguardi del gesto autolesivo.
L’almanacco affettivo, costituito da situazioni significative personali, come eventi luttuosi, ed eventi capaci di suscitare emozioni incontrollabili ed impulsive, consente di ottenere informazioni preziose per una valutazione del rischio suicidario.
I test che ci consentono una valutazione del rischio suicidario, sono numerosissimi ed è consigliabile somministrarne congiuntamente più di uno, in quanto, derivando da diverse impostazioni teorico-pratiche, ci si può avvalere di più punti di vista.
Uno dei metodi per la costruzione di test suicidologici, consiste nel controllo di gruppi a rischio suicidario, come i depressi. L’individuazione delle caratteristiche psicologiche e sociali dei soggetti di questi gruppi a rischio che si suicidano, consentono di costruire dei test.Un’altro metodo per costruire test suicidologici, consiste nel considerare individui che hanno tentato il suicidio e, poi, isolare le caratteristiche di coloro che in un secondo momento si sono suicidati. D’altra parte, poi, ci sono individui che nascondono l’effettiva gravità dei tentativi di suicidio. Esistono a riguardo dei test che valutano l’effettiva gravità del gesto autolesivo, come quello di Weisman e Worden (WEISMAN M.M.,WORDEN J.W.,1972), che prendono in considerazione il possibile intervento di altre persone e il mezzo utilizzato. Il SVIATT di Diekstra e Kerkhof ha il merito (DIEKSTRA R.F.W.,1989), poi, di considerare oltre il soggetto, anche la persona a lui più significativa e altri individui dell’ambiente del soggetto, dando così una visione più ampia.Uno dei questionari che ha avuto maggiore diffusione è la “Hopelessness Scale” di Beck (BECK A.T.,1985). Il questionario di Beck, infatti, ha un’ottima predizione di suicidi. L’Hopelessness Scale, misura l’attegiamento di un individuo verso se stesso, il mondo e il proprio futuro. Il questionario è composto di 20 item dicotomici vero/falso, ed ha ottenuto più volte conferme sperimentali.
CAPITOLO IV
Prevenzione e terapia
4.1 Prevenzione
Le moltleplici variabili implicate nel comportamento suicidario, rendono immediatamente visibile la complessità del fenomeno e ci indicano che anche la sua prevenzione deve essere multimodale e flessibile. La prevenzione delle condotte suicidarie, infatti, deve essere adeguata a seconda del gruppo su cui si desidera intervenire, a seconda dell’individuo e di altre caratteristiche. L’attività preventiva, insomma, deve essere al pari delsignificato del gesto autolesivo, aperta e flessibile.La parola prevenzione, rimanda a un concetto temporale: di venir prima o anticipare le conseguenze di una malattia fisica o psicologica.
La prevenzione in campo medico e psicologico, viene generalmente divisa in tre livelli: prevenzione primaria, secondaria e terziaria. In campo suicidologico, per quanto riguarda il secondo e il terzo livello, possiamo usare al posto di prevenzione secondaria e terziaria rispettivamente i termini di: intervento e postvention. La natura stessa del fenomeno, infatti, porta ad avere nel secondo e terzo livello dell’attività preventiva i caratteri di intervento e trattamento.
La prevenzione primaria, si identifica come un intervento atto ad eliminare le possibili cause e antecedenti del comportamento suicidario. In questo senso, un intervento preventivo sulle condotte suicidarie in individui depressi, non può essere considerato come prevenzione primaria. La depressione, infatti, è già un elemento causale del gesto autolesivo, e una prevenzione primaria deve indirizzarsi ad impedire l’insorgenza stessa del disturbo depressivo. Gli interventi attuati nel livello della prevenzione primaria, quindi, svolgono un ruolo antecedente alle variabili individuate in precedenza, come l’alcolismo o le malattie fisiche e concettualmente sembrano gli interventi più auspicabili. Purtroppo, la prevenzione primaria richiede dei cambiamenti profondi nella struttura e organizzazione della società in cui è attuata e da un punto di vista operativo, quindi, è quella di più difficile attuazione (TATARELLI ROBERTO,1992). Gli interventi di prevenzione primaria, infatti, richiedono scelte economiche e politiche difficili, e la stessa programmazione e valutazione degli interventi, quand’anche queste scelte siano effettuate, sono molto complesse e suscettibili di errori.La prevenzione primaria, comunque, come quì intesa, è atta a promuovere una salute psicofisica globale per inferire una diminuzione dei tassi suicidari.
La prevenzione secondaria o intervento, invece, è indirizzata ai fattori di rischio, elementi cioè, in cui il gesto autolesivo è altamente probabile. La prevenzione secondaria, quindi, si configura sia come individuazione precoce dei fattori di rischio e sia come intervento quando necessario. Un’attività preventiva a questo livello, infatti,come per esempio su un anziano alcolista, consiste nella sua individuazione precoce e con intervento al fine di eliminare l’abuso di alcol.In questo senso, l’attività preventiva di questo livello non può essere chiamata propriamente prevenzione secondaria, ma risponde meglio alle caratteristiche di un intervento.
La prevenzione terziaria o postvention è indirizzata agli individui che hanno tentato il suicidio, indipendentemente che siano suicidi mancati o parasuicidi. Nella prevenzione terziaria o postvention, rientrano secondo alcuni autori, gli interventi che possono essere attuati sugli individui che soppravvivono ad un suicidio, come coniugi e parenti (GROLLMAN E.A.,1988).
L’attività preventiva, nonostante chiara da un punto di vista concettuale, nella realtà concreta è di difficile traduzione. Si cercherà, quindi, di suggerire delle modalità operative a tutti e tre i livelli dell’attività preventiva, indicando la direzione, pregi e difetti e tenendo in considerazione le caratteristiche delle condotte suicidarie dell’anziano. Si prenderà in considerazione il contributo di Murrel che individua diverse modalità d’intervento (MURREL S.,1973).
Il primo tipo di intervento, secondo questo autore,è il ricollocamento individuale. Il sistema sociale, per esempio, in cui è inserito l’anziano, può essere incopatibile con i bisogni e interessi di questo, tanto da scoraggiare un’eventuale adattamento individuale. In alcuni casi, infatti, l’individuo anziano può cambiare casa di cura, in quanto considera quella in cui abita invivibile.
Gli interventi, ovviamente, possono essere attuati sull’individuo, sono un esempio di questo le psicoterapie e i trattamenti farmacologici. Il terzo tipo di intervento, può essere attuato sulla popolazione o su gruppi a rischio, sono un esempio di questo le campagne di prevenzione di alcune malattie fisiche.
Un altro tipo di intervento, è quello sul sistema sociale, che consente dei cambiamenti strutturali. La facilitazione dell’uso dei centri di igiene mentale da parte di individui anziani, fa parte di questo tipo di intervento.
Gli interventi intersistemici sono diretti ad un miglior connessione e cordinamento di questi. La collaborazione, per esempio, del personale delle case di cura con i centri di igiene mentale, consente una miglior efficacia e velocità degli interventi.
L’ultimo tipo di intervento, secondo Murrel, è quello sulla rete sociale. Le campagne di informazione dei mass media, come televisioni e giornali, sono infatti, uno strumento prezioso per l’attività preventiva.
La prevenzione, quindi, può essere effettuata secondo diverse modalità, che sono quelle individuate da Murrel e secondo differenti livelli che sono quello primario, secondario e terziario.
4.2 Prevenzione primaria
La prevenzione primaria, in campo suicidologico, si prefigge l’obbiettivo di promuovere la salute globale psicofisica al fine di inferire una diminuzione dei tassi suicidari. Purtroppo, interventi di prevenzione primaria in campo suicidologico, raramente sono stati effetuati, infatti, la letteratura esistente difficilmente ne riporta.Tuttavia, interventi di prevenzione primaria potrebbero essere attuati, nonostante le difficoltà ad individuare le variabili che incidono nei comportamenti suicidari. Un’esempio di prevenzione primaria potrebbe essere un diverso atteggiamento culturale che metta in luce le caratteristiche e problematiche della tarda età.
La cultura e i valori di una società, abbiamo detto che influiscono sicuramente sui tassi suicidari. Nella cultura di alcune società, si ha un atteggiamento negativo nei confronti degli anziani, che sono visti come malati, sia fisicamente che psicologicamente, nonostante questo sia privo di fondamenti scientifici.La ricerca attuale conferma che c’é sicuramente una flessione delle abilità nell’anziano, ma anche che esistono tanti tipi di anziani (CESA BIANCHI M.,1987). La salute psicofisica di un anziano, infatti, dipende da una molteplicità di variabili, individui istituzionalizzati, per esempio, hanno una diversa situazione emotiva e cognitiva di anziani non istituzionalizzati. L’istruzione stessa incide sui livelli di abilità cognitive e la salute fisica si differenzia notevolmente da anziano ad anziano. In sostanza le condizioni di un individuo dipendono tantissimo dalla sua esperienza soggettiva e allo stato attuale non é assolutamente possibile stabilire un criterio di invecchiamento che non sia puramente arbitrario. Quand’anche, poi, le condizioni di un anziano non siano le migliori, egli ha pur sempre la sua testimonianza e memoria storica, beni insostituibili per il resto della società, in quanto fanno da tramite fra le generazioni.
Gli stereotipi e l’attegiamento culturale negativo, ledono l’autostima degli anziani, provocando sentimenti di inutilità e disperazione e incidendo così sui tassi suicidari.
Un cambiamento di direzione si potrebbe avere prendendo in considerazione, affinché, pregiudizi e stereotipi negativi vengano a mancare, diversi punti, come l’informazione scientifica, il volontariato e valori e modelli adeguati alle caratteristiche della tarda età.
L’informazione scientifica sulle reali problematiche e caratteristiche della tarda età, é fondamentale per vincere pregiudizi e stereotipi.La divulgazione deve essere effettuata su più piani, affinché raggiunga i migliori risultati. Importanza, quindi, devono ricevere interventi sulla rete sociale, come i mass media e quelli sulla popolazione del territorio su cui si vuole intervenire. La popolazione su cui direzionare la divulgazione scientifica, deve essere principalmente quella degli operatori che vengono a contatto con individui anziani, in quanto é improbabile che si possa arrivare a colpire tutta la popolazione del territorio. D’altra parte esistono dei pregiudizi anche negli operatori del settore sanitario a riguardo degli individui anziani.La formazione, comunque, dei cosidetti “paraprofessional” (poliziotti, studenti, vigili urbani etc) sulle problematiche della terza età, potrebbe offrire un valido contributo in molteplici situazioni.
Il contributo dei media é irrinunciabile per l’attività preventiva, infatti, colpisce una enorme quantità di individui con minor tempo e dispendio di energia. Si pensi ad una campagna preventiva nel territorio nazionale, diretta alla totalità della popolazione, con opuscoli e saggi, al tempo che costerebbe. I media, poi, sono necessari per proporre nuovi valori e modelli adeguati alle caratteristiche dell’età avanzata. Nella televisione, per esempio, dei modelli che fanno parte di questo gruppo di età sono sottorapresentati e quando compaiono sono in genere negativi. Nei media, infatti, modelli adeguati e positivi di questo gruppo di età, potrebbero favorire una nuova cultura dell’anziano.
Il volontariato, d’altro canto, rappresenta una risorsa enorme per la terza età, in quanto, gli anziani potrebbero conquistare dignità e prestigio sociale. Il volontariato, infatti, per la terza età offre vari ordini di benefici. In primo luogo potrebbero essere e sentirsi produttivi, in quanto, troppo spesso l’anziano soffre di problematiche di questo genere. In secondo luogo, offre possibilità di contatti interpersonali, favorendo l’inserimento sociale. La possibilità, poi, di essere utile al resto della società con servizi e opere umanitarie, contribuisce a demolire il pregiudizio secondo cui l’anziano é responsabile dei mali presenti nella società, acquisendo così simpatie e prestigio sociale.
La globalità di un tale approccio, però, diventa allo stesso tempo sia la sua forza che la sua debolezza. Interventi a questo livello, infatti, richiedono dei cambiamenti di vasta portata e sono, quindi, di difficile attuazione. D’altro canto é difficile identificare le variabili su cui bisogna intervenire per la complessità della nostra società.
L’OMS, infatti, nonostante dichiari che per l’anno 2000 si deve verificare una diminuzione dei tassi suicidari, indica privilegiatamente, come intervento di prevenzione primaria, solamente la limitazione dell’accesso a specifici mezzi suicidari (DE LEO D.,1994). Questa modalità di prevenzione, infatti, mostra la sua efficacia in numerosi lavori, come quelli di Lester nel 1990 e di Kellerman nel 1992, nei quali la detossificazione del gas domestico nel primo e il controllo delle armi da fuoco nel secondo, provocarono una diminuzione dei suicidi.
La limitazione dell’accesso a specifici mezzi suicidari, congiuntamente ad interventi di prevenzione secondaria, sembrano tutt’oggi gli interventi più auspicabili, in quanto, di più facile attuazione e dimostrabili nella loro efficacia.
4.3 Prevenzione secondaria
La prevenzione secondaria si differenzia da quella primaria per quanto riguarda l’oggetto dell’intervento e i suoi scopi e finalità. L’oggetto dell’intervento, infatti, risulta essere nella prevenzione secondaria, i gruppi e soggetti a rischio suicidario e il suo obbiettivo, l’individuazione precoce di questi e, quindi, l’intervento. Il riconoscimento immediato, comunque, dei soggetti a rischio, non si é dimostrato cosa facile. Le caratteristiche dell’età avanzata, infatti, rendono difficile l’individuazione di intenti suicidari. La comunicazione in individui anziani, acquista caratteri simbolici e avviene prevalentemente nella sfera somatica, a tastimonianza di un generico disagio, difficilmente riconducibile, però, ad intenti suicidari. Le scarse capacità comunicative degli individui anziani, poi, sommandosi alla poca conoscenza dell’età avanzata da parte di alcuni operatori con cui vengono a contatto, rende ancora più difficile l’individuazione immediata di intenti suicidari. Miller nel 1978, riporta che il 75% degli individui che si sono suicidati, ha avuto prima un colloquio con il medico di base. Una maggiore conoscenza delle caratteristiche degli anziani pare essere, quindi, un presupposto essenziale per il riconoscimento immediato del disagio. McIntosh, poi, a dimostrazione delle difficoltà dei soggetti anziani a comunicare problematiche e difficoltà, sostiene che gli anziani rappresentano solamente il 2-3% dell’utenza dei servizi di prevenzione ed hotlines degli USA. L’autore, al fine di compensare queste difficoltà comunicative degli anziani, consiglia una strategia preventiva più attiva, che vada alla ricerca dei soggetti a rischio. Anche Osgood NJ, consiglia una strategia pù attiva e dinamica di prevenzione dei soggetti anziani, che si avvalga tra l’altro di religiosi, polizia, assistenti sociali etc. Una diversa strategia preventiva, comunque, non può essere condotta se non si intensificano anche le strutture adeguate per la prevenzione delle condotte suicidarie degli anziani. L’American Association Retired Person nel 1989, riporta che su 53 centri per la prevenzione del suicidio e hotlines, solo 2 erano adibiti specificatamente per soggetti anziani. La maggior parte delle strutture, infatti, concentra l’attenzione su adulti e adolescenti, così che l’uso da parte degli anziani dei servizi preventivi, risulta fortemente ridotto. Gli interventi attuabili, comunque, di prevenzione secondaria, sono molti e tra cui alcuni si mostrano particolarmente interessanti.
Un’esperienza di queste, è stata condotta in Veneto dal 1-1-1988 al 31-12-1991. L’esperienza, che considera una popolazione di 12135 soggetti di età superiore ai 65 anni, residenti nel Veneto, valuta il servizio di Telesoccorso/Telecontrollo. Il servizio telefonico, nato inizialmente per l’assistenza domiciliare agli anziani, prevede l’utilizzo di un sistema portatile di allarme, un contatto attivo dell’utente da parte di personale addestrato e un pronto intervento per le esigenze mediche e psicologiche e un servizio di informazione e supporto. Il Servizio di Telesoccorso utilizza un sistema portatile dal peso di pochi grammi, che permette all’anziano, in caso di necessità, di mandare un segnale di allarme al centro operativo. Il segnale attiva una rete di assistenza e aiuto, in quanto, l’operatore del centro cercherà di contattare il soggetto tramite il telefono o un apparecchio a viva voce installato nella casa dell’anziano. Il soggetto può usufruire anche dell’apparecchio del vicino se non ne ha uno disponibile. Una volta accertata l’urgenza, si attiva una rete di supporto prestabilita a seconda dei bisogni, che siano psicologici, medici ed altri. Il centro operativo, poi, tramite il telecontrollo, si mette in contatto attivamente con l’utente, più volte la settimana, per accertarne le condizioni e i bisogni. L’utente, a sua volta, quando necessita, può mettersi in contatto col centro operativo, che è funzionante 24 ore su 24. La ricerca é rivolta alla valutazione del Servizio di Telecontrollo/Telesoccorso dal punto di vista dell’efficacia preventiva delle condotte suicidarie degli anziani. La popolazione presa in esame nella ricerca, però, differisce dalla popolazione generale in alcune variabili non trascurabili. Il sesso Femminile, infatti, é maggiormente rappresentato nella popolazione della ricerca, fatto sicuramente non trascurabile, in quanto, i tassi suicidari delle femmine, riportati dalla letteratura sull’argomento, sono in genere inferiori a quelli maschili. D’altro canto, nella popolazione della ricerca, i divorziati, i vedovi e le vedove e i singles, sono maggiormente rappresentati, variabili, che in genere si accompagnano ad una maggiore incidenza suicidaria. La presenza di malattie fisiche, é presumibilmente più alta nella popolazione della ricerca, in quanto, é un fattore selettivo, affinché, si possa usufruire del servizio di Tlesoccorso/Telecontrollo. La sottostima del suicidio, é probabilmente minore nella popolazione della ricerca, poiché é garantito un rapido intervento e frequente contatto con l’utente che permette nella maniera migliore di accertarne le cause di morte.La possibilità di un contatto attivo e frequente con l’anziano da parte di personale addestrato, ha permesso in numerosi casi, l’individuazione precoce di intenti suicidari e l’attivazione di reti di supporto psicologiche e sociali, permettendo così, un intervento immediato ed adeguato. Le statistiche mostrano che le percentuali di suicidi, nella popolazione del campione, risultò 7,4 volte minore di quella della popolazione generale, tenendo ovviamente in considerazione, le variabili su cui differiscono.Il Servizio di Telesoccorso/Telecontrollo, comunque, nonostante la presenza di difficoltà metodologiche, sembra sortire buoni effetti preventivi, anche se non dimostrabili in modo chiaro.
Altri interventi di prevenzione secondaria, sono quelli rivolti ad individui depressi. La depressione, infatti, é la causa maggiore di gesti autolesivi tra gli anziani e adeguati trattamenti possono essere utili al fine di una diminuzione dei tassi suicidari. I trattamenti farmacologici sugli individui depressi, possono limitare il comportamento suicidario, anche se sembrano sortire un effetto più diretto sui tentativi di suicidio. Paradossalmente i farmaci, possono diventare il mezzo con cui attuare il gesto autolesivo, la somministrazione, quindi, deve essere effetuata con molta cautela.
Anche i trattamenti elettroconvulsivi sugli individui depressi anziani, sembrano prevenire il suicidio, e nonostante il loro effetto curativo, non sia chiaro, é necessario rincorrervi sopratutto quando il paziente anziano a grave rischio suicidario, non ha risposto ai farmaci.
La psicoterapia ha guadagnato il suo posto nel trattamento dei disturbi depressivi ed é testimoniata una sua efficacia nel ridurre il comportamento suicidario in individui depressi.Le possibilità di un trattamento psicoterapico nell’anziano, infatti, sono buone, purché si rispettino gli accorgimenti adeguati alle caratteristiche della tarda età, come un’ascolto attento e partecipe.
Altri strumenti di prevenzione secondaria che meritano particolare attenzione, sono i gruppi di self-help.I gruppi di self-help, frequentissimi negli USA, in Italia ancora non hanno avuto pieno sviluppo. Le caratteristiche di questi gruppi, sembrano adattarsi particolarmente alle problematiche degli anziani, in quanto, offrono più ampia possibilità di espressione e condivisione delle sue problematiche, in genere più difficilmente gestibili in un setting psicoterapico diadico. I gruppi di self-help, si distinguono dai gruppi di volontariato, in quanto, vi è una condivisione di una determinata condizione da parte di tutti i membri e vi é un assenza di ruoli tecnici rigidi e ascritti. Nei gruppi di volontariato, invece, vi sono sia membri che soffrono di una particolare condizione e membri che non ne soffrono e vi é anche una presenza di ruoli tecnici e di figure professionali. La costituzione e l’aumento di gruppi di self-help nella popolazione anziana per problematiche di alcolismo, depressione ed altre, potrebbe offrire un valido contributo all’attività preventiva. Purtroppo, il controllo dell’efficacia dei gruppi di self-help,é reso difficile proprio dalle sue caratteristiche informali e di spontaneità .
La programmazione e valutazione degli interventi preventivi, comunque, é problematica, non solo per quanto riguarda i gruppi di self-help, ma per tutta la prevenzione primaria e secondaria in campo suicidologico.
La prevenzione secondaria e primaria , infatti, risente di problematiche metodologiche non indifferenti e non ultimo è oggetto di scarso interesse da parte della comunità scientifica. Il problema necessita assolutamente di soluzione, in quanto, come già rilevato nella parte epidemiologica, il suicidio negli anziani tenderà nei prossimi anni a subire un triste incremento.
4.4 Prevenzione terziaria
La prevenzione terziaria comprende i trattamenti attuati per evitare la ripetizione del gesto autolesivo. In primo luogo bisogna concentrare l’attenzione sulla disponibilità personale dell’operatore, che prende in carico un tal paziente. La costruzione di una relazione, per quanto instabile all’inizio, é un perequisito indispensabile, affinché si possa intervenire nella maniera adeguata. Il paziente, infatti, esperisce un sentimento di sicurezza e la possibilità di poter contare su un appoggio, in qualsiasi momento richieda aiuto, offre un notevole sostegno psicologico. La comprensione, poi, delle problematiche che l’hanno condotto al gesto autolesivo, da parte del terapeuta, gli consente di non sentirsi emotivamente isolato. La promessa della propria disponibilità senza poi poterla mantenere, può dimostrarsi molto pericolosa, in quanto il candidato suicida, troverebbe la conferma della propria inaiutabilità. Se la propria disponibilità non fosse completa, é più sicuramente auspicabile, offrire quello che si può dare, evitando, così pericolose delusioni.
Minaccie e tentativi di suicidio da parte di individui anziani, dovrebbero essere sempre considerati molto seriamente. La determinazione a darsi la morte nell’anziano, infatti, é molto maggiore di quella degli adulti e degli adolescenti e, nella maggior parte dei casi, tentativi di suicidio alle spalle costituiscono dei suicidi mancati. Una volta constatata la serietà di intenti suicidari e le condizioni di disagio psicologiche del paziente anziano, si deve prendere seriamente in considerazione, come spesso accade, l’ospedalizzazione (OSGOOD N.J., THIELMANN S., 1990.)
La poca disponibilità di supporto sociale non fa che propendere per questa possibilità. Gli anziani, infatti, vivono spesso soli e in condizioni di isolamento sociale, motivo per cui, é difficile che si possa avere un intervento esterno, per evitare il gesto autolesivo.
La serietà di intenti suicidari, nel paziente anziano, si riflette, poi, sulla letalità dei mezzi usati.
L’impiccagione e la precipitazione, infatti, costituiscono i mezzi più usati dagli anziani (ISTAT, CAUSE DI MORTE, 1994) . Queste modalità di esecuzione e le loro tristi conseguenze possono essere impedite con maggiore probabilità se il paziente é sotto costante controllo.
Gli interventi farmacologici sono una parte indispensabile della prevenzione terziaria in individui anziani. Un trattamento, infatti, attuato solamente con metodi psicologici, in individui anziani, rischia di essere limitato. Le caratteristiche della tarda età, infatti, consentono di applicare il concetto di endoreattivita di Weitbrecht, per cui, un intervento farmacologico, congiuntamente a metodiche psicologiche, sembra essere spesso più auspicabile. L’intervento farmacologico comunque, dovrebbe sortire effetti a breve e medio termine, in quanto, nell’anziano esiste un notevole rischio iatrogeno (TATARELLI R.,1989). D’altra parte interventi farmacologici per scongiurare un agito suicidario devono essere dosati molto attentamente. Esiste infatti, un rischio non remoto, di favorire lo stessso comportamento suicidario. Si possono, per esempio, provocare viraggi maniacali e induzioni di cicli rapidi. La scomparsa dell’inibizione psicomotoria, in questo caso, potrebbe favorire il gesto autolesivo. Prescrizioni senza cautela potrebbero portare a dipendenza fisica e ad abuso di farmaci.Gli stessi farmaci potrebbero essere usati dai pazienti anziani, come sempre più spesso accade, per suicidarsi. L’inefficacia del farmaco, poi, potebbe essere vista come prova della propria irrisolvibile condizione, determinando sconforto e rassagnazione, che potrebbero provocare, così, il gesto autolesivo.
La terapia elettroconvulsionante, quando il paziente anziano é a grave rischio suicidario e non ha risposto ai trattamenti farmacologici e psicologici, é particolarmente indicata (TATARELLI R.,1996.).
L’utilizzazione di terapie psicologiche, d’altra parte, nel paziente anziano, dovrebbero essere di più largo uso, in quanto attuabili ed efficaci. Freud sosteneva che, una volta superati i cinquantanni, una psicoterapia era diffilmente attuabile, sia per la diminuita plasticità mentale sia per l’eccessiva quantità di materiale da indagare. Abraham, invece, sosteneva che, anche individui in età avanzata, potevano usufruire positivamente di una psicoterapia. In effetti non si possono raggiungere cambiamenti come quelli possibili in età adolescenziale, ciononostante si possono ottenere obbiettivi del tutto ragguardevoli. Comunque le difficolta insite in una psicoterapia diadica con pazienti anziani, sono molte, intervengono, infatti, emozioni intense e di difficile elaborazione. Il terapeuta, infatti, in primo luogo si trova in genere ad essre più giovane del suo paziente. L’empatia, quindi, una delle maggiori armi della psicoterapia, viene ad essere deficitaria. Il terapeuta, infatti, non vivendo la stessa situazione del paziente, per la diversa età, difficilmente potrà comprendere la sua situazione emotiva e psicologica. L’anziano vive una condizione sociale, culturale, psicologica e biologica, del tutto differente da quella di un adulto o di un adolescente. I vissuti e i messaggi della realtà sociale che l’anziano percepisce, sono difficilmente immaginabili. La vita emotiva e psicologica per i continui lutti, pensionamento ed altri, con cui l’anziano deve fare i conti, non sono terreno fertile per il terapeuta. Le condizioni fisiche e il corpo dell’anziano sono profondamente mutati durante la sua vita. E’ nell’età avanzata che il corpo si presenta nei suoi limiti e finitezza, sensazioni diffilmente comprensibili, per chi non ne ha esperienza. Il terapeuta dovrà confrontarsi poi continuamente col tema della morte, elemento che può scatenare difese controtransferiali che possono inficiare l’intervento terapeutico. Elementi principi sono quindi, nella conduzione di una psicoterapia con pazienti anziani, l’ascolto e l’elaborazione dei propri limiti. Infatti, un ascolto attento,e partecipe, una relazione meno direttiva e attiva, consentono, almeno parzialmente, di diminuire le differenze tra il terapeuta ed il paziente anziano. L’elaborazione, poi, di propri limiti e potenzialità, cosa tutt’altro che facile,consente un intervento psicoterapeutico adatto al paziente anziano. Le psicoterapie attuabili variano da quelle psicodinamiche a quelle cognitive e comportamentali. Si propende, però, per una psicoterapia a medio e breve termine, centrata sulla crisi, in quanto sono difficilmente raggiungibili, come accennato in precedenza, cambiamenti di vasta portata. La psicoterapia cognitivo-comportamentale, nel paziente anziano a rischio suicidario, sembra dare risultati molto promettenti, come dimostrato da Gallagher e Thompson nell’83. La terapia familiare in pazienti anziani a rischio suicidario sembra indicata quando prevalgono difficoltà nel cambiamento del sistema familiare, che impediscono un equilibrio in positivo del sistema. Un altro tipo di intervento, apparentemente più semplice ed immediato, consiste nel migliorare la funzionalità dell’ambiente in cui vive l’anziano. La casa, infatti, soprattutto nei cosiddetti old-old è di notevole importanza, in quanto vi trascorrono la maggior parte del tempo. Un ambiente fisico più accogliente e funzionale, soprattutto in alcune case di cura in cui risulta particolarmente disagevole per l’anziano, consentirebbe di eliminare quelle piccole difficoltà che potrebbero essere decisive nel favorire il comportamento suicidario, come poter usufruire di una stanza singola, ambienti luminosi, un giardino in cui poter passeggiare ed altri.
Un trattamento, comunque, che si presenta particolarmente adatto ed efficacie, nei pazienti anziani, è la psicoterapia di gruppo. Il trattamento di gruppo, infatti, consente all’anziano di uscire dall’isolamento emotivo, confrontandosi con altre esperienze e, tramite queste, si può mettere in moto un meccanismo di cambiamento, prima impensabile. L’incontro con altri individui anziani consente, poi, di stabilire relazioni e contatti sociali, di cui spesso l’anziano soffre la mancanza. L’espressione e la condivisione delle problematiche dell’anziano sono più ampie in una situazione di gruppo, difficilmente gestibili, invece, in una situazione psicoterapica diadica. Il gruppo, infine, potrebbe servire al terapeuta stesso come sostegno e consentirgli di lavorare più serenamente.
CONCLUSIONI
Le mie riflessioni conclusive, riguardo al comportamento suicidario nell’anziano, possono essere condotte sia alla dimensione qualitativa che a quella quantitativa. Per quanto riguarda la dimensione qualitativa, è indubbio che l’interesse della comunità scientifica per le problematiche dell’anziano, sia inadeguato alle esigenze di questa fascia di età. L’inadeguatezza degli interventi medici e psicologici, si riferiscono anche a una dimensione, ma sopratutto a riguardo del comportamento autolesivo in tarda età. Gli strumenti e le metodiche , infatti, utilizzabili per evitare il suicidio nell’anziano sono sicuramente insufficienti. D’altra parte nella gran mole di studi effetuata sul suicidio, il suicidio nell’anziano, non riceve adeguata trattazione. Le stesse strutture di prevenzione del comportamento suicidario nell’anziano sono veramente poche. Il mio auspicio è quindi di un incremento quantitativo e qualitativo a tutti e tre i livelli dell’attività preventiva, con l’opinione che parecchia dell’inadeguatezza presente possa diminuire tramite una maggiore attenzione verso l’età avanzata da parte della comunità scientifica.
Il problema, infatti, necessita di maggiore attenzione, in quanto, il suicidio nell’anziano nei prossimi decenni tenderà ad aumentare in conseguenza del prolungamento della vita media e dell’aumento del numero di persone oltre i sessantacinque anni.
Un altro punto che a mio giudizio merita particolare attenzione, è che il suicidio nell’anziano, riceve troppo spesso un intervento di tipo farmacologico.
L’eccessiva medicalizzazione del problema, non porta infatti, a prendere in adeguata considerazione gli interventi psicologici attuabili nell’anziano che potrebbero offrire un valido contributo e trattamento delle condotte suicidarie. I problemi emotivi dell’anziano, non sono riconosciuti, nonostante la loro soluzione si costituisca momento irrinunciabile per la prevenzione e trattamento del gesto autolesivo. Gli interventi psicoterapici attuabili in età avanzata, comunque, se da una parte devono essere di più largo uso, dall’altra non devono condurre ad eccessivi entusiasmi. I limiti, infatti, di una psicoterapia in tarda età, sono reali e tangibili.
La diminuzione delle capacità fisiche, di plasticità mentale, i frequenti lutti, ed altre difficoltà, rendono l’individuo anziano più vulnerabile.
L’età avanzata, quindi, si configura come una stagione di perdite e sarebbe illusorio e difensivo affermare il contrario.
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