Un anno iniziato sotto tono (2011) – Editoriale di Paolo Pombeni
L’Unione Euopea
Il 2011 non è iniziato sotto i migliori auspici per quel che riguarda lo sviluppo dell’Unione Europea. I giornali hanno sottolineato debolezze e impasse più che non successi, o anche solo accettabili prospettive di sviluppo. E’ diventato moneta corrente il discorso che tante volte abbiamo accennato in questi interventi: si è di fronte ad una ri-nazionalizzazione dell’Unione senza che si intravvedano forze in grado di fermare questo trend. Così forse ha ragione l’ex primo ministro francese Rocard, quando vede un’involuzione della UE che andrebbe orientandosi ad essere al più “una grande Svizzera”. Per alcuni l’ennesima evidenza è venuta dall’esordio della presidenza semestrale ungherese, che ha visto lo scontro fra il parlamento di Strasburgo e il premier ungherese Viktor Orban. La materia del contendere è la legge liberticida del nuovo governo conservatore contro la libertà di stampa. Ebbene Orban, in sostanza, ha mostrato di tenere in scarsa considerazione le critiche che gli vengono dal versante europeo, poiché la sua promessa di rivedere la legge, qualora risulti in contrasto con le norme comunitarie, è piuttosto farisaica. Naturalmente per capire la debolezza delle reazioni che può aspettarsi Budapest basta rifarsi alla debolezza complessiva del sistema comunitario. Insistere per l’ennesima volta sulla mancanza di leadership è banale, ma purtroppo è quel che si deve dire. Il componente più forte del Consiglio europeo, cioè Angela Merkel, ha grande peso economico, ma politicamente fa fatica ad emergere. Appare sempre più come il difensore, anche di corte vedute, della supremazia produttiva tedesca, ma non riesce a coalizzare attorno a sé un nucleo di consenso forte. Sarkozy, che sarebbe il suo partner naturale, non attraversa un buon momento. La sua attuale posizione al vertice del G20 è una carica di routine, in cui si può fare qualche bel discorso ma poco più. Se si prendono i tre punti cardine annunciati come programma della sua presidenza, (regolazione dei mercati agricoli e dei prezzi delle materie prime, stabilizzazione dei mercati monetari e miglioramento della governance mondiale), non si può dire di trovarsi di fronte ad un vero programma politico, anche perché non si vede poi come il presidente francese riuscirà a spingere i suoi partner ad attuarli. Peraltro la Francia non è un paese con una governance economica di un livello tale da suggerire agli altri la dovuta attenzione perché da essa si potrebbero avere delle lezioni. Come dicevamo, è il cancelliere Merkel il perno del dibattito economico perché è dalle sue casse che ci si aspettano i mezzi per mettere al sicuro l’evoluzione dell’euro. Si tratta di un’impresa che, a prescindere dalle dichiarazioni del ministro Westerwelle sulla impossibilità che i cittadini tedeschi facciano sacrifici per le crisi degli altri, la Germania sembra disposta a portare a termine anche nell’interesse non secondario di difendere gli investimenti del suo sistema in quei paesi che adesso bacchetta come “birichini”. Tuttavia, per tenere fede a questo impegno, la Germania chiede, sostanzialmente, la direzione politica delle operazioni comunitario di salvataggio. Questo, infatti, e non altro, significano le regole stringenti che si vogliono imporre agli interventi di sostegno e che vanno nella direzione di depotenziare quanto meno le possibilità di autoregolamentazione dei paesi che hanno bisogno del sostegno della finanza comunitaria. A noi sembra però che per il successo di una simile politica, che potrebbe avere anche i suoi lati positivi, sia necessario che l’Europa ritorni ad avere una alta considerazione da parte dei suoi cittadini. Al momento questo sembra piuttosto difficile visto che, per restare all’ultimo clamoroso caso, nelle rivolte che stanno scoppiando nella fascia africana che si affaccia sul Mediterraneo l’Europa non è solo assente, ma non è neppure invocata. Le popolazioni in rivolta è o guardano all’Islam o polemizzano con gli USA, ma si capisce che continuano a considerarli un punto di riferimento, magari in negativo, mentre nessuno, per quel che se ne sa, invoca la democrazia “come in Europa”. Il dato non ci sembra banale visto che l’Europa è la dirimpettaia degli Stati africani che si affacciano su quella riva e che ha addirittura cercato di legarli a sé con varie formule, da ultimo la “mitica” Unione per il Mediterraneo. Su di essa ha sicuramente ragione l’ex presidente della Commissione Romano Prodi che ha notato come si trattasse di un caso in cui sotto le parole altisonanti c’era ben poco, per non dire nulla. Il fatto è che l’UE ha ereditato la tendenza storica alla realpolitik, per cui si è adattata ai regimi dittatoriali o autoritari, non solo in Nord Africa, ma anche, per esempio, nel caso di vari stati usciti dal crogiuolo ex-sovietico. Adesso rimettere insieme i cocci in cui è finita quella politica è assai difficile, ma ciò significa perdere una capacità attrattiva verso l’esterno che di conseguenza diventa una debolezza di identità verso il suo interno.
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