Fantasmi di guerra: soldati amici e aerei nemici di Antonio Maria Murgia
Nella primavera del 1944, un giorno mentre le rondini si rincorrevano in volo nel piazzale della casa rurale, spuntarono dai cespugli di macchia mediterranea, una trentina di soldati che chiedevano del latte appena munto, di pecora o di capra; i miei genitori vedendoli in stato pietoso si premurarono di somministrare loro del latte caldo. Per tutti noi era una novità incontrare in una terra selvaggia e abbandonata dei militari.
Non potevamo che applaudire a quell’ insolito avvenimento. Ci sentimmo sicuri dai malavitosi con quei militari armati, che finalmente ci proteggevano. I soldati si presentavano come brave persone che vedevano in noi gente smarrita, ma ospitale. Si comportarono nei nostri riguardi con riconoscenza come se fossero a casa loro. Vista la nostra generosità furono subito servizievoli rendendosi utili nei lavori domestici e agricoli. Ricordo che essendo loro simpatico mi prendevano in braccio e mi sollevavano come un bambolotto. Le stesse carole fecero pure ai miei fratelli Gavino e Lucio e alle mie sorelle Tomasina e Mirella. Con tutti si viveva in festosa armonia tanto più perché ci fornivano della legna da ardere al focolare di casa.
Tutta questa festa fu interrotta un giorno quando apparvero nel cielo, al posto delle rondini, dei rumorosi aerei militari nazisti con una svastica sulla tela di entrambe le ali. I militari a tale apparizione si nascosero nella folta vegetazione finché non scomparvero gli aerei. Mio padre in quei giorni fu costretto a recarsi più spesso in paese col carico di grano da macinare presso il mulino del dott. Marcellino, gestito da tiu Raffaelle Seche per ottenere abbondante farina da sfamare noi e i militari.
Ricordo che in un recinto il nostro puledro ancora non svezzato dal latte materno se ne stava tutto solo, quando mio padre prendeva la cavalla per recarsi a macinare il grano.Una mattina riapparvero i soliti aerei che volavano bassi quasi volessero scovare dei nemici. Il cavallino nel recinto, dopo aver sentito il rombo di quegli aerei, spaventato, saltò fuori dal recinto fratturandosi una gamba anteriore.
Mio padre, al ritorno dal paese, trovò questa inaspettata iattura del puledro invalido ormai condannato a sicura morte. Mentre i militari a questo punto approntavano le loro armi per un abbattimento di quegli aerei nazisti, mio padre negò loro il consenso, e cosi si rinunciò all’abbattimento degli aerei nemici, evitando una rappresaglia che sarebbe stata tragica per noi.
Il cavallino, dietro ordine di mio padre, fu abbattuto con la pistola di ordinanza del comandante, in quanto non guaribile a causa della rottura della gamba ormai fratturata irrmediabilemte. Cosi il grazioso e utile animale fu abbattuto al posto di quegli aerei nemici venuti dal nulla e scomparsi nel nulla. In quella località detta su Cantine, luogo impervio e selvaggio, volpi, cinghiali e capre regnavano scendendo dalle rocce sconnesse nel vallone di Oloitti, possedimenti dei Brundu, che parlavano il Gallurese, gente semplice e amica della nostra famiglia.