Padre Antonio Sategna (1885-1958), Prete della Missione.
Era giunto al Seminario di Sassari nel 1919. Vi rimase ininterrottamente per circa quarant’anni, fino alla morte; prima come professore, poi come direttore spirituale dei seminaristi. Chi l’ha conosciuto, lo ricorda come professore di Lettere sempre puntualissimo, esigente e severo, che però, a fine anno scolastico, promuoveva tutti. Dai suoi scritti emerge tutta la sua profonda spiritualità vincenziana, riguardo all’apostolato poco appariscente della formazione seminaristica, che ricalcava quell’altra di Padre Giorgio Vasco Pigoli (1885-1967), suo coetaneo, quando, in una ripetizione della meditazione ricordava “i sacrifici specialmente nella vita di missionari in seminario, dove tocca sacrificare anche le aspirazioni dell’apostolato e delle missioni sia estere che nostrane, vivere una vita monotona ed eguale, insegnare materie aride e non sempre raccogliere affetto e riconoscenza, uscire di rado ed essere come morti al mondo e il mondo a noi…”. Questo fu il suo apostolato!
Ma a queste incombenze, lungo gli anni, se ne aggiunsero anche altre: predicatore di ritiri spirituali ai sacerdoti, ai chierici di Cuglieri e ai seminaristi in varie diocesi della Sardegna e del continente, assistente del Circolo missionario “San Francesco Saverio” e Direttore dell’Ufficio Missionario Diocesano. Erano gli anni che seguirono l’istituzione della Giornata Missionaria Mondiale del 1926, col fervore comunicativo dei confratelli PP. Ottavio Purino, Giacomo Anselmo, che sarebbe stato martirizzato nel 1934, e numerosi altri, che dalla Cina inviavano relazioni entusiasmanti del loro apostolato, tramite la rivista Missioni Estere Vincenziane.
Dedicava i tempi liberi anche per visitare i malati a domicilio, i ricoverati nei diversi istituti assistenziali di Sassari (Rifugio Gesù Bambino, Ospizio San Vincenzo, Istituto dei Sordomuti, dei Ciechi, Casa Divina Provvidenza) come pure di Nulvi e di Lu Bagnu. I netturbini di Sassari lo consideravano il loro cappellano particolare, ai quali garantiva personalmente soprattutto la celebrazione annuale del precetto pasquale. Predicava e incoraggiava volentieri, ancora, le nascenti comunità religiose delle Figlie di Mater Purissima e di Sant’Angela Merici. Insomma, dopo la morte di Padre Manzella, fu soprattutto lui, in città, a curarne spiritualmente le opere e istituzioni.
Fu sincero devoto di Padre Manzella. Ebbe il compito di raccoglierne gli scritti e di scriverne la vita. La biografia da lui curata, edita nel 1945, resta tuttora la più completa e avvincente. Così “Il Signor Manzella Prete della Missione, Apostolo della Sardegna” ebbe risonanza pressoché nazionale negli anni Cinquanta perché accolto e letto pubblicamente anche nei seminari religiosi e diocesani pressoché di tutta Italia.
La sua prima testimonianza di devozione sincera a padre Manzella appare con chiarezza quando descrive le ultime ore della sua malattia mortale: “Chi scrive queste memorie, salutando il confratello e padre amatissimo, che non avrebbe più riveduto, e piegandosi a riceverne in ispirito la benedizione, mormorò: ‘Addio, anima bella; quando sarai presso il Signore, tu che solo sapevi la profonda mia miseria, prega per me e ottieni misericordia e perdono per le innumerevoli colpe della inutile mia vita’. E scoppiò in singhiozzi…”.
Fu anche l’unico confratello di Sassari, nei primi trent’anni, a tenerne la commemorazione annuale. Particolarmente significativo è questo brano: “Il soprannaturale s’irradiava da lui nell’istante in cui benediceva i suoi malati… Si disse di S. Giuseppe Benedetto Cottolengo che aveva più fede lui di tutta Torino; io sarei tentato di dire che il Signor Manzella sorpassava nella fede lo stesso Cottolengo. ‘Ormai – diceva un giorno mestamente – non si crede più a nulla. C’è bisogno di qualche segno. S. Paolo dice che i segni (prodigi) sono dati per gli infedeli. Oggi, anche fra i cristiani, il mondo è pieno d’infedeli’. E prendere la medaglia miracolosa, benedirla, imporla all’ammalato, anche grave, fargli ripetere: ‘O Maria concepita senza peccato, ecc.’ e dirgli: Va’ che starai sano; era la stessa cosa. A me che un dì assistendo ad una di queste scene, ripetentesi cento volte al giorno, gli dicevo: ‘Ma Signor Manzella, come si fa a benedir così un’ammalata che ha già la morte scritta in volto?’. ‘Eh caro mio – mi rispondeva – umiltà ci vuole, ci vuole umiltà!’. Parola rivelatrice. Ecco il segreto della misteriosa potenza: il nulla dell’uomo, il tutto di Dio. Del resto egli non lo negava. Anzi – ed è qui la prova massima della verità nella semplicità – egli stesso narrava i fatti più significativi. ‘E che perciò, diceva, non sono per questo migliore. Se faccio un atto di carità, di pazienza, di umiltà è mio: se compio un miracolo… è Dio’. A volte scherzosamente aggiungeva: ‘Io do la medaglia benedetta, la Madonna fa la grazia e poi… danno la colpa a me. Povero Manzella!’. Così parlano ed operano solo i Santi”.
Era, infatti, sua ferma convinzione “che il Servo di Dio fosse ripieno dello spirito di fede e di questa fede vivesse… Non solo credeva, ma viveva nel soprannaturale: si sarebbe detto che vedesse Dio”, com’ebbe a scrivere in occasione del Processo Informativo Diocesano della Causa di Beatificazione.
Possiamo affermare che Padre Antonio Sategna (1885-1958) fu, tra i confratelli, il primo e vero devoto di Padre Manzella. Si spense in un letto delle Cliniche San Pietro di Sassari all’alba del 22 febbraio 1958. Le cronache di quei giorni sottolinearono l’imponenza dei suoi funerali: non meno di 50 mila sassaresi resero omaggio alla sua salma, nella Cappella del Seminario, in Cattedrale e nel corteo fino al cimitero. E rivelarono quanto fosse conosciuto, venerato e stimato.
Eppure suo cruccio era sempre stato il fatto di non aver avuto la possibilità di esprimere il suo sacerdozio come avrebbe voluto: missionario in Cina o predicatore itinerante sulla scia del suo confratello Padre Manzella. Ma l’obbedienza alla volontà di Dio fu sempre il cardine del suo itinerario di santità, alla quale anelava con determinazione e perseveranza. Finché la raggiunse e non in grado ordinario. Padre Giovanni Cau ha riportato alcuni giudizi su di lui di vescovi e personalità illustri: “sacerdote esemplare e zelante”, “apostolo per la formazione del clero”, “maestro illuminato, padre buono e fulgido esempio di vita sacerdotale” e “un altro santo ci lascia”.
Io ho avuto modo di conoscere questo zelante missionario che senza darlo a vedere possedeva tanta saggezza un amore ineffabile per il Signore.
Affetto dalla stessa imperfezione fisica di Gramsci, faticava non poco a camminare e spesso aveva difficoltà a respirare, tuttavia di fronte alla sua intelligenza, al suo fervore a ben guardarlo non si notava questo suo limite fisico. Girava la città a piedi, faticando non poco; saliva le scale degli ospedali senza ascensore e non si risparmiava alcuna fatica apostolica.(A. T.)
Commenti
Ricordo che veniva a portare la comunione a mia nonna tutte le settimane,anche quel giorno della neve del 56,lui con la sua gobbetta in mezzo alla neve non è mancato al suo dovere verso mia nonna inferma! Grazie Padre Sategna,quante volte mi sono provato il tuo cappello.
Dicembre 29th, 2016