Il Castello di Chiaramonti di Gianluigi Marras
Introduzione
Il castello di Chiaramonti è da sempre noto agli storici sardi, che tuttavia hanno generalmente fornito solo laconiche informazioni sulla sua storia ed evoluzione nello scorrere del tempo, sulla sua ubicazione e sulle eventuali strutture materiale superstiti. La vulgata ha in particolare tramandato le notizie di un castello appartenuto dapprima ai Malaspina, poi ai Doria (Matteo, Brancaleone e Niccolò), la cui torre è stata poi riutilizzata come campanile della parrocchiale del centro di Chiaramonti.
La mia ricerca[1] parte da queste basi per cercare di fare il punto sulla storia, le strutture materiali e l’evoluzione del castello di Chiaramonti, partendo dall’analisi delle fonti archeologiche, e prima di tutto dagli imponenti ruderi della chiesa di San Matteo, e dalla raccolta delle fonti documentarie edite. Naturalmente non si ci si è posti limiti documentando ogni tipo di emergenza presente nel sito e ogni reperto, a prescindere dalla loro cronologia e funzione. Riteniamo infatti che solo procedendo con un approccio scevro di pregiudiziali si possano raccogliere tutti i dati concernenti un sito, per poterne poi ricucire la storia.
Lo studio dei castelli medievali della Sardegna, e in particolare riferimento alla situazione del Regno di Torres[2], è stato spesso condotto con criteri e metodi non troppo scientifici e risente inoltre della mancata ricaduta del dibattito nazionale e internazionale, avviato dalle tesi del Toubert negli anni 70’ e i cui frutti, a livello archeologico, sono giunti dalla fine degli anni 80’, con un alto grado di raffinatezza specialmente per i contesti liguri, laziali e toscani.
Poco interesse ha infatti finora suscitato il tema dell’incastellamento, ovvero delle ricadute della fondazione dei castelli sull’insediamento preesistente, e pochi i contesti studiati, sia dal punto di vista storico che archeologico; da ricordare comunque le analisi storiche e archeologiche effettuate nei castelli di Bosa, Monteleone Roccadoria, Ardara e Castelsardo da parte dell’èquipe del prof. Milanese e gli approfondimenti della documentazione specialmente aragonese effettuata negli ultimi anni da Angelo Castellaccio, Giuseppe Meloni, Giuseppe Spiga, Alessandro Soddu e Franco Campus, che hanno mostrato come possa essere ancora fruttuosa la ricerca negli archivi iberici.
Al contrario molti dei repertori e degli studi finora pubblicati risentono di un approccio superficiale alle fonti: ciò ha causato la persistenza di errori e imprecisioni storici e la creazione di una serie di equivoci (quali castelli mai esistiti e periodizzazioni errate) la cui correzione è essa stessa una fase importante del lavoro storico.
In estrema sintesi si può affermare che solo dopo la fine del Giudicato di Torres, e con il consolidarsi delle signorie territoriali di Doria e Malaspina, degli Arborea e del Comune di Sassari, si sviluppa massicciamente la fondazione di castelli e rocche. Tali siti sono posti a controllo di punti particolarmente importanti per le comunicazioni terrestri e marine e il controllo interno o ai confini delle signorie stesse; essi sembrano inoltre assurgere al ruolo di capoluoghi delle antiche curatorie. Appartengono presumibilmente a questa fase i castelli di Alghero (Curatoria di Nulauro), Monteleone (Nurcar), Castelgenovese e Casteldoria[3] (Anglona) etc. per quanto riguarda i Doria e Bosa (Curatoria di Frussia) appartenente ai Malaspina[4].
Il processo d’incastellamento subisce una forte accelerazione con l’arrivo nell’isola degli aragonesi (1323) e ha come attori protagonisti la stessa Corona d’Aragona, il Giudicato d’Arborea (da Ugone II a Guglielmo di Narbona) e i Doria.
Anche nel settentrione dell’isola, diviso fra le varie forze in campo e perciò continuamente oggetto di rivolgimenti, passaggi di possesso, combattimenti e passaggio di eserciti, si ha la fondazione di numerosi castelli. Come si vedrà appartiene a questo momento storico la nascita di Chiaramonti, e inoltre di Roccaforte presso Giave (Costavalle), Capula e Sorres (Meilogu), Longonsardo[5], San Giuliano presso Alghero e, all’epoca degli scontri con Guglielmo di Narbona, Macomer[6] e altri[7].
A partire appunto dalla conquista aragonese la famiglia dei Doria cerca di consolidare la sua posizione con nuove postazioni a controllo di aree delicate e spesso contese tra le varie forze in campo; sembra dunque trattarsi di vere e proprie basi militari, che infatti solo raramente avranno valenza insediativa e un reale impatto sul territorio. Chiaramonti fa, in questo frangente, storia a sé: infatti non solo conosce un rapidissimo sviluppo di tipo “urbano” ma supererà il suo ruolo di castrum per diventare villa popolosa[8], che sopravvive alla crisi insediativa della fine del medioevo.
Il contesto di formazione
L’area precedentemente pertinente al Giudicato di Torres dopo la conquista aragonese attraversa decenni di profonda instabilità politica; divisa infatti fra i feudatari iberici, il Comune di Sassari e le famiglie nobili di origine continentale (i Doria, suddivisi peraltro in vari rami spesso in contrasto, i Malaspina e gli stessi Arborea) soffre di un lungo periodo di crisi causato dall’incertezza istituzionale, dalla crisi economica e demografica e dalle continue campagne militari che fiaccano uomini e risorse.
Non sfuggì a tale congiuntura l’Anglona, antica curatoria racchiusa fra il mare a nord, il corso del Coghinas ad est, il massiccio del Monte Sassu a sud e il Rio Silis a ovest, confinante con il Giudicato di Gallura e le curatorie di Monteacuto, Ogianu, Bisarcio[9], Ardara, Ploaghe e Romangia, appartenente alla Diocesi di Flumen (o Ampurias). Essa era stata inglobata, a partire dalla seconda metà del duecento nei possedimenti dei Doria, che sembra l’avessero acquistata dai Malaspina nel 1282[10].
I Doria avevano costruito le piazzeforti di Castelgenovese (attuale Castelsardo, a controllo degli approdi marini di Frigianu e Cala Ostina) e Casteldoria (in posizione strategica sul basso corso e la piana del Coghinas, area importante per la fertilità dei suoli alluvionali e per i traffici marini e fluviali).
I Doria, suddivisi in vari rami e signori di Anglona, Ardara, Capputabbas, Nurcara, Nulauro, Nurra, all’arrivo degli aragonesi nel 1323 avevano fatto atto di sottomissione[11]. Tuttavia erano stati i primi a ribellarsi già nel 1324/26[12], proseguendo poi la guerra nei decenni seguenti, nonostante gli aragonesi tentassero di risolvere la controversia mediante vari tentativi di acquisto dei loro beni[13].
La fondazione di Chiaramonti sembrerebbe ascrivibile alle cosiddetta seconda fase della guerra in Sardegna fra i Doria e la Corona d’Aragona, facies sarda della guerra mediterranea che oppose nel corso del secolo le due potenze di Aragona e Genova. Questo periodo delle ostilità va circa dal 1346 al 1354[14] e ha come nodi fondamentali l’istruttoria intentata dal Governatore aragonese nell’isola contro la casata ligure nel 1346[15], la ribellione[16], la battaglia di Aidu de Turdu nell’agosto 1347[17], il continuo assedio a Sassari[18] e infine l’arrivo di Pietro IV nell’isola e l’assedio di Alghero (1354)[19].
Vicende storiche 1350-1388
In un documento datato 16/9/1348[20] il giudice d’Arborea Mariano IV, ancora fedele alla Corona aragonese, avverte l’infante Pietro che una parte dei nemici che assediavano Sassari si sono diretti in Anglona per costruirvi un fortino. A tale data in Anglona, proprietà dei fratelli Galeotto (e dopo la sua morte, precedente il 11/4/1346, di suo figlio[21]), Cassano, Brancaleone, Matteo, Manfredo, Casteldoria e Castelgenovese sono vitali da tempo; al contrario non sono note nel periodo successivo altre fortificazioni nella regione, motivo per cui il suddetto documento dovrebbe rappresentare la notizia dell’inizio dei lavori di costruzione della fortificazione di Chiaramonti.
Per tentare di comprendere le ragioni di tale fondazione è necessario considerare alcuni elementi:
- la posizione geografica, particolarmente favorevole perché a controllo della pianura interna dell’Anglona a nord-est, delle vie di comunicazione con la Gallura e il Monteacuto a sud e con Osilo, Sassari e Castelgenovese a nord-ovest e nord. Durante l’assedio di Sassari era sicuramente utile controllare una delle vie di passaggio fra il Monteacuto (in possesso dal 1332 di Giovanni d’Arborea fedele alleato di Pietro IV[22]), Osilo[23], ceduta dai Malaspina ai catalani proprio perché strategica contro i Doria[24], e Sassari, in mano ai catalani[25];
- le recenti infeudazioni dei villaggi della vallata interna dell’Anglona (Orria Pithinna, Orria Manna, i tre Ostiano, Sevin, Martis) a Giovanni d’Arborea prima e a Poncio de Santa Pau poi da parte del Viceré Rambaldo de Corbera[26]. Quest’area infatti era probabilmente centrale nell’approvvigionamento di grano e sappiamo essere in crisi produttiva e carestia di grano, oltre che ripetutamente percorsa e devastata dalle truppe regie in armi.
Dunque l’Anglona meridionale era, per ragioni strategiche e politiche un punto importante che necessitava di un controllo maggiore. Comincia inoltre da ora una tripartizione amministrativa (Castelsardo, bassa valle del Coghinas, Anglona) che proseguirà in epoca feudale con la città regia, la contea del Coghinas e il principato di Anglona.
Nel 1350, più precisamente il 1 agosto, abbiamo la prima notizia sicura del castello di Chiaramonti[27], confermato dal viceré Rambaldo di Corbera ai fratelli Brancaleone, Matteo e Manfredi Doria[28]. Ancora nel 1353 è confermato come feudo ai Doria suddetti, nell’ambito degli accordi per Alghero, dal re Pietro IV il 31 gennaio[29]. Nello stesso 1353 è già morto Brancaleone e prendono l’iniziativa i fratelli Manfredo e Matteo, specialmente quest’ultimo, che nello stesso anno, insieme a Mariano IV di Arborea, riprende le ostilità contro Pietro IV[30]. Durante questa fase Chiaramonti fu probabilmente un importante caposaldo per Matteo Doria, che nel frattempo era stato privato di Castelgenovese[31] e Monteleone[32] dagli aragonesi, che avevano conquistato il 17 settembre anche Casteldoria. Poco dopo Monteleone e Alghero si ribellarono e tornarono a Doria e Arborea, che alleati[33] contro i catalani ripresero anche Castelgenovese, Bonvehi e quasi tutta l’isola[34].
Nel 1354, durante l’assedio di Pietro IV ad Alghero una fonte ci dà notizia del passaggio di Chiaramonti agli aragonesi, tramite anche la mediazione dell’abate di Tergu Guglielmo[35]. Pietro IV, in data 31 luglio, infatti perdona Arçoccum Poligue, castellanum Claramontis, e tutti gli altri abitanti dello stesso castello, per i delitti commessi a causa della ribellione, di cui Guglielmo assicura non essere colpevoli, e gli concede un guidatico per poter venire in sua presenza, cosa di cui informerà anche il capitano di Sassari e del Logudoro e gli altri ufficiali. All’abate e al suddetto capitano conferisce inoltre la potestà di accogliere in sua vece l’omaggio dei chiaramontesi.
L’11 luglio del 1355 si addivenne infine alla firma della Pace detta, dal luogo della firma, di Sanluri[36]: in questa Matteo Doria promette di consegnare, in attesa dell’arbitrato papale, le rocche di Castelgenovese, Chiaramonti (…castris sive fortalitiis de…Clarmonte…[37]) e Roccaforte all’arcivescovo di Oristano (o al vescovo di Usellus)[38].
Nonostante il recente accordo nel novembre dello stesso anno Pietro IV lamenta, in un memoriale indirizzato a Jaspert de Tragura (suo emissario alla corte papale ad Avignone anche per la risoluzione dell’arbitrato suddetto), le continue ribellioni di Mariano IV e Matteo Doria e chiede fra l’altro come indennizzo il castello di Chiaramonti (sottratto alle guarnigioni regie da Matteo Doria)[39]. Il nodo del contenzioso sta proprio nel possesso dei suddetti castelli che i genovesi non vogliono cedere e che la corona vorrebbe, anche in cambio di “…loca plana…”[40]; a tale scopo viene inviato ad Avignone R. Berengario[41]. La questione andrà avanti fino all’accordo di Asti (8 ottobre 1360), nel quale verranno riconosciute ai Doria le terre che possedevano prima del 1330[42], lasciando così in realtà aperto il problema del possesso di Chiaramonti.
Nel frattempo, nel 1357, troviamo Chiaramonti in mano a Brancaleone Doria[43], figliastro di Brancaleone (morto nel 1353) e di una certa Giacomina e erede in cerca di legittimazione dopo la morte dello zio, avvenuta nello stesso 1357[44], (lo stesso nel frattempo aveva ripreso Casteldoria[45], cosa che aveva causato la ripresa delle operazioni belliche aragonesi, con l’incendio e la devastazione delle terre di Matteo Doria da parte di Galcerando de Fenollet nel 1356[46]).
Nel 1357 c’è dunque la trattativa di Brancaleone con gli aragonesi per le nozze della sorella Violante, erede legittima dopo la morte di Matteo di tutti i suoi averi, con un aragonese per portargli in dote Chiaramonti, Casteldoria, Castelgenovese e l’Anglona mentre egli stesso avrebbe dovuto unirsi a una catalana o aragonese[47]. In realtà Violante Doria andò in sposa prima a Luca e poi a Corrado Doria[48] e Brancaleone sposò, una decennio circa dopo, Eleonora d’Arborea[49]. Tuttavia le suddette località gli sono ancora confermate in feudo nel 1359[50] e nel 1361[51], quando Chiaramonti gli viene infeudato perché sembra aver accettato le trattative matrimoniali e sembrava dover sposare Bianca de Melany.
Nei decenni successivi abbiamo invece scarsissime notizie su ciò che succede al castello di Chiaramonti. Brancaleone Doria conduce una politica rivolta al proprio interesse e sposta spesso le sue alleanze fra la Corona d’Aragona e il Giudicato di Arborea[52]; probabilmente fra il 1366 e il 1367 è da porre il suo matrimonio con Eleonora d’Arborea, figlia del Giudice Mariano IV. Ciò non impedisce al nobile di tornare fra il 1369 e il 1370 nelle grazie di Pietro IV e di condurre varie azioni di guerra contro Mariano IV[53], con cui c’è una tregua nel 1371[54]. Proprio nell’ambito di questi scontri abbiamo la notizia che il Giudice devasta i raccolti delle terre di Brancaleone e in particolare le campagne di Chiaramonti nel marzo del 1370[55].
Tuttavia i rapporti col re aragonese dovettero permanere buoni se nel 1383 si reca a Barcellona dove ottiene la contea di Monteleone e viene quindi imprigionato[56] fino al 1390, dopo la firma della pace fra Giovanni I d’Aragona e Eleonora d’Arborea.
Terra sive Locus Çaramonte
Nel testo dell’accordo della suddetta pace del 1388[57] possiamo notare come Chiaramonti non appaia più come semplice castello ma come Terra sive Locus Çaramonte[58], il cui rappresentante (sindicus actor et procurator) è Nicolaus de Vare e il Potestà Joanne Pisquella. Dunque in questo momento sembriamo essere di fronte ad un’istituzione comunale o comunque “protourbana[59]”, le cui pertinenze sono distinte da quelle dell’Anglona (qui citata come contrata Anglone[60], che firma comunque a Chiaramonti, così come i rappresentanti del Caputabbas firmano a Monteleone[61]) e di Castelgenovese (che comprendono anche Coghinas e Casteldoria). Una stima operata da John Day reputa inoltre Chiaramonti il centro più grande dell’Anglona dopo Castelgenovese[62]. Lo stesso documento ci dona un dato materiale informandoci che la riunione dei iuratos avvenne ante domum habitacionis potestatis predicti.
In questo quarantennio si opera inoltre un processo di riorganizzazione insediativa dal fortissimo impatto sul territorio. Alla firma del trattato per la Contrada di Anglona partecipano i rappresentati di Martis, Laerru, Nulvi, Perfugas, Bangios, Bulzi e Sedini. Ciò ci suggerisce la scomparsa, o un forte ridimensionamento che porta alla perdita della personalità giuridica, di molti centri esistenti a metà del XIV secolo, sicuramente Bolonjanos, Lesegannor, Orria Pithinna[63], Orria Manna, Sevin, Ostiano de Monte, Ostiano de Ena, Ostiano de Ostentano e Gavazana[64], mentre non possiamo essere certi della sorte delle numerose domus, domestie e Donnicalie attestate nell’area.
Il fenomeno, peculiare di tutta l’isola, assume per l’Anglona proporzioni eccezionali; molti dei centri abbandonati risultavano già in forte crisi demografica in un documento fiscale aragonese datato fra il 1349 e il 1350. Le cause di ciò, oltre alla congiuntura europea, possono essere nello specifico maggiormente enucleate nella forte crisi cerealicola già segnalata nella seconda metà degli anni 40’ e nelle ripetute devastazioni militari cui va soggetta l’area dagli anni 40’ almeno fino al 1370.
Un altro fattore da considerare è sicuramente l’impatto del castello di Chiaramonti sul sistema di insediamento, che può aver (con)causato la scomparsa di molti abitati, forse grazie anche a possibili privilegi offerti dai signori Doria a coloro che vi si fossero trasferiti; di tali privilegi potrebbero essere una traccia alcune esenzioni fiscali, come il deghino, da cui i chiaramontesi erano esentati ancora nel XVIII secolo[65].
Dopo la pace Chiaramonti scompare nuovamente dalle fonti per un periodo, dal 1388 al 1412, fondamentale per l’esito dello scontro fra la casata giudicale e la Corona d’Aragona.
Nel 1407 muore il vecchio Brancaleone Doria e gli subentra nel governo dei suoi territori personali il figlio Niccolò (o Nicoloso), spesso denominato “il Bastardo” nei documenti iberici a causa della sua nascita illegittima. Anch’egli sembra perseguire una politica di interesse strettamente personale alleandosi ora con i catalani ora con il giudice Guglielmo di Narbona. In un momento poco chiaro di tali scontri troviamo il suddetto Giudice che, accampato in ssu campu de Seramonte in Codenia rasa il 15 febbraio del 1412 concede in feudo il villaggio di Monti al cittadino sassarese Pietro de Feno[66]. Non è chiaro la causa della presenza di Guglielmo a Chiaramonti: secondo alcuni avrebbe assediato la piazzaforte di Niccolò che però sappiamo in quel momento (più precisamente ancora a maggio) prigioniero e privato dei suoi territori fra cui appunto sa contrada de … Çiaramonte cum sa contrada de Anglona[67].
In questo momento Chiaramonti non appare nelle fonti per qualche anno ma sembrerebbe appartenere alle proprietà del Giudice più che a quelle dei Doria. Infatti nei capitoli di tregua stipulati da Guglielmo di Narbona ad Alghero il 25 maggio 1416è fra l’altro prevista la proibizione di assalire i territori arborensi, fra cui Xaramunt ab la encontrada de Unghioni[68].
Una conferma di ciò ci sembra di desumere dal fatto che al Parlamento indetto da Alfonso il Magnanimo nel 1421 l’incontrata de Claramunt appartenga al braccio reale e non a quello militare come feudo di Niccolò Doria. Secondo il Boscolo e la Schena ciò deriva dalla mancata rifeudalizzazione delle proprietà di Guglielmo di Narbona che da poco aveva venduto i suoi diritti al Re aragonese, tanto è che appaiono nella stessa situazione anche il Goceano e il Monteacuto, antiche pertinenze giudicali[69].
Tuttavia l’antico territorio del Regno di Torres, e in particolare l’Anglona e il Monteleone, pertinenze di Nicolò Doria, non sono ancora pacificati, nonostante l’infeudazione dell’anglona a Bernardo Centelles il 15 febbraio del 1421[70]. Infatti, nonostante la ratifica del donativo regio Chiaramonti, Monteacuto e Goceano non partecipano al parlamento perché spinte da Niccolò Doria alla rivolta contro i fiscalismo regio[71]. Ancora negli anni trenta il nobile mantiene evidentemente degli interessi a Chiaramonti mentre cova le ultime ribellioni contro il potere regio con le ribellioni del 1434-1436 (caduta di Monteleone) e del 1437. Addirittura secondo alcuni è ancora un suo possesso[72]. Nel 1450 circa scompare Nicolò Doria, come abbiamo visto ultimo oppositore degli aragonesi, e gli uffici di castellano di Castelgenovese vanno nel 1453 allo stesso Centelles[73], ma ancora nel 1458, secondo una notizia tramandataci dal Fara, i chiaramontesi si opposero al Conte di Oliva Francesco Gilaberto de Centelles[74]. Nei decenni seguenti non abbiamo che poche e frammentarie notizie, tuttavia il dato sicuramente importante è che Chiaramonti non sarà spopolato e continuerà a essere un centro abitato e vitale fino ai giorni nostri.
Un’ultima eco del castello risale al 1632, quando lo Stato di Oliva paga Lire 20 all’Officiale, alcalde del Castello di Chiaramonti[75]; il fatto che contestualmente si paghi però una somma simile all’ufficiale del castello di Macomer, sicuramente distrutto nel 1418[76], fa pensare ad un titolo piuttosto onorifico o virtuale che ad una persistenza delle strutture militari.
“Yglesia” de Sanctu Matteu
Il 5 giugno del 1506 il ponteficie Giulio II con una Bolla stabilisce l’unione delle diocesi di Ampurias e Civita (il cui ultimo vescovo è Pietro di Civita, morto al 27/4/1511), il primo vescovo della nuova diocesi unificata è Francesco Manno, titolare della Cattedra di Ampurias dal 1493 e in carica fino a fine 1512- inizio 1513[77]. Nell’ambito di tale operazione il Vico pone anche l’unione alla diocesi di Ampurias de la parroquial de Claramo[n]te llamada San Mateo, datandola però variamente al 1491[78] o al 1495[79]. Questa è la prima notizia della chiesa parrocchiale di Chiaramonti, che tuttavia pone problematiche di vario ordine.
A parte l’incongruenza cronologica fra il Vico e la bolla papale di Giulio II Aequus reputamus l’eventuale chiesa precedente a che diocesi apparteneva? Appare emblematico il fatto che a metà del XIV secolo tutti i villaggi compresi nell’attuale territorio comunale di Chiaramonti (Orria Pithinna, Ostiano de Ena, Ostiano de Monte, Ostiano de Obtentane) appartenessero alla diocesi di Ampurias. Nel caso di una dipendenza differente dovremmo pensare ad un’appartenenza alle confinanti diocesi di Ploaghe o di Bisarcio.
Per quanto riguarda Bisarcio alcuni ritengono[80], confrontando anche un testo che riporta una tradizione del seicento[81], che nel trecento i Doria intendessero traslare la sede vescovile da Bisarcio a Chiaramonti e perciò avessero eretto la chiesa di S.Matteo; in alternativa si pensa anche ad un’analoga operazione dalla sede di Flumine. Tali ipotesi si basano sull’espressione castrum et civitas Claramontis, contenuto in documenti seicenteschi, e sulla tradizione[82], e non più controllabile, che ricorda la presenza di un’epigrafe, evidentemente ora scomparsa, sul frontone della chiesa con la dicitura “episcopalis”.
Tuttavia, almeno per quanto concerne Bisarcio, gli atti diocesani, non adombrano alcuna traslazione[83]; per Flumine è invece impossibile verificare la suddetta tesi a causa dello stato dell’ archivio diocesano e capitolare di Castelsardo, del cui patrimonio documentario manca ancora un’analisi completa e attendibile[84]. Bisogna comunque sottolineare lo stato di abbandono della civitas episcopalis empuriense dopo il 1353, quando il vescovo catalano Arduino si spostò a Sassari[85], dove “di fatto” ebbe sede la diocesi fino alla traslazione a Castelsardo del 1506 (ma avvenuta effettivamente nel 1562)[86].
Tralasciando le attestazioni documentarie, e mancando qualsivoglia analisi stilistica, può essere significativo ricordare come la titolatura della chiesa, dedicata appunto all’apostolo Matteo, riporta direttamente alla chiesa familiare della famiglia ligure, sita a Genova. Tale dato potrebbe far supporre una fondazione della struttura religiosa contestuale alla nascita del castello (ricordiamo talaltro che il primo proprietario fu, insieme ai fratelli Brancaleone e Manfredo, Matteo Doria), cui potrebbe riportare anche l’ubicazione.
Osta a questa interpretazione banalizzante la presenza nell’agro chiaramontese dell’agiotoponimo Santu Matteu[87], in località Ervanana, dove gli studiosi ipotizzano la presenza di uno dei tre villaggio medievali chiamato Ostiano[88]. Le ricognizioni archeologiche di superficie non hanno però individuato nell’area le tracce materiali di un edificio di culto e la questione rimane perciò insoluta.
In definitiva si ritiene necessario un notevole approfondimento della ricerca documentaria della chiesa in età moderna, da attuare negli archivi della curia vescovile e del Capitolo di Castelsardo[89] e nell’Archivio storico diocesano di Sassari, che potrebbe fornirci un notevole arricchimento informativo sulle fasi di vita dell’edificio di culto in età moderna, ora praticamente sconosciute se non nelle strutture materia
[1]Confluita nella mia tesi di specializzazione presso l’Università di Pisa: Il castello di Chiaramonti in Anglona: indagini preliminari sul sito e sulle fonti materiali, relatore prof. Marco Milanese, A.A. 2005/06 Si coglie l’occasione di ringraziare mia moglie la dott.ssa Maria Cherchi, che ha condiviso con me la progettazione, l’elaborazione e la correzione della mia tesi, e il prof. Marco Milanese, che mi ha seguito con occhio amico e mano di maestro in tutte le fasi del lavoro e inoltre mi ha messo le disposizione le aule del Centro di Documentazione dei Villaggi Abbandonati della Sardegna.
[2] Spiga 1995, pp.83-85.
[3] Cfr. Meloni 1986 e Simbula 1991 per le varie fasi storiche di questo castello.
[4] Osilo era al contrario castello già dall’epoca giudicale, al proposito vd. Spiga 1995, p.94. Per quanto riguarda Bosa cfr. Soddu 1997, pp.179-186; Spiga 1997, pp.199-206.
[5] Segni Pulvirenti-Spiga 1997, pp. 841-845.
[6] Segni Pulvirenti-Spiga 1997, pp. 829-830.
[7] Cfr. al riguardo Segni Pulvirenti-Spiga 1997, che prende però in esame tutta la regione.
[8] Sulla possibilità di un tale sviluppo e sui castelli come centro “forte”, vedi Campus 2004, p.186.
[9] Sulla consistenza territoriale e istituzionale di questi primi tre distretti vedi da ultimo Soddu 2004, in particolare p.120, fig.1.
[10] Soddu 1997, p.187 precisa che la notizia è contenuta in Archivio di Stato di Genova, Notai antichi, Cartolare n°122, Atti del notaio Giovanni Finamore, p.43v.
[11] Casula 1990, Vol. I, p.154.
[12] Casula 1990, Vol. I, p.214.
[13] D’Arienzo 1970, pp.133-140, doc. 279; Casula 1990, Vol. I, pp. 234-235.
[14] Meloni 1971; Casula 1990, Vol. I, pp.236-242.
[15] Castellaccio 1997; Casula 1990, Vol. I, p.237.
[16] Meloni 1972, p.35
[17] Casula 1990, Vol. I, pp. 237-242.
[18] Per riferimenti continui vd. Meloni 1971, pp.35-47, passim.
[19] Meloni 1971, passim; Casula 1990, Vol. I, pp.288-296.
[20] D’Arienzo 1970, p.154, doc. 301.
[21] D’Arienzo 1970, p. 114, doc. 245.
[22] Spiga 1996, pp.92-93; Soddu 2004, p.122.
[23] In realtà tale castello appare nel 1347 in mano ai Doria, mentre nel settembre 1349 risulta in mano ai Malaspina, vd. Meloni 1971, p.35, nota 34.
[24] Meloni 1971, p.129
[25] L’ipotesi è parzialmente confermata dal fatto che nello stesso anno Rambaldo de Corbera liberà temporaneamente Sassari con l’aiuto dei due fratelli Mariano IV e Giovanni d’Arborea, cfr. Meloni 1971, p.42.
[26] D’Arienzo 1970, p.161, doc. 315
[27] ACA, C, Reg. 1019, ff.134v-136
[28] Meloni 1971, vol.I, p.52; Fara J.F. 1992b, 3, pp. 64.30-66.2; Vico 2004, V, pp.191-192. Tale notizia è contenuta in una carta microfilmata (ACA, C, Reg. 1019, ff.134v-136) conservata al Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari, che il tempo non ha consentito di sbobinare e trascrivere. Si ringrazia comunque il dott. Soddu per la segnalazione.
[29] Meloni 1971, vol.I, p.154 e Nota 20; D’Arienzo 1970, p.196, docc. 386-387; Vico 2004, Vol.V, p.201.
[30] Casula 1990, Vol. I, p. 272.
[31] Casula 1990, Vol. I, p. 269.
[32] Casula 1990, Vol. I, pp.281-282, 352; D’Arienzo 1970, p. 209, doc. 411.
[33] Casula 1990, Vol. I, pp.285-286.
[34] Casula 1990, Vol. I, p. 289.
[35] ACA, C, Reg. 1024, ff. 12-12v
[36] Meloni 1976, pp. 69-70.
[37] Armangué-Herrero-Cireddu Aste-Cuboni 2001, Vol I, p.185
[38] Armangué-Herrero-Cireddu Aste-Cuboni 2001, pp.184-190, doc. 48;Casula 1990, Vol. I, p. 303.
[39] Meloni 1976, p.96.
[40] Meloni 1976, p. 98.
[41] Meloni 1976, pp. 99-100.
[42] Meloni 1976, pp. 205-206.
[43] Casula 1990, Vol. II, pp.365-370.
[44] Meloni 1993, p. 93, nota 33
[45] Meloni 1976, p. 119; Casula 1990, Vol. I, p. 303.
[46] Meloni 1976, p. 123
[47] Gia in trattative del 1349 si prospettava la possibilità di nozze catalane o aragonesi per la figlia di Brancaleone, vd. Meloni 1972, p.49; Meloni 1971, p.52.; D’Arienzo 1970, p.327, doc. 652;p.330, doc. 657; pp. 330-331, doc. 658; p.331, doc. 659; Meloni 1972, vol.II, p.171 e nota 59; Vico 2004, V, pp.228-229; Meloni 1986, pp.104-105, Casula 1990, Vol. II, pp.365-367.
[48] Casula 1990, Vol. II, p.367
[49] Simbula 1991; Casula 1990, Vol. II, pp. 367-368.
[50] Simbula 1991, p.124, nota 21 riporta la fonte; notizia anche in D’Arienzo 1970, p.334, Nota 274.
[51] Meloni 1972, vol.III, pp.7-8, Nota 16.
[52] Sembra infatti condurre dapprima una politica marcatamente filo-aragonese (Meloni 1982, p. 31) con scontri con Mariano IV e lotta aperta dopo il 1364 (Meloni 1982, p. 55).
[53] Al riguardo vd. Meloni 1982, p. 76-77, 88; D’Arienzo 1970, doc.751, pp.377-378.
[54] Tuttavia alla fine del 1372 è ancora schierato con gli aragonesi; Meloni 1982, p. 95.
[55] Spiga 1997, p. 223.
[56] Meloni 1982, p. 172.
[57] Il testo, conservato all’Archivio di Stato di Cagliari (AAR, Vol. F1, cc.42v-61v), originariamente edito in CDS, sec. XIV, doc. CL (in particolare alla p.837 per quanto riguarda Chiaramonti), è ora nuovamente pubblicato e ampiamente commentato da Mureddu 2003/04 (per Chiaramonti cfr. alle pp.89-91 il documento e pp.137-139 l’indice toponomastico) e Caria 2003/03. Cfr. anche Casula 1990, II, p.447.
[58] Nella stessa Pax Monteleone (Roccadoria) è definita come universitatis Montis Leonis et contrate Caputabbas, con un potestas; Cagliari Universitatis Castri Callari, poi Villa Alguerii, Civitas SAsseri, Burgi de Osilo (con un potestà), Loci sive Curie Sacargia, Ploaghe, Salvennor, Castri Ianuensis, Contrate Monti Acuti, Mureddu 2003/04, passim. Formule simili a quelle di Chiaramonti sono utilizzate inoltre per Macomer, Iglesias, Sanluri; Caria 2003/04, pp.47, 49, 56.
[59] Devo il suggerimento al dott. A.Soddu del Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari.
[60] Vd. Mureddu 2003/04, pp.137-139.
[61] Vd. Mureddu 2003/04, p. 158.
[62] Day 1987, p.333.
[63] Per notizie più precise su questo villaggio, cfr. Marras 2002/03.
[64] Per notizie storico-topografiche su questi centri, cfr. Maxia 2002, ad voces.
[65] Nel 1701 nell’Incontrada di Anglona i vassalli erano tenuti a pagare per i diritti sui gioghi di corte quattro carrette di grano, a parte i villaggi di Chiaramonti e Bisarcio che pagano solo i trenta soldi che pagavano per ogni giogo dai tempi antichi (Bussa 1987, p.444.); inoltre Chiaramonti non pagha deghino delle pecore e paga solo una pecora matricina per diritto di officialia e 1 per quello di scrivania (Bussa 1987, p.445); di diritto del vino paga, invece che 12, 10 soldi (Bussa 1987, p.446). Ancora alla fine del ‘700 pagava di diritto del vino 1 soldo (mentre gli altri villaggi 1 soldo e 4 denari (Bussa 1986, p.309)), di diritti carcerari nulla (Bussa 1986, p.309). Sempre nel 1769 di deghino del bestiame (o decime) paga 10 lire per mandria come gli altri (Bussa 1986, p.310); Chiaramonti, p.57.
[66] Il documento, conservato all’Archivio di Stato di Cagliari (AAR, vol. L1, cc.291v-292r) e originariamente pubblicato in CDS, sec. XV, doc.XII, p.46, è stato da poco riedito in Me 2004/05, cap. VII, doc.5b, pp.82-84.
[67] CDS, sec. XV, doc. XV, pp.50-52
[68] Casula 1990, vol. II, pp. 733-734.
[69] Boscolo-Schena 1993, pp. 27-28; 33, nota 56; 62, nota 169; 158, doc. 23
[70] Vico 2004, VII, pp.129-130, 52-53; Fara J.F. 1992b, 4, p.154.20-27; Bussa 2004, p.267, nota 9.
[71] Vedi nota 81.
[72] Casula 1990, vol. II, p. 647.
[73] Floris 1988, p.365.
[74] Fara 1992b, 4, p.192.10-12
[75] Bussa 2001, p.227
[76] Segni Pulvirenti-Spiga 1997, pp. 829-830.
[77] Turtas 1999, p. 863.
[78] Vico 2004, V, p.407.
[79] Vico 2004, VI, p.109.
[80]Maxia 2002, p.208.
[81] Per cui cfr. Virdis 1986.
[82] Vd. Virdis 1986, p.204, nota 61.
[83] Amadu 1963, pp.110 sgg.
[84] Vedi un piccolo saggio/campione in Maxia 1997.
[85] Maxia 2002, pp.227-228.
[86] Maxia 2002, p.222.
[87] Maxia 1994, p. 162; p.388.
[88] Per un riassunto del problema cfr. Maxia 2002, pp.276-288.
[89] Per cui vedi le notazioni in Maxia 1997,p.214.