Il vino rosso zuccherato di mio nonno Zizzu di Francesco Obinu
Quando nasce la radice di un sentimento? Qual è il momento in cui viene gettato il seme di un convincimento che ci appassiona e orienta la nostra esistenza? Le vacanze estive della mia infanzia erano piacevolmente segnate dalla visita ai nonni paterni, che abitavano a Domusnovas nell’Iglesiente. Non appena la scuola elementare lasciava liberi me e mia sorella, nostro padre prendeva le sue ferie e si facevano i preparativi per quel lungo viaggio che i due bambini non vedevano l’ora di cominciare. Mentre la mamma sistemava le ultime cose nelle valigie, si aspettava soltanto che il papà tornasse a prenderci dopo avere fatto il pieno di benzina all’unico distributore del paesino di Fertilia. Il viaggio era elettrizzante per noi bambini, forse un po’ meno per i nostri genitori, che ad un certo momento non ne potevano più del nostro interminabile vociare e delle nostre cantate a squarciagola! Poi l’abbraccio con i nonni, con gli zii; il cortile, l’orto, il pollaio; il vino rosso zuccherato di nonno Francesco (sì, ma solo una goccia bambini, mi raccomando…)! Un giorno di una di quelle magnifiche estati, sarà stato il 1972 o ’73 (chissà), il nonno, seduto su una di quelle piccole sedie tipiche dell’artigianato sardo, all’ombra del grande albero dei fichi verdi, mi chiamò e io mi accomodai sulle sue ginocchia. Mi chiese della scuola, dei miei voti, delle materie che preferivo… Poi mi disse che più avanti, alle “medie”, avrei cominciato a studiare la storia della prima guerra mondiale.
E mi raccontò la sua drammatica esperienza. Era un ragazzo di diciott’anni quando nel 1917 fu chiamato alle armi e spedito al fronte come migliaia di altri suoi coetanei, per cercare di arginare la poderosa offensiva che gli austriaci stavano per sferrare verso il Friuli e la Venezia Giulia. Le linee italiane crollarono e una delle vicende più tragiche della nostra storia si compì a Caporetto. Mio nonno era lì. Non ricordo bene tutte le sue parole, ma mi descrisse in modo vivido il terrore provocato dal violentissimo cannoneggiamento nemico e poi lo sbaraglio causato dall’assalto all’arma bianca portato dai fanti austriaci, prima che i nostri soldati potessero minimamente riorganizzarsi. Scappavamo tutti in tutte le direzioni – mi diceva – buttando via gli zaini, le armi, persino gli elmetti: ogni cosa, pur di correre più veloci per salvarci la vita –. Poi, d’improvviso, si trovò di fronte un soldato nemico. Entrambi sorpresi, stettero qualche secondo fermi a guardarsi. Mio nonno aveva ancora il fucile e avrebbe potuto sparare, ma non lo fece. – Arrenditi vigliacco! – gridò a quell’altro. – Non so proprio perché gli dissi di arrendersi (in effetti non aveva senso, aggiungo io: non poteva certo farlo prigioniero mentre l’esercito italiano era in rotta!). Però – continuò con una voce calma e sicura – non volevo sparare, perché prima di partire per il fronte avevo giurato che non avrei ucciso nessuno. Passato qualche altro istante di stupore, l’austriaco prese l’iniziativa e lanciò delle bombe a mano. Mio nonno riprese a correre e in qualche modo si salvò dalle esplosioni, nemmeno lui sapeva come. E mezzo secolo più tardi poté raccontare questa storia al suo nipotino.
Sarà nata allora la mia avversione alla guerra e al militarismo? Sarà stato nonno Zizzu a gettare in me il seme della mia fede pacifista? Non so la risposta, ma sono fiero di quel giovane uomo che per non uccidere un altro uomo mise a rischio la sua stessa vita.
Commenti
La scelta delle foto mi piace. Grazie Ange
Gennaio 14th, 2011