Donna Lucia Delitala Tedde nella società sarda del primo Settecento di Giuseppina Tedde
Giuseppina Tedde, già ordinaria di Lettere moderne nelle Scuole Medie Statali, originaria di Bortigali (Nuoro), negli anni Novanta si è dedicata con grande passione alla ricerca storica e alla successiva composizione di un romanzo che il momento difficile che sta attraversando l’editoria le ha impedito di pubblicare. Ciononostante la passione degli abitanti dell’Anglona, regione storico-culturale confinante con la Gallura, la Romangia e il Logudoro, per la storia, in questo caso di Nulvi e di Chiaramonti in particolare, l’ha portata su pressante invito a parlare di questo suo lavoro inedito, ma di grande interesse storico-narrativo del primo Settecento sardo. Il contributo è della stessa autrice, letto a Nulvi in occasione dei Venerdì dell’Associazione culturale Su Siddadu. Sarebbe auspicabile oltre alla pubblicazione del romanzo anche dei documenti più significativi, (quale il testamento della nobildonna, ad esempio) per meglio illustrare questa donna singolare che parecchi “orecchianti storici” senza alcun pudore trattano seguendo il cliché offerto dal viceré Rivarolo (1735-1738) sabaudo e ovviamente avverso alle fazioni nobiliari sarde filo-austriche o filo-francesi. I vari orecchianti ripetitori, invece di orecchiare a destra e a manca, dovrebbero trascorrere maggior tempo negli archivi per sfatare il fazioso ritratto che di Donna Lucia ha tracciato il Rivarolo, e che il nostro Manno, storico filo-sabaudo, ha ampiamente pubblicizzato con tutte le conseguenze che ognuno può vedere.
Ritengo che Giuseppina Tedde, unendo la ricerca storica ad una geniale invenzione romanzesca, abbia saputo descriverci un originale ritratto non solo di Donna Lucia, ma altresì dei drammi di questi nobili anglonesi nella bufera delle contese per la conquista e riconquista della Sardegna con avvenimenti e personaggi più grandi di loro i cui drammi tuttavia ce li rendono più vicini ed umani. Non debbono essere i vincitori a dire l’ultima parola sulle vicende dei nostri antenati. Il Settecento e l’Ottocento sardo è tutto da revisionare da storici autentici e non da pubblicisti d’accatto che ripetono ciò che hanno letto presso le solite sorgenti maledettamente inquinate e faziose.
(A. T. )
La sarabanda delle ombre, Sassari-Firenze, 1990, romanzo inedito.
Ho scritto questo mio lavoro circa vent’anni fa.
La motivazione iniziale è stata la curiosità. Curiosità sorta nei confronti di una figura femminile: Donna Lucia Delitala Tedde per l’appunto.
Si era ancora negli anni di femminismo battagliero e militante e l’immagine di una donna che, agli albori del Settecento, osasse comportamenti con una tale indipendenza e così fuori delle regole, mi aveva colpito e affascinato.
L’immagine era stata perpetuata dalla leggenda, cui non poco aveva contribuito il Manno, allorché nella sua “Storia della Sardegna”, l’aveva descritta come una virago “dai baffi come un granatiere”. Immagine evidentemente caricaturale che come tutte le caricature spesso racconta più i sentimenti e le idiosincrasie di chi rappresenta che non la realtà di chi viene rappresentato.
Decisi allora d’indagare per conto mio fra antichi documenti e nella mia ricerca mi capitò fra le mani una copia del testamento di questa donna. Fra le altre cose si parlava di un vestito di seta rossa dal quale, nelle note testamentarie, si disponeva che venissero ricavati dei paramenti sacri.
L’immagine di quest’abito fiammeggiante fu una rivelazione e la conferma di un carattere deciso e risoluto, ma altrettanto squisitamente e vanitosamente femminile.
Trovai in seguito l’atto di battesimo che me la disse figlia di don Francesco Delitala Tedde del quale, ricerche successive, mi rivelarono l’appartenenza al partito filo-austriaco prima, filo- francese poi, antisabaudo comunque. L’interesse e la ricerca quindi si estesero alla storia e alla società della Sardegna in quel primo cinquantennio circa del Settecento, società di antico regime ma nella quale già operava la dissoluzione dell’assolutismo monarchico. Dissoluzione ancora più accentuata nel Regno spagnolo a causa di incerta successione dinastica che vide Austria e Francia ciascuna col suo pretendente e che portò la Sardegna sulla scia della Catalogna filo-austriaca a schierarsi nel 1709 a favore di Carlo d’Asburgo.
La cosa non fu indolore perché provocò la nascita di due partiti o fazioni di cui furono partecipi e protagonisti con conseguenze drammatiche sulla loro vita, alcuni dei personaggi da me rappresentati.
La mia narrazione ha come data di inizio il 1717 allorché Filippo d’Angiò, il pretendente francese, divenuto re di Spagna intraprende la conquista della Sardegna all’Austria. Nella difesa di Castillo Aragonés (oggi Castelsardo) nell’assedio spagnolo compare uno dei protagonisti della mia storia: quel nobiluomo di Nulvi, don Francesco Delitale Tedde, padre per l’appunto della nostra Donna Lucia.
Nella mia narrazione ho mescolato storia (cosiddetta alta) e vicende private introducendo in queste ultime anche una mia personale invenzione romanzesca.
Mi pare ne sia venuto fuori un racconto corale che mette insieme e sullo steso piano:viceré pomposi, venali e sbrigativi e servi inconsapevoli e saggi, governatori corrotti e popolani divenuti banditi per spirito di rivolta e ancora tutta una pleotora di piccola nobiltà diffusa che ingloba anche il ceto mercantile e delle professioni perché il titolo di don in quei tempi non lo si negava a nessuno purché si pagasse naturalmente. Un popolo di villaggio legato ancora alle consuetudini de su connotu che peraltro ne garantiva la sopravvivenza e un popolo di città ancorato alle regole delle corporazioni medioevali.
Ho cercato di raccontare con tono di lievità ironica tutta questa materia che è materia tragica, perché rappresenta uomini e donne che in balia di forze esterne spesso violente e delle loro stesse voglie e passioni perdono senno e misura.
In seguito mi sono interrogata sui motivi profondi che mi hanno spinto in questa mia ricerca su quel lontano passato. E mi pare di poter dire che è stata una ricerca di senso.
Infatti credo che la storia a questo serva: per dare un senso al presente e anche al futuro perché il futuro è certamente (si può dire) anche alle nostre spalle visto che dobbiamo fare i conti con ciò da cui proveniamo e in cui siamo inevitabilmente radicati.
Tutto ciò che ci precede (dal DNA biologico, alle matrici storico culturali, all’ambiente sociale) ci condiziona e tuttavia non ci costringe. Noi possiamo decidere ma ogni decisione è sempre un azzardo perché non esiste una misura assoluta che possa regolare preventivamente le nostre azioni. Allora conoscere la storia cioè “l’andatura del mondo” come ci dice il filosofo Natoli serve per guadagnare il senso della misura ridurre il rischio. Oggi tanto più perché siamo vittime dell’estemporaneità.
L’unico modo di dominare il tempo senza lasciarsi consumare da esso è avere la capacità di prendere le distanze dal presente, per indirizzarlo verso scelte che siano dettate dal senso della misura e sopratutto da quello di responsabilità.