I Villaggi medievali abbandonati di Maria Cherchi-Gianluigi Marras
La problematica dei villaggi medievali abbandonati divenne negli anni Sessanta in Europa punto di convergenza fra svariate discipline, come la storia, la geografia, la demografia storica e l’archeologia medievale, che proprio su questo tema trovò il suo primo punto d’incontro e sviluppo in ambito internazionale. Nel convegno di Monaco del 1965, dove furono presentati studi concernenti molti paesi europei, furono in partcolare gli studiosi inglesi e francesi a presentare relazioni di scavi stratigrafici, con casi paradigmatici come i villaggi di Rougiers e Dracy in Francia e di Wharram Percy in Inghilterra. L’Italia si presentò a tale appuntamento senza il contributo della ricerca archeologica e l’unica monografia fu opera di due studiosi stranieri, John Day e Cristiane Klapish-Zuber.
E’ però importante notare come tale articolo trattasse, insieme ad altre regioni quali Liguria, Toscana e Lazio, già il caso della Sardegna, proprio per la rilevanza che in questa regione ebbe il fenomeno. Infatti fra il XIV e il XV secolo si verificò in Europa un momento di riassetto demografico ed economico dovuto anche ad una serie di eventi negativi quali la peste nera del 1348, varie guerre e continue carestie. Tale riorganizzazione portò alla scomparsa di migliaia di insediamenti rurali in tutto il continente, pur con varie differenze fra le diverse aree, e allo spostamento della popolazione superstite nei centri maggiori, in certi casi, oppure all’insediamento sparso in altri.
In Sardegna nella prima metà del Trecento inizia la conquista aragonese cui si aggiunse anche la deleteria epidemia del 1348-49 e lo stato di guerra fra gli Aragonesi, il Giudicato di Arborea e i Doria. Tutti questi fattori causarono l’abbandono di circa 800 centri, specialmente nei territori costieri e ad economia agricola.
Il fenomeno degli abbandoni, da sempre al centro dell’interesse di studiosi e cultori di storia sarda, è stato affrontato in modo scientifico solo negli ultimi decenni: in quest’ottica basilari sono stati gli atlanti redatti da J. Day e da A. Terrosu-Asole. Queste opere sono state informatizzate (in un Database e un GIS) nel 2004-2005, mettendo in evidenza differenze di metodo e risultato fra le due ricerche: la prima differenza è a livello numerico, in quanto J. Day identifica 1322 unità insediative in luogo delle 988 di A. Terrosu-Asole. Tale discordanza è da attribuire al numero e alle diverse fonti utilizzate: la studiosa sarda si basa infatti su fonti documentarie medievali e sulla testimonianza del Fara (databile al nono decennio del ‘500) mentre il Day estende l’analisi a fonti documentarie, narrative e orali che giungono fino all’età contemporanea, dando particolare rilevanza all’opera dell’abate Angius (1840-50 circa).
Solo dal 1995, data d’inizio degli scavi archeologici a Geridu (Sorso-SS), diretti dal prof. Marco Milanese, si è avuto però un approccio archeologico al problema. Le analisi, proseguite fino al 2000, hanno messo in evidenza le diverse parti del villaggio: le strutture abitative, la necropoli presso la chiesa di S. Andrea e un edificio privilegiato, nonché processi di abbandono “a macchia di leopardo”, con sequenze di riusi, stoccaggio dei materiali e rioccupazioni.
L’attività della Cattedra di Archeologia Medievale e del nascente Centro di Documentazione dei Villaggi Abbandonati della Sardegna è poi proseguito con indagini territoriali che hanno riguardato singoli villaggi (Ardu nella curatoria di Flumenargia, Orria Pithinna in Anglona, Taniga in Romangia, Tudera in Nurcara) o comprensori geografici (la curatoria dell’Anglona, i territori comunali di Chiaramonti, Martis, Suni, Siligo, la valle del Silis nella Romangia, la media valle del Rio Mannu nella curatoria di Flumenergia), inseriti in progetti di ricerca o trattati in numerose tesi di laurea.
Gli obbiettivi primari di tali ricerche sono volti non solo ad una più puntuale conoscenza e definizione della tematica dei villaggi abbandonati ma mirano anche a raggiungere un grado di tutela dei siti rurali, sempre più spesso minacciati da lavori agricoli e di espansione periferica dei centri abitati, sensibilizzando le Amministrazioni comunali e l’opinione pubblica, spesso disinformata riguardo l’esistenza di un così importante patrimonio storico-archeologico.
Nota. Le fotografie mi sono state inviate dagli autori dell’articolo, mentre la penultimaè di Carlo Moretti, la foto dell’olio su l’immaginario castello di Chiaramonti (1345-1600) è del redattore.