Il Carbone Sulcis, risorsa sarda? di Paolo Amat di San Filippo
In questi ultimi mesi è ritornato agli onori della cronaca il problema del rilancio del Carbone Sulcis. Dal 1948, ogni lustro, la stampa locale rispolvera il problema evidenziando la potenzialità del giacimento, le elevate caratteristiche tecniche dei moderni macchinari utilizzati per l’estrazione del macerale, l’ormai grande competenza acquisita dalle maestranze che, si apprende, si sono occupate dei tracciamenti, e finalmente, caldeggiando l’assegnazione della miniera di Seruci-Nuraxi Figus, da parte della Regione Sarda, a qualche cordata di imprenditori italiani o stranieri, in base a un’asta pubblica. Questo concetto di Asta, è nuovo, infatti non si tratta, come si è abituati a pensare quando si va a comprare, all’incanto, qualcosa che ci interessa molto, un quadro, un pezzo d’antiquariato o altro, che l’oggetto desiderato venga assegnato a chi offre di più, ma nel caso della miniera di Carbonia, questa verrebbe assegnata a quel concorrente che si accontentasse di percepire, dalla Regione, la somma minore.
E’ arcinoto che dopo che l’ENEL, che si era accollata la gestione della miniera nel non lontano 1965, e rinunziato poi alla concessione nel secondo semestre del 1972, nel 1980 era stata creata la Carbosulcis, alla quale lo Stato aveva assegnato sostanziosi finanziamenti.
Nel 1975 la “Commissione Interparlamentare per lo Studio del Rilancio dell’Attività Carbonifera Sarda”, nominata dal Governo, aveva provveduto a prelevare, dalla miniera di Seruci, 12 campioni di carbone, si presuppone significativi, che erano stati fatti analizzare da due laboratori specializzati e di chiara fama, quali La Stazione Sperimentale per i Combustibili di San Donato Milanese, e il Laboratorio Chimico, Servizio Ricerche, Studi ed Esperienze dell’Associazione Nazionale per il Controllo della Combustione di Roma.
I risultati analitici dei due laboratori, pur con piccole discrepanze, dovute prevalentemente alla grande eterogeneità del macerale, pur estratto dallo stesso letto, sono abbastanza coerenti tra loro. Li riportiamo succintamente come “range” dei tenori riscontrati.
Umidità % 5,9-8,7, Ceneri % 5,3-42,6; Sostanze volatili % 29,5-44,7; Carbonio fisso % 18,1-42,1; Zolfo % 5,2-8,2, Potere Calorifico superiore (Kcal/Kg) 3.460-6.460, Potere Calorifico inferiore (Kcal/Kg) 3.260-6.170.
Senza entrare nel merito si deve accennare che l’umidità può essere costituzionale e superficiale, che le ceneri possono essere inerenti, interstiziali, e avventizie, che lo zolfo può essere inorganico e organico, che la presenza di sostanze volatili compresa tra il 20 % e il 30% qualifica il carbone come “magro”, mentre la presenza delle stesse oltre il 30% lo qualifica come “a lunga fiamma”, e che non si deve in alcun modo confondere il Potere Calorifico Superiore con quello Inferiore, purtroppo, forse per cercare di convincere qualcuno, fraudolentemente si è riportato, in relazioni pseudo-scientifiche, il valore del Potere Calorifico Superiore come se fosse quello Inferiore
E’ da tenere presente che in un carbone fossile, la presenza di un’elevata percentuale di sostanze volatili abbassa il Potere Calorifico inferiore, che per un campione tipo, con umidità non superiore al 6 % e un tenore in ceneri del 10 % sul secco, dovrebbe essere, se costituito di carbonio puro, di circa 8.080 (Kcal/Kg).
Il Potere Calorifico Inferiore è quello che dà un’idea più vicina al reale delle caratteristiche termiche di un combustibile, anche se queste, durante la combustione vengono ulteriormente ridotte dalla presenza dell’umidità e delle ceneri.
Anche la presenza dello zolfo nel carbone fossile ne influenza il Potere Calorifico inferiore.
Ora nella prospettata possibilità del rilancio della miniera, prescindendo dalle considerazioni sui costi d’estrazione del carbone Sulcis rispetto al prezzo del carbone estero importato, si deve tener presente che se il carbone sardo venisse bruciato in qualsiasi modo, attribuendogli ottimisticamente un tenore in ceneri del 25% e in zolfo del 6%, se si bruciassero un milione di tonnellate si dovrebbero abbancare ben 250.000 tonnellate di ceneri calde e smaltire ben 60.000 tonnellate di zolfo che produrrebbero 120.000 tonnellate di anidride solforosa che, se liberata in atmosfera, a almeno 200 °C avrebbe un volume di 114.710.000 metri cubi.
Questa anidride solforosa, abbattuta come solfato, ammessa, cosa che non avviene in realtà, una reazione esattamente stechiometrica con la calce, darebbe luogo a 322.500 tonnellate di gesso (solfato di calcio biidrato) .che dovrebbero anch’esse venir smaltite abbancandole a discarica. Quindi, in questo caso, bruciando un milione di tonnellate di carbone Sulcis si dovrebbero smaltire 572.500 tonnellate di materiali di scarto, fra ceneri e gesso. Questa gran massa di materiale di scarto dovrebbe venir smaltita, ovviamente il più vicino possibile alla centrale termica, e ciò per limitare i costi del trasporto e la possibilità di perdita di polveri durante lo stesso. Qualcuno potrebbe obiettare che il gesso potrebbe venir riutilizzato in qualche modo (come additivo dei cementi, per la produzione di cartongesso e altri manufatti di gesso), però bisogna tener presente che già la Fluorsid ha problemi di smaltimento della sua Anidrite capomorto della produzione d’Acido Fluoridrico e Criolite, che ha un più vasto campo di riutilizzo rispetto al gesso.
Nel caso della gassificazione, con ossigeno a pressione, di una pari quantità di carbone, si avrebbero sempre le 250.000 tonnellate di ceneri e una quantità di prodotti solforati, SO2, o H2S, a seconda delle condizioni operative, corrispondenti alle 60.000 tonnellate di zolfo contenute nel combustibile gassificato. Il prodotto della gassificazione, una volta eliminati in qualche modo i composti solforati, potrebbe all’incirca la seguente composizione percentuale in volume: Anidride carbonica 29,2%; Ossido di carbonio 18,5 %; idrogeno 41,1 %; Metano 10,0 %; Idrocarburi vari 0,50 %; Azoto 0,7 %; Potere Calorifico superiore 1.713 Kcal/Kg; Potere Calorifico inferiore 1.601 Kcal/Kg. L’abbattimento dell’anidride solforosa dai gas prodotti potrebbe avvenire, come si è già detto, trasformandola in gesso per neutralizzazione con calce, e smaltendo il gesso in qualche modo; nel caso, invece, si tratti di Idrogeno Solforato, lo si potrebbe ossidare cataliticamente a zolfo elementare, e venderlo agli impianti che producono Acido Solforico, come fa la Saras. Bisogna sapere però che, ad onta dello statuto speciale della Regione Sarda, la Saras per vendere il suo zolfo deve pagare un balzello all’Ente Zolfi siciliano!
Per accrescerne il potere calorifico, da questo gas, si dovrebbe eliminare l’anidride carbonica, con metodi chimici o fisici, trovandogli eventualmente un impiego ecologicamente compatibile, insieme con quella formatasi nella combustione del combustibile gassoso.
Nella gassificazione si formano, inoltre, svariati altri composti ossigenati, quali fenoli e cresoli, e azotati, quali anilina, piridina e chinolina, che sono materie prime per l’industria dei coloranti e dei farmaci, ma che presuppongono, per la loro valorizzazione impianti attualmente inesistenti, e inoltre tecnologie chimiche particolari, inimmaginabili nell’Isola.
Dalla stampa si è appreso di alcuni processi proposti per eliminare l’anidride carbonica formatasi nella combustione del carbone o dei gas di gassificazione, quali la liquefazioe per compressione di questo gas e la sua immissione nel sottosuolo o nel fondo del mare, quali sono i costi energetici di questi processi? Non è che per produrre l’energia necessaria alla liquefazione della CO2 bisogna bruciare altro carbone o gas di gassificazione, producendo ancora anidride carbonica?
L’Unico metodo per smaltire la CO2 è quello naturale della sintesi clorofilliana! Incrementiamo il più possibile la vegetazione arborea impiantando boschi e foreste nelle zone spelacchiate della Sardegna, limitando gli incendi estivi, e poi se vogliamo per forza avere più energia elettrica da impianti termici, o se vogliamo riscaldarci di più in inverno, affidiamoci al Buon Dio!