Santa Ildegarda di Bingen (1098-1179) di Giovanni Arledler
Il 10 maggio 2012 papa Benedetto XVI aveva già inserito la memoria di santa Ildegarda nel calendario liturgico della Chiesa universale, previo assenso della Congregazione per i santi. Il 7 ottobre scorso ha proclamato, assieme a san Giovanni d’Avila, Hildegard von Bingen (Ildegarda di Bingen) «dottore della Chiesa». Nella lettera apostolica di promulgazione[1] il Santo Padre ne traccia un ampio profilo, che terremo spesso presente in questo scritto, anche senza citarlo esplicitamente. Il Papa ricorda come egli partecipò, con tutto l’episcopato tedesco nel 1979, in occasione dell’800° anniversario della morte della grande mistica, alla richiesta che fosse sin d’allora proclamata dottore della Chiesa. L’iter è stato lungo, ma finalmente ha avuto un esito favorevole.
Va detto che già da quel 1979 Giovanni Paolo II, in una lettera[2] all’arcivescovo di Magonza, card. Hermann Volk, definì la santa «donna forte», «profetessa della Germania» e «maestra», dandone questo sintetico giudizio: «Fin dalla tenera età, santa Ildegarda penetrava sapientemente, con eccezionali doti celesti, i misteri della teologia, della medicina, della musica e di altre discipline, scriveva vari testi in materia e metteva in luce il rapporto tra la salvezza e la creazione».
La sibilla del Reno
Benché sia poco conosciuta, e di lei si parli più spesso in maniera limitata e distorta[3], la figura di Ildegarda di Bingen meriterebbe di essere più apprezzata da molti punti di vista. Chi conosceva bene la vita e le opere della santa non si è molto stupito di questa proclamazione, anzi si aspettava che a suo tempo ella fosse annoverata tra le patrone d’Europa. Del resto, anche grazie ad alcune pubblicazioni di vario genere, negli ultimi trent’anni nei suoi confronti c’è stato un discreto interesse anche fuori dei confini della Germania.
Ildegarda («Hildigard», la guerriera) nacque a Bermersheim presso Alzey (Assia Renana) il 7 ottobre (?) 1098, da una famiglia agiata, e morì a Bingen il 17 settembre 1179, giorno in cui la liturgia la ricorda. Fin dall’età di otto anni venne avviata alla vita religiosa nel monastero benedettino femminile di Disibodenberg, sotto la guida di madre Jutta von Sponheim, alla cui morte, intorno al 1136, fu chiamata a succederle in qualità di magistra. Fatto insolito per il tempo, Ildegarda, incoraggiata da papa Eugenio III e da san Bernardo da Chiaravalle, compì diversi viaggi missionari anche fuori della Germania e fino in Svezia, e predicò nelle cattedrali di Colonia, Treviri, Liegi, Magonza, Metz e Werden. Era particolarmente piena di zelo nel riprendere i costumi ecclesiastici del tempo e nel comunicare una visione della Chiesa di ampio respiro. Nel 1150 fondò un monastero sul colle chiamato Rupertsberg, nei pressi di Bingen, e poi, nel 1165, ne istituì un altro a Eibingen, sull’altra sponda del Reno.
Negli ultimi mesi della sua esistenza fu colpita da interdetto riguardo alla partecipazione alla liturgia, avendo sepolto in terra consacrata un cavaliere ritenuto in peccato, convinta che questi si fosse pentito in punto di morte. Come spesso soleva ripetere, pur sperimentando in sommo grado tutte le implicazioni delle facoltà speculative, stimava che il primato del cuore fosse superiore a quello della ragione. Quando fu tolto l’interdetto a lei e al monastero, si spense dopo qualche mese, all’età di 82 anni.
Una benedettina dei nostri giorni, madre Anna Maria Cànopi, così la definisce in due dei suoi scritti: «Il suo genio è poliedrico: ella abbraccia e unifica in sé aspetti assai differenti del sapere e dell’agire umano — tanto da poter essere chiamata la “sibilla renana” —, e tutta la sua opera, come la sua persona, sprigiona una travolgente energia spirituale che si risolve come un finale sinfonico». «Ildegarda di Bingen può essere tutta definita in questa espressione del santo padre Benedetto [da Norcia]: “Gli occhi nostri spalancati alla luce divina, gli orecchi attoniti per lo stupore…” (Regola benedettina, Prologo, 9). Visse, infatti, contemplando la “luce vivente” e ascoltando le “arcane melodie” del mondo soprannaturale divino. Questo dono straordinario non le impediva tuttavia di essere nello stesso tempo pienamente attenta alle realtà terrene e alle piccole cose della vita quotidiana, anzi, gliene favoriva una più profonda e penetrante conoscenza, una più coinvolgente esperienza»[4]. «Ildegarda di Bingen è uno di quei prodigi che appaiono raramente sulla terra: lei stessa si definisce “ombra della luce vivente”, che è Dio (Vita, II, 1, 16). Nelle sue pagine, animate da suggestive immagini simboliche, Ildegarda lascia trasparire il suo animo femminile, pieno di compassione per l’angoscia del mondo e il suo grande amore alla Chiesa, Sposa del Cristo crocifisso, “da cui riceve forza per rigenerare uno spirito e acqua per la nuova creazione” (Scivias, II, 6) […] unione intima di cosmo e natura finché si potrà tutti entrare nella Gerusalemme celeste»[5].
Gli scritti
Soltanto dopo i 42 anni, per una visione grandiosa e onnicomprensiva, Ildegarda di Bingen si decise a mettere per scritto — una donna che scrivesse appariva allora una cosa inusitata — le numerose visioni che aveva avuto fin da bambina, e parve che le grandi pene fisiche, che l’accompagnavano da sempre, iniziassero a scemare. Gli scritti[6], dettati di regola a un copista, comprendono trattati, vite di santi, lettere, perfino l’alfabeto di una lingua inventata su fonemi della lingua tedesca che ha ispirato molti di coloro che si sono dedicati alla creazione di lingue artificiali.
Gli scritti di carattere teologico sono raggruppati in tre raccolte: Scivias (1151), cioè Conosci le vie [di Dio][7]; Il libro dei meriti (1151-58); e Il libro delle opere divine (1163-73). Così il papa Benedetto XVI riassume, da teologo, la visione mistica di Ildegarda, che pare ben conoscere alcuni Padri della Chiesa, come Agostino e lo Pseudo Dionigi, e alcuni autori ecclesiastici[8]: «La sua visione cosmologica racchiude tutti gli elementi del mondo ed è allo stesso tempo visione di Dio, in modo indiretto, “come in uno specchio” (1 Cor13,12). La natura suggerisce però solo verità parziali e allora ci soccorre l’intelligenza umana, sostenuta dall’intelligenza della fede. Tornando così alla natura, con la ragione e con tutti i nostri cinque sensi, possiamo conoscere Dio»[9].
I testi, dal carattere fortemente poetico e a volte oscuri, sono illustrati da miniature realizzate con l’aiuto di esperti, che somigliano incredibilmente a mandala orientali, per la loro forma circolare, per i significati sintetici, per la simbologia dei colori. È sorprendente la capacità di Ildegarda di prendere sentieri imprevisti (Gv 3,8), di penetrare la realtà e anticipare concezioni future: una delle figure umane racchiuse in una ruota fa venire in mente la celebre rappresentazione dell’uomo di Leonardo da Vinci, mentre ancor più sorprendente è la designazione del verde al posto del giallo — come di regola fanno pittori e grafici al contrario degli esperti di fisica — tra i colori fondamentali, definito come «pura luce» e arricchito di importanti contenuti simbolici.
Tra i molti interessi di Ildegarda di Bingen, dipendenti dal suo amorevole studio della natura, c’è anche quello per le proprietà curative delle erbe[10] e delle pietre, osservazioni e consigli raccolti nel Libro delle cause e dei rimedi o Libro delle medicine composite. Per questa visione così vasta, dalla quale non si devono escludere la storia, la geografia e la musica, santa Ildegarda è avvicinata non in modo esagerato a grandi figure, come quelle di Dante, di Goethe e di Teilhard de Chardin.
Le musiche
Per Ildegarda, nonostante il peccato, la natura rivela le bellezze e le proprietà salutari del Paradiso terrestre, e così, a sua volta, può aiutarci a scoprire e percepire le bellezze della Città Celeste, dove finalmente si sposano armoniosamente la natura e l’abilità artigianale umana. In campo musicale, la monaca benedettina mostra un’ampia conoscenza della tradizione[11], ma anche la consueta, sorprendente inventiva anticipatrice, per la quale compone un vasto «dramma musicale», Ordo virtutum, una particolare presentazione ed esaltazione di tutte le virtù, anticipando di molto quello che si farà nei secoli successivi.
Il corpus musicale di Hildegard von Bingen, tutto di genere sacro, oltre all’Ordo virtutum, comprende 77 canti, riuniti sotto la denominazione Symphonia harmoniae celestium revelationum (Sinfonia dell’armonia delle rivelazioni celesti), dove, come spesso la santa ripete, l’uomo, attraverso la sua anima, sperimenta in sé la sacra sinfonia delle creature e delle realtà rivelate. Questi canti sono composti nelle forme liturgiche di preghiere e inni, antifone, responsori, alleluia, sequenze, e l’ufficio mattutino della festa di sant’Orsola. Tranne pochi esempi, i testi sono elaborati da Ildegarda; le melodie partono dal gregoriano, quasi sempre riconoscibile, per reinventarsi in maniera sorprendente[12].
I componimenti della santa di Bingen si possono ascoltare in vari cd, ma l’unica edizione completa[13] è quella dovuta alla ricerca musicologica e alla interpretazione di Barbara Thornton (1950-97), che con Benjamin Bagby ha fondato il complesso vocale e strumentale Sequentia, specialista della musica medievale.
La Thornton iniziò con la registrazione dell’Ordo Virtutum nel 1982, cui fece seguito, nel 1983, una prima incisione antologica dei canti intitolata Symphoniae. Dopo un lasso di tempo di circa dieci anni, in cui la cantante si occupò di altri repertori e continuò a studiare a fondo la musica di santa Ildegarda, apparve un ulteriore cd, Canticles of Ecstasy, seguito a breve da altri tre, Saints, Voice of Blood, O Jerusalem, che completarono il ciclo. Infine venne registrato di nuovo, nel 1997, l’Ordo Virtutum. Barbara Thornton, in questa seconda fase, appare trasformata nella potenza della voce, nella sicurezza dell’intonazione, nella fantasia sbalorditiva con cui intesse melismi e interpreta i brani, nella declamazione drammatica del testo, quasi fosse penetrata appieno nello spirito di Ildegarda di Bingen[14].
I colori della Città Celeste
Ci piace citare, come esempi, quattro canti di carattere diverso, che in parte esprimono bene la visione prevalentemente ecclesiale e apocalittica della santa e in parte mostrano alcune caratteristiche del suo linguaggio, come quelle legate all’immaginazione e ai significati simbolici dei colori[15].
Il primo è un’antifona, O quam mirabilis est, che ci svela la particolare e libera interpretazione del gregoriano da parte di santa Ildegarda: «O ammirevole prescienza divina/ che hai concepito ogni creatura./ In tutte le cose hai contemplato/ il riflesso dell’uomo/ che hai creato a tua immagine./ O infinita ispirazione/ che hai dato vita all’uomo».
Il secondo esempio è l’inizio di una vasta sequenza, O Ecclesia, in cui la figura di sant’Orsola è vista all’interno del mistero della Chiesa, e così suggerisce l’alternarsi di una voce solista e di un coro femminile: «O Chiesa dagli occhi di zaffiro/ e le orecchie simili al monte Bethel/ il tuo naso è simile a un colle di mirra e incenso/ e la tua bocca è come il suono di molte acque».
Il terzo brano è ancora una sequenza, O Jerusalem (ispirato al capitolo 21 dell’Apocalisse), e fa parte di una serie di canti composti in onore di san Ruperto, uno dei santi particolarmente venerati nella diocesi di Magonza, al quale Ildegarda aveva dedicato una delle sue biografie. Il testo del canto ci ricorda il riferimento costante che collega le esperienze mistiche alla Città Celeste: nella vita eterna si celebra una continua, solenne liturgia; la liturgia sulla terra, la nostra vita in generale, dovrebbe essere in continua relazione con quanto viene celebrato in cielo, fin d’ora e per sempre. Non si possono dimenticare i colori, il simbolismo delle pietre preziose; il «purissimo azzurro» dei poeti è il colore della nuova Gerusalemme, ed anche Cristo è definito dallo stesso colore: «O Gerusalemme, città d’oro,/ornata di porpora regale/ o costruzione della bontà suprema/ luce giammai oscurata… / Le finestre, Gerusalemme,/ sono decorate specialmente/ di topazio e zaffiro».
Dallo zaffiro e dall’azzurro, passando, senza soffermarci, al colore del sangue, dell’umanità, del martirio (al quale il complesso Sequentia ha dedicato un intero cd, Voice of Blood, già citato) per approdare alla forza creatrice del verde, particolarmente evidente nella natura. Questa volta si tratta di un responsorio: «O nobilissimo Verde, radicato nel sole,/ e splendente nella chiara serenità,/ nel tondo di una ruota rotante,/ che non può contenere tutta la terrestre magnificenza,/ tu Verde, sei avvolto d’amore,/ abbracciato dalla forza di celestiali segreti./ Tu arrossi come la luce dell’aurora,/ tu ardi come la brace del sole,/ o nobilissima Viriditas».
Ordo virtutum
Concludiamo con una breve presentazione dell’Ordo virtutum (1151 ca)[16], definito da alcuni storici della musica come «dramma morale», la prima sacra rappresentazione che si conosca, anteriore di un secolo rispetto al Jeux de Robin et Mariom di Adam de la Halle (1237? – 1288) e alle laudi di Jacopone da Todi (1233 ca – 1306), che però non sono di carattere propriamente teatrale.
Sostenuta da 82 melodie in stile sillabico, la rappresentazione propone quattro scene. Nella prima l’Anima lamenta il sentirsi inclinata a cedere alle esigenze della carne senza chiedere l’aiuto al suo Creatore, nonostante gli ammonimenti delle virtù a riflettere sulla primitiva situazione, perduta a causa del Diavolo. Appena nominato, l’antico serpente, che non canta ma parla e grida, cerca di persuadere l’Anima a non impegnarsi in sforzi vani, perché comunque avrà da lui tutto ciò che le occorre. Tra le virtù — Fede, Speranza, Carità, Scienza, Umiltà, Timore di Dio, Obbedienza, Castità, Innocenza, Amore santo, Disprezzo del mondo, Disciplina, Verecondia, Misericordia, Discrezione, Pazienza — emerge l’Umiltà, che ricorda come, senza Dio, noi non possiamo volare alto.
Scena seconda: le virtù proseguono la loro gara per il primato e ricordano all’Anima che la vera beatitudine dell’uomo è contemplare il volto di Dio. Scena terza: se il Buon Pastore non va in cerca della pecorella smarrita, essa non si salva. L’Anima invoca la virtù dell’Umiltà, in particolare. Scena quarta: l’Anima, resa forte dall’Umiltà, si scontra direttamente con il Diavolo che, dopo aver proposto una distorta visione del «siate fecondi e moltiplicatevi» (Gn 1,22), viene sconfitto.
In un dvd della BBC, l’Ordo virtutum è interpretato sia come una sacra rappresentazione d’epoca sia come uno spettacolo in abiti moderni. Può forse stupire vedere il Demonio in marsina, ma ricordiamo un passaggio del film La settima stanza di Màrta Mészáros, dedicato a Edith Stein, dove la santa, prima di abbracciare il Carmelo, è tentata nel contesto di una sorta di frenetica festa danzante, dove si insinua il fascino del potere (il pretendente amante sarà poi in veste di ufficiale tedesco, colui che fino all’ultimo, nel lager nazista, le promette salva la vita), della lussuria e degli altri vizi.
Oltre che nelle due versioni del gruppo Sapientia, l’Ordo Virtutum si può ascoltare e vedere nella versione video della BBC[17], arricchita da un secondo dvd, che completa le notizie su Ildegarda, contiene una sorta di lezione sulla natura mistica degli scritti e della musica della santa, sulle fonti della sua ispirazione, e il commento a 23 delle sue immagini colorate, approfondite nei dettagli e nel loro significato simbolico.
[1] Cfr Benedetto XVI, Lettera apostolica Santa Ildegarda di Bingen, Monaca Professa dell’ordine di San Benedetto, è proclamata Dottore della Chiesa universale, 7 ottobre 2012.
[2] Cfr AAS 1979, 1.402 s.
[3] Non varrebbe la pena di scriverne: in un recente sceneggiato tv dedicato al Barbarossa (regista Renzo Martinelli) e alla battaglia di Legnano, la santa compare al re tedesco come una sorta di profetessa scarmigliata, che minaccia rovina e morte. Ildegarda incontrò effettivamente il Barbarossa in Germania, non in Italia, e i suoi intenti erano amichevoli ed esortativi.
[4] A. M. Cànopi, Monachesimo benedettino femminile, Seregno (Mb), Abbazia San Benedetto, 1994, 37-52.
[5] Id., «Due nuovi dottori della Chiesa», in La Casa sulla Roccia, luglio-settembre 2012, 68 s.
[6] J. P. Migne, «S. Hildegardis abbatissae opera omnia», in Patrologia latina, t. 197, Paris, 1952.
[7] Un’edizione di questa opera è stata curata, nel 2002, da G. Della Croce per la Libr. Ed. Vaticana.
[8] Anche Giovanni Scoto Eriugena, Ugo da San Vittore e altri. Cfr R. Copioli, «Ildegarda, musica e pittura del creato», in Avvenire, 29 settembre 2012, 25.
[9] Cfr Benedetto XVI, Lettera apostolica Santa Ildegarda di Bingen…, cit., nn. 4-6.
[10] Un’edizione molto semplice, arricchita di raffinate illustrazioni, è Una monaca erborista, Casale Monferrato (Al), Piemme, 1989.
[11] Nel testo citato nella nota successiva P. Sequeri inserisce Ildegarda nella via maestra della tradizione della musica religiosa occidentale.
[12] Cfr P. Sequeri, «Mistica della creazione riconciliata. Hildegarde», in Musica e Mistica. Percorsi nella storia occidentale delle pratiche estetiche e religiose, Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, 2005, 136 s.
[13] Si tratta di sei cd (di cui due doppi) della Deutsche Harmonia Mundi, completati per il 9° centenario della nascita di Ildegarda di Bingen; di recente sono stati riuniti in un unico cofanetto.
[14] M. R. Zegna (ed.), «Il canto della sibilla», in Amadeus n. 264, novembre 2011, 62 s.
[15] Approfondimenti di questa attenzione si trovano in G. Arledler, «I colori della Città Celeste», in Indaco: colore del Cielo e dello Spirito, Monte Porzio Catone (Rm), Edizioni del Comune, 2005, 28-45 (con bibliografia e discografia).
[16] Cfr M. Tabaglio (ed.), Il cammino di Anima verso la salvezza, Verona, Fiorini, 1999, con notazioni musicali e ampia bibliografia critica.
[17] Hildegard von Bingen – In Portrait, Ordo Virtutum, BBC-Opus Arte OA 0874 2 dvd.
Copyright © 2012 – La Civiltà Cattolica
Quaderno 3899 pag. 466 – 473 Anno 2012-Volume IV