“Tagliare i percorsi biografici e storici è segno di incipiente schizofrenia” di Angelino Tedde
Il sindaco di Mamoiada, seguito non so da quanti consiglieri comunali, suppongo la maggioranza, nell’articolo del giornale non si parla della minoranza, ha deliberato di cancellare i nomi delle vie che si riferiscono a personaggi storici dell’Italia unita, per sostituirli con personaggi sardi simbolici come la sardo-catalana Eleonora d’Arborea e altri.
La cosa peggiore è poi l’affermazione al TGR regionale del sindaco Luciano BARONE [Cambi il suo cognome che storicamente potrebbe risultare doppiamente ingombrante] che questo atto come dimostrerebbe la storiografia deriverebbe dal giudizio negativo sulla politica portata avanti dai piemontesi dal 1720 al 1848, cento ventotto anni, quando fu approvato lo Statuto albertino dal Parlamento del primo nucleo dell’Italia unita in cui fecero ingresso anche i rappresentanti sardi anche se nella carta d’Italia esposta nel parlamento, mancava la Sardegna, rimossa o ignorata perché la Sardegna secondo la tradizione storica e politica di origine non solo spagnola era considerata Regno di Sardegna da cui i sovrani sabaudi assunsero la qualifica di re quando fu loro assegnata.
Non entro in merito alle idee politiche del BARONE, ognuno è libero di pensarla come vuole, del resto qui a Chiaramonti le vie sono state repubblicanizzate nei primi anni settanta da una giunta socialcomunista.
Il BARONE e i suoi seguaci o il suo mentore politico lo sa che dagli anni sessanta dell’ottocento nei registri dell’anagrafe civile sono menzionate quelle vie accanto al registro dei nati, sposati, morti a Mamoiada? Il sindaco Barone è consapevole che le ricaccia nel nulla e che renderà il già difficile lavoro degli storici ancora più difficile? Che i mamoiadini dovranno riconvertire il loro linguaggio e perdere la testa per indicare le nuove vie?
Non sarebbe stato corretto indire prima una specie di referendum a carattere consultivo tra gli amministrati? E il dirigente tecnico non poteva dare il suo autorevole parere su questo cambiamento?
Circa l’operato dei piemontesi le suggerirei di leggersi il decimo volume della Utet, contributo di Lucetta Scaraffia senza enumerare i quattro volumi della Yaka Book. Poi vorrei ricordargli la riforma delle due università di Cagliari e di Sassari degli anni sessanta del settecento presso cui furono mandati ad insegnare dei luminari e dove si graduarono un gran numero di sardi; vorrei altresì rammentargli l’istituzione da parte dei piemontesi delle Comuni, delle assemblee comunitative, dei consiglieri e sindaci comunitativi per dar peso alle comunità e per rintuzzare l’albagia dei feudatari, la maggioranza podatari sardi che approfittavano del loro impieghi per “sfruttare” come direbbe il sindaco gli stessi sardi; che dire del Codice Civile e Criminale di Carlo Felice del 1827, visto che ci regolavamo secondo la Carta de Logu e delle Prammatiche di spagnola memoria! Non gli dico delle scuole normali-elementari del 1823 istituite da Carlo Felice e ritoccate da Carlo Alberto che spinsero molti figli del popolo a frequentarle con successo, di quelle precedenti parrocchiali non gli parlo, ché questo sindaco potrebbe essere un giacobino sardo travestito da italiano. Lo sa che lo stesso editto delle chiudende del 1820 fu ispirato alle chiudende inglesi col cui profitto ebbe inizio l’industria inglese?
Forse sono discorsi troppo ardui per un sindaco che si è fermato all’economia della pecora che come si vede ci rende i “Cresi” dell’intero pianeta. Vorrei anche rammentargli che nel 1838-39 fu abolito il feudalesimo accolto come una liberazione da molti feudatari che preferirono le cartelle fondiarie piuttosto che territori ingovernabili e poco produttivi. E mi fermo qui per non parlare dell’opera del piemontese La Marmora che percorse la Sardegna con una grossa squadra di studiosi percorrendo l’Isola palmo a palmo e rendendola famosa in tutto l’occidente visto che l’opera fu pubblicata in francese e a Parigi. Non gli parlo del lavoro dell’Angius su ogni borgo e paese: un’analisi non solo storica, ma economica, sociologica per il famoso Dizionario del Casalis.
Io amo Mamoiada, sia perché di Mamoiada era originario il carissimo don Marredda, morto logorato dall’apostolato alle porte di Assisi sia perché amico fraterno di Luigi Ladu, il maggior contenitore nel suo blog, di poesie e prose in lingua sarda e italiana, Un operatore culturale di primo piano in Sardegna che fa onore a Mamoiada e all’intera isola.
“Sindaco Barone la propria storia personale ancorché ingombrante non si cancella mai, fa parte della nostra identità come la nostra pelle. Non possiamo aprire dei buchi neri per annullare lo spazio e il tempo. Ognuno si accetta con la storia che gli vien tramandata dai suoi antenati, belli o brutti che fossero, pena la perdita dell’identità. Idem per la storia dei popoli che mi creda è più rassomigliante l’una all’altra più di quanto si creda. Non siamo gli sfortunati del pianeta benché troppo cantonali e individualisti.”
Le suggerirei il saggio di Antonello Mattone e Piero Sanna. Settecento sardo e cultura europea, Lumi, società, istituzioni nella crisi dell’antico regime, Franco Angeli,Milano 2007, pp.380.
Lei si è fermato ad Eboli!