Il Chiaramontese Rettore di Ploaghe Salvatore Cossu (1799-1868) di Angelino Tedde
Nella collana edita dall’Associazione culturale Alcide De Gasperi di Sassari, sotto la presidenza di Nino Giagu Demartini, 1989-2006, e da me curata, è compresa una monografia sul Teologo Salvatore Cossu, rettore di Ploaghe dal 1827 al 1868.
Caterina Satta, Angelino Tedde,
I doveri del cristiano nelle opere in lingua sarda del rettore di Ploaghe Salvatore Cossu (1799-1868).
La pedagogia di un parroco dell’Ottocento (1827-1868)Associazione culturale “A. De Gasperi”, Stampacolor, Muros 2006, pp. 200.
Il lavoro, costituito da 8 capitoli, tratta la nascita e gli studi, rettore a Ploaghe,il catechismo della dottrina cristiana, pause di cura, di studio e meditazione, il manuale de sos principales obligos de algunos istados, qualidades et officios, i riverberi della rivoluzione liberal-democratica, 1848-1858, i sermoni parrocchiali (1848-1868), l’uomo saggio e onesto secondo il pensiero pedagogico del rettore Cossu, il giudizio dei contemporanei, conclusioni. L’appendice documentaria che riporta il catechismo della dottrina cristiana in sardo, il manuale in sardo, i sermoni parrocchiali in sardo.
Sulla lingua sarda dobbiamo osservare che, seguendo i canoni dello Spano del quale il rettore era silenzioso collaboratore e amico fraterno, egli segue una moda latineggiante che più di me i filologi sardi potranno illustrare. Per quanto riguarda i contenuti occorre dire che essi tracciano un essenziale profilo della formazione curricolare del Cossu, con gli strumenti che egli compone per dare una buona educazione e formazione cristiana ai parrocchiani che gli sono stati affidati dopo la vincita del concorso nel 1827. Il catechismo s’ispira nella sua essenzialità a quello del Bellarmino con domande e risposte per rendere agevole l’apprendimento da parte delle maestre di catechismo e dei ragazzi, mentre di alta umanità e spiritualità appare il manuale del buon cristiano dove accanto alla dottrina emerge la finezza della sua riflessione sui vari temi trattati.
Emergono i consigli per la professione medico-chirurgica,quelle per il maestro della scuola primaria, ma soprattutto la condotta reciproca degli sposi.
Altro elemento da rimarcare è il suo pensiero circa la rivoluzione liberale, ma soprattutto il suo pensiero sulla fusione col Piemonte che lui non vede di buon occhio e anzi, in nuce, apre tra i primi quella che sarà definita “la questione sarda”. Per il resto, passati i bollori del 1948, egli continua ad educare cristianamente il suo gregge senza crearsi patemi per lo Statuto Albertino, mentre nei sermoni parrocchiali mette in risalto ciò che a suo parere ha di negativo la concezione liberal-democratica a cui si è dato inizio.
Non manca nel libro il riferimento alla sua pedagogia cristiana più persuasiva che polemica.
Le donne di Ploaghe, vestite in costume, mettevano in vista in modo non certo pudico il loro seno. Il rettore, deciso a rendere intima questa parte del petto femminile, più che sprecarsi in prediche si mette alla porta ed offre ad ogni donna un fazzoletto con cui coprire il seno. Le brave donne ploaghesi non solo lo assecondano, ma inseriscono nel costume, un velo opaco che copra il seno.
Altro episodio è quello in cui gli si offre una parrocchia più locupleta, visto che la popolazione ploaghese con le continue carestie non poteva dare al clero quanto dovuto. Il buon parroco preferisce al guadagno vivere con quelli che lui chiama figlie e figli, battezzati, cresimati e di cui aveva benedetto le nozze e battezzato i figli, piuttosto che avere una discreta congrua e svolgere la sua attività pastorale con “figliastri”.
Una serie d’inconvenienti, compreso lo stato di salute e la scomparsa dell’on. Nino Giagu Demartini, non hanno permesso una vasta diffusione del libro che meriterebbe di essere rivisitato e completato considerando le altre opere letterarie del buon rettore ploaghese oriundo di Chiaramonti di cui non si era mai dimenticato, ma intervenendo talvolta per riportare a miglior condotta matrimoniale alcuni elementi della borghesia lontani dalla pratica della fede.
Per quanto mi riguarda provo una certa mestizia nel vedere che sovente chi usa del libro non lo cita affatto spacciandosi per cultore di storia patria in solitario. Questa condotta declassa da cultore a misero scribacchino chi segue questa linea. Alicuique suum. Verifichiamo sovente che Nemo propheta in patria.