“Giovanni Tedde (1924-2016): scompare parte della memoria storica degli ultimi 85 anni di Chiaramonti” di Ange de Clermont
Alle 16,45 del 30 agosto in Chiaramonti ha cessato di vivere zio Giovanni Tedde. Era nato il 13 aprile del 1924 e stava vivendo sia pure con forte disagio e sofferenza il suo 93 esimo anno. Con lui se ne va un pezzo di storia di Chiaramonti.
Fin da bambino aveva vissuto il disagio per la fine prematura e crudele della sua famiglia. Allevato dagli zii Pileri-Tedde ha vissuto l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza in Piatta, nel cuore del paese, conoscendo un po’ tutti i compaesani che per forza di cose dovevano passare davanti a casa degli zii contigua alla Casa Comunale. Era nato mentre il fascismo andava consolidando il suo potere. Era cresciuto nel clima della Gioventù Italiana del Littorio, ma non era uomo di parte e spesso con l’acuta intelligenza che aveva sapeva discernere il fumo delle parole dalla sostanza dei fatti. Durante la seconda guerra mondiale aveva svolto servizio a Roma e a Palermo subendo come i suoi coetanei i disagi della II guerra mondiale: sette anni di arruolamento.
Ricevuta l’eredità dei suoi defunti genitori dagli zii che gliel’avevano ben tenuta faceva il piccolo proprietario della sua azienda di famiglia, accresciuta col matrimonio con Giuseppa Truddaiu, sorella del famoso poeta chiaramontese del secondo Novecento; moglie e madre buona che sapeva tollerare cristianamente l’esuberanza del consorte.
Proprietario di terre e di bestiame ha svolto per un certo periodo la funzione di presidente della cooperativa locale “Gruppo Pastori” e di consigliere dell’Istituto di Credito Agrario locale.
Stimatissimo e spesso chiamato a dirimere le questioni inerenti alle proprietà come mediatore o “omine de mesu”.
Buon conoscitore del territorio campestre, anche se non cacciatore, ma conoscitore di passaggi della selvaggina sia nel suo podere come in quelli altrui, entrò in familiarità con avvocati e docenti universitari sassaresi appassionati della caccia. Fra i docenti dell’epoca aveva familiarità col prof. avv. Salvatore Piras e con il prof. Tommaso Antonio Castiglia, entrambi appassionati di caccia.
Giovanni Tedde non aveva fatto studi superiori, ma aveva una discreta preparazione culturale e si doleva per non aver potuto seguire gli studi. Si esprimeva in un buon italiano, ma ovviamente parlava coloritamente la lingua sarda. Fino all’ultimo si è dedicato al miglioramento fondiario, soprattutto arboreo del suo più amato podere di Culuemuru. non si era certo fermato al mondo contadino di metà del secolo scorso. La moglie, Giuseppa Truddaiu, scomparsa due anni fa, gli ha dato tre figli: il maggiore era sottufficiale dell’Arma dei Carabienieri ed è prematuramente scomparso dopo il pensionamento: acerbo dolore per lui che oltre ad un figlio ha perso il sicuro erede della continuazione dell’azienda e della coltivazione degli orti dei frutteti ed oliveti, parte della frutta finiva in beneficenza della locale casa degli anziani e degli amici più stretti anche lontanissimi dal paese. A suo tempo si era esposto finanziariamente anche per l’ammodernamento del locale Oleificio, chiuso per i problemi dell’inquinamento delle acque e liquidato con trasparenza.Il secondo figlio ha conseguito la laurea in Farmacia e garantisce con la moglie. ugualmente farmacista. il servizio al paese con ottima professionalità. La terza figlia, medico chirurgo, specializzata in dermatologia, svolge a Pordenone in Friuli, la professione di medico di famiglia. Amava teneramente i nipoti ai quali spesso telefonava ed era ogoglioso del nipote Nicola, giovane urologo che segue ulteriori specializzazioni all’estero e della nipote Sara, ingegnere ambientale e dottore in Scienze ambientali, titolo conseguito a Parigi.
Molto affezionato anche alle due figlie di Giuseppe, con cui spesso s’intratteneva a conversare dal momentoc che vivono in paese.
Amava teneramente i nipoti orfani di Nicola della cui lontananza soffriva.
Da tempo aveva provveduto a dividere i beni tra i figli, accontentandosi di un modesto usufrutto.
L’uomo è rimasto lucido fino a qualche ora dalla morte anche se molto provato dalla dialisi bisettimanale a Sassari. Di lui si può dire che era un’archivio storico-economico-sociale vivente del borgo. Intratteneva rapporti con tutti i borghigiani, a meno che non fossero pregiudcati. Fino all’esplosione della malattia, novantaduenne, guidava la sua auto e si muoveva con piena autonomia. La sua lucidità mentale e la sua salute era tale che gli avresti garantito i cento anni e passa, purtroppo, il sopravvenuto disturbo nefrologico lo ha portato alla tomba nonostante la generale aspettativa di vedergli raggiungere i cento anni.
Di lui possiamo dire che era un chiaramontese e un Tedde doc, essendo di padre e madre Tedde, e dei Tedde possedendo la qualità della bonomia, ma anche l’ironia e la capacità di inventare scherzi colossali.
Quello più famoso fu quando, spacciandosi al telefono per l’arcivescovo di Sassari, ringraziò il gruppo pastori del dono caseario, ma li rimproverò dell’acqua con cui avrebbero allungato il latte. Finita la telefonata, i riceventi, da lui tutti benedetti al telefono, specie per il rimprovero sul latte, chiamarono la Curia e scoprirono il colossale scherzo che aveva piazzato ai suoi consoci nella cooperativa lattiero casearia, perché dalla sede arcivescovile non era partita alcuna telefonata dell’arcivescovo.
Non era uomo di odio e di forti rancori: si scusava con chi poteva avere offeso inavvertitamente, si limitava a ignorare chi gli aveva fatto dei torti.
Cristiano non convenzionale, devoto alla Vergine e a Padre Pio, ha collocato nel suo podere prediletto sia la statua della Vergine sia l’effigie scolpita del frate di Pietrelcina.
Che il Signore lo accolga nella sua celeste dimora con tutti i cari che lo hanno preceduto.
Nella genealogia dei Tedde fa parte della numerosa e prolifica schiera di Salvatore dei tre fratelli Matteo, Salvatore, Leonardo, sette-novecento, aventi come capostipite Juan Tedde (1714) di Chiaramonti in cui i nomi di Giovanni e di Salvatore si sprecano.
I discendenti sono ormai diffusi nella Sardegna nord occidentale, nella Penisola, nelle altre parti del mondo. Tra costoro gli argentini Nestor, Sandra e Sergio e i loro figli con cui zio Jhon, così amavo chiamarlo, aveva calorosi rapporti.
I funerali privati si sono svolti il 1° settembre con la Santa Messa presso la chiesa del Carmelo dal parroco Don Paolo Tirotto ed è stato seppellito nella cappella di famiglia ubicata nel I campo della IV sezione cimiteriale.
L’uomo, attivissimo nelle iniziative della categoria, merita che me ne occupi più estesamente in altri contributi.
Negli ultimi quattro anni da che ho preso prima domicilio e poi residenza a Chiaramonti ho avuto modo d’incontrarlo almeno due o tre volte la settimana. Posteggiava in macchina presso casa, mi faceva salire, e cominciavamo il colloquio di almeno un’ora.
Si parlava di storia, di economia, di criminalità e di personaggi chiaramontesi. La sua memoria storica era estesissima e sapeva anche condirla con molto pepe.
Riconosceva che talvolta negli scherzi aveva esagerato, ma intanto entrambi ridevamo a crepapelle.
Talvolta mi portava nei suoi poderi per farmi notare i nuovi innesti, le nuove piante, i muri a secco ricostruiti e i sentieri campestri dedicati ai nipoti dei cui successi era orgoglioso.
Talvolta mi offriva della frutta e verdura dell’orto che contraccambiavo con qualche bottiglia di mirto o di limoncello confezionati da mia moglie che conosceva da bambina e che chiamava Angionedda.