“Introduzione a Francesco De Rosa” di Paola Ruggeri
Marco Agostino Amucano, Francesco De Rosa, Frammenti di un’opera inedita: il Quaderno X e le lettere ad Angelo De Gubernatis, Paolo Sorba Editore, La Maddalena 2012, pp.352 €. 25
Quando il mio amico Agostino Amucano mi chiese di scrivere una introduzione ad un suo libro su un’opera inedita, il Quaderno X, dell’olbiese maestro Francesco de Rosa, classe 1854, confesso di non esser stata ben concia né della portata del personaggio né del privilegio che Agostino mi permetteva di condividere con lui e pochi altri amici, quello di poter leggere in anteprima la ricostruzione della vicenda umana e intellettuale di un personaggio complesso, interessante, a tratti commovente nel suo entusiasmo e nella sua foga di ricerca e conoscenza. Uno dei tanti olbiesi e sardi che a cavallo tra la seconda metà dell’800 e il primo cinquantennio del secolo scorso, si sono resi protagonisti, in maniera talvolta anticonvenzionale, di dibattiti culturali, di indagini sulla storia della loro terra, di partecipazione a importanti avventure editoriali, sempre nell’ottica disinteressata dell’amore per il sapere, della conservazione della memoria della Patria sarda con una grande attenzione alle tematiche culturali nazionali ed europee.
Ed eccomi qui dopo aver letto d’un fiato le 352 pagine di questo libro, corredate da uno staordinario apparato fotografico d’epoca, frutto della sapiente “regia” dell’ottimo Michele Picciaredda, a proclamarmi stupita e affascinata dall’avventura intellettuale di Francesco De Rosa e dal minuzioso e, voglio sottolinearlo, affettuoso lavoro di ricostruzione dell’autore del libro, il nostro Agostino Amucano.
L’articolazione dell’opera è in quattro capitoli di vasto respiro, dedicati il primo alla biografia del maestro De Rosa, il secondo ad un’introduzione al manoscritto inedito, denominato Quaderno X, il terzo alla trascrizione del manoscritto stesso ed infine il quarto alle lettere del De Rosa al conte Angelo De Gubernatis; segue a conclusione un’interessante appendice documentaria di scritti scelti, composizioni in prosa e in poesia del maestro olbiese.
Già dai titoli dei diversi capitoli si coglie l’obiettivo, da parte dell’autore di tracciare un ritratto a tutto tondo del De Rosa, a partire dagli anni della formazione nel clima terranovese post-unitario. Il De Rosa, soprannominato affettuosamente Mastru Ziccu, interpreta la sua funzione sociale di maestro nel segno dei tempi e dei suoi convincimenti politici di socialista riformista e anticlericale, non partecipa attivamente alla vita politica ma prende una posizione netta su tematiche di stampo progressista, come quella a favore del divorzio e critica polemicamente l’educazione di stampo religioso, impartita da preti e suore, queste ultime duramente attaccate in un suo articolo del 1888, pubblicato sul periodico Lo Stretto di Bonifacio. Ciò che sorprende è che, tutto sommato, le posizioni di Mastru Ziccu, non provochino come conseguenza un atteggiamento di indignazione da parte dei Terranovesi «indifferenti in materia religiosa, poco teneri dei sacerdoti, che non lasciano bazzicare nelle case loro per non averli in odore di santità» come scrive lo stesso maestro (p. 47), in linea quasi con il giudizio espresso nel resoconto sulla missione vincenziana a Terranova, capitanata dal Padre Manzella dell’undici-ventitré febbraio 1905. Del resto appare ancora viva a Terranova la ferita provocata dalla soppressione «dell’antica Diocesi di Civita, avvenuta nel 1839, che aveva fatto retrocedere la gloriosa ex-cattedrale romanica di San simplicio (presto semi-abbandonata ed invasa da uccelli schiamazzanti al suo interno) al rango di succursale della chiesa parrocchiale di San Paolo» (p. 20 e p. 21).
Certo accanto alla verve polemica del De Rosa emerge la fatica e l’entusiasmo della sua professione; è dura la vita del maestro che egli condivide con la moglie Pietrina Codina anch’ella maestra elementare, viaggi faticosi in paesi non solo della Gallura ma anche dell’Oristanese come Cabras, stipendio basso, difficoltà nel trovare alloggio. Eppure il generale clima di rinnovamento e progresso dell’Italia post-unitaria si coglie anche in Sardegna e a Terranova: il sistema scolastico cambia profondamente dalla legge Casati del 1861 a quella Daneo-Credaro del 1911, il corpo docente viene retribuito non più dai singoli municipi ma dallo stato, si incrementa l’edilizia scolastica, sorge a Terranova il Palazzo scolastico in Corso Umberto I, ancora oggi vero e proprio monumento identitario della città. Mi ha colpito un particolare, a mio avviso significativo, dell’adesione ferma del De Rosas alla politica unitaria, allorché ho appreso, leggendo le notizie relative al suo albero genealogico, che due dei suoi quattro figli furono chiamati Oberdan e Eleonora Italia.
Francesco de Rosa è il Mastru Ziccu, con le sue posizioni anticonformiste che spesso lo collocano in posizione dialettica con le istituzioni e i potentati della sua città, in un rapporto di odio-amore con i suoi concittadini, ama Terranova e allo stesso tempo vuole fuggirne per ottenere un incarico di insegnante nelle scuole italiane all’estero, come si apprende dalla lettera inviata al conte Angelo De Gubernatis del 9 giugno del 1895 affinché possa perorare la sua causa presso il Ministro degli Esteri, ma è anche Franco Saredo, secondo l’uso abbastanza diffuso all’epoca di adottare uno pseudonimo per firmare opere in prosa e poesia o più genericamente i propri lavori di studio e ricerca. Franco Saredo rappresenta l’anima intellettuale di Mastru Ziccu, anche se va sottolineato che il De Rosa preferisce sempre firmarsi nelle opere di ricerca con il suo vero nome, è lo studioso di tradizioni popolari, di archeologia, è soprattutto il poeta in lingua nazionale e ancora in gallurese e in logudorese, è l’autore dell’ormai rara raccolta I poeti terranovesi del 1901, dedicata al padre. Il De Rosa-Franco Saredo disvela, se ancora ce ne fosse bisogno, un mondo di contatti culturali a livello locale, nazionale e internazionale che hanno fatto di Terranova-Olbia tra la seconda metà dell’800 e la prima metà del 900 una piccola capitale culturale del Nord Sardegna, proiettata in una visione autentica di recupero delle proprie radici da offrire al contesto internazionale: un tema ancor oggi attuale che per Agostino Amucano può fornire «alla Olbia di XXI secolo una non retorica iniezione ricostituente per ravvivare il senso di identità e l’orgoglio civico attraverso il costante recupero delle radici culturali più autentiche» (p. 8). Un auspicio che condivido da sarda e gallurese.
Ed ecco comparire tra le relazioni ed i contatti del De Rosa la “Musa sarda” per eccellenza, la nostra amata e ancora forse poco nota al pubblico dei lettori del XXI secolo Grazia Deledda, la “gentile e colta signorina”, presso la quale Andrea Piroddi, già allievo del De Rosa e formatosi in seguito a Nuoro, referente per la Gallura della prestigiosa Rivista delle Tradizioni Popolari italiane (fondata dal De Gubernatis nel 1839), segnala il nome del suo antico maestro. La Deledda mostra di apprezzare «il vecchio e bravo insegnante» ed anche la sua attività di promotore della raccolta di adesioni per la Rivista come risulta in una lettera della scrittrice al De Gubernatis del 12 novembre 1893; e poi l’intellettuale, grande sanscritista e studioso di Letteratura italiana, materie per le quali tenne la cattedra all’Università di Roma a partire dal 1891, il conte Angelo De Gubernatis al quale il De Rosa scrisse undici lettere tra il 23 febbraio 1894 e il 23 novembre 1895, custodite presso la Sala Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Firenze (parte pur se modesta dell’amplissimo fondo Angelo De Gubernatis). Ebbene dalle lettere, pubblicate nel capitolo quarto del libro di Agostino Amucano, emerge una grande devozione del De Rosa nei confronti di cotanto personaggio al quale raccomanda con piena fiducia la pubblicazione dei suoi scritti in tema folklorico nella Rivista, ma credo che allo stesso tempo traspaia un po’ di delusione per le promesse non mantenute – anche se il De Rosa assai cortesemente sembra ritenere che ciò sia avvenuto indipendentemente dalla stessa volontà del De Gubernatis – sia riguardo alla mancata pubblicazione dell’imponente opera completa sulle tradizioni di Terranova Pausania sia riguardo alle vicende personali del maestro che, come si è fatto cenno, sperava di potersi trasferire da Terranova all’estero. Ho lasciato per ultimo, ma non certo per importanza, Pietro Tamponi, allora come oggi nume tutelare di Olbia: l’indagine archeologica condotta dal Regio Ispettore degli scavi per la zona di Terranova dovette essere seguita, con vivo interesse dal De Rosa, del resto ciò rientrava nella natura dell’uomo e doveva, come testimonia il Quaderno X, costituire una parte significativa dei suoi interessi e delle sue ricerche. Credo però che il Tamponi abbia rappresentato per il De Rosa un sentire comune, un’unità di intenti culturali profonda, tanto da spingerlo a scrivere al De Gubernatis (29 agosto 1894) che il Tamponi «è stato il solo vivente in Gallura che meriti di far parte del Dizionario degli illustri viventi italiani che intende pubblicare».
Veniamo a quello che rappresenta il vero nucleo costitutivo del lavoro di Agostino Amucano, il Quaderno X del De Rosa dedicato all’archeologia della Sardegna con particolare riferimento all’area della Gallura e di Olbia. Un manoscritto, che come è nella migliore tradizione ha vissuto varie vicissitudini: anzitutto è, ad oggi, l’unico superstite che si conosca ufficialmente di una serie di ricerche manoscritte sulla Storia di Sardegna confluite in una serie di quaderni precedenti contrassegnati da numero progressivo, probabilmente, suppone Amucano, è possibile ne esistano uno o più susseguenti. Già noto alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso e consultabile presso l’Archivio Comunale di Olbia è stato donato da un privato cittadino nel 1999 alla Biblioteca comunale Simpliciana di Olbia, la cui direttrice, la dott.ssa Maria Giovanna Piga, lo ha segnalato e ne ha promosso lo studio da parte del nostro Agostino Amucano. Pare che il manoscritto, custodito presso l’Archivio di fortuna del Comune, collocato nel sottotetto sia scampato fortunosamente al bombardamento degli Alleati su Olbia del 15 maggio 1943: forse gli altri quaderni hanno avuto peggior sorte o forse non del tutto: «Una fonte più che attendibile narra che a Terranova qualcuno abbia frettolosamente visto e sfogliato alcuni quaderni di Francesco De Rosa, tirati fuori da uno scatolone occultato sotto un letto» (p. 99). Ad ogni opera che si convenga è abbinato un mistero…
Appare davvero singolare che il Quaderno X sia stato quasi nel destino di Agostino Amucano, poiché una prima conferma della sua attribuzione al De Rosa, non essendo il manoscritto autografato, è giunta dal padre dello stesso autore, purtroppo oggi scomparso, che vi ha riconosciuto la scrittura e la fattura del quaderno, facendo ricorso ai ricordi di un’estate trascorsa a ripetizione dal maestro De Rosa, poiché era stato rimandato in latino quando frequentava il ginnasio presso il Liceo Azuni di Sassari.
Per quanto riguarda il contenuto del Quaderno sono da rilevare talune ingenuità nella collocazione topografica di alcuni siti, noti dalle fonti classiche, come pure nelle derivazioni etimologiche dei toponimi e dei poleonimi (valga come esempio fra i tanti Molaria dell’Itinerarium Antonini, collocata a Porto San Paolo di fronte all’isola di Molara e non presso Mulargia nella regione del Marghine presso Bortigali). Eppure un archeologo e topografo attento come Amucano, correttamente sottolinea come il Quaderno contenga alcuni elementi metodologici, come quello dell’autopsia dei luoghi e delle testimonianze archeologiche, quelle allora genericamente denominate in letteratura come “vestigia ” di antiche abitazioni o edifizi, che possono costituire un incentivo «per l’archeologo e lo storico del XXI secolo», a seguire le tracce degli studi del De Rosa sulla topografia antica dell’area di Olbia e della Gallura in generale.
Il De Rosa mostra infatti di avere padronanza del territorio indagato, anche se molte delle sue interpretazioni non appaiono appropriate, del resto delle sue indagini sul territorio si servì, a volte non rispettando il criterio dell’autopsia diretta nella redazione della Carta archeologica, lo stesso Antonio Taramelli, dal 1924 Sovrintendente di I classe agli scavi e musei archeologici della Sardegna, del quale il De Rosa divenne informatore e collaboratore di zona. Del resto i contenuti dell’archeologia sono sempre in fieri e dunque i limiti, le inesattezze, le ingenuità di Francesco De Rosa, sono compensati dalla assoluta operatività, dalla curiosità intellettuale, dalla modestia nell’apprendere, dalla carica e dalla disponibilità umana che lo portano ad ospitare nella propria casa, nella gloriosa stagione di scavi del 1937-1938 a Cabu Abbas, a Sa Testa, a Su Trambuccone, a Abba Noa, Funtana Noa e a Juanne Canu, il collaboratore del grande archeologo Doro Levi, che nutre per l’ormai più che ottantenne maestro sentimenti di amicizia e considerazione. Pare di vederli Mastru Ziccu e Franco Saredo mentre a Juanne Canu, nel cortile Forteleoni, sorridono e si entusiasmano per le nuove scoperte e se ne vanno insieme, come veri archeologi sul campo, in una giornata di gennaio del 1938, pare di vederli rivivere negli occhi luccicanti del nipote, Francesco De Angelis, divenuto anch’egli anziano, che ora è consapevole che in Sardegna cominciano a sapere chi è stato Francesco De Rosa.
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