La “Buona Scuola” e le lingue minoritarie di Mauro Maxia
La legge 107/2015, più nota con la definizione di “Buona Scuola” di cui tanto si è parlato quest’anno, introduce una “dotazione organica finalizzata alla piena attuazione dell’autonomia scolastica di cui all’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e successive modifiche”. La circolare del MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca) n. 30549 del 21/9/2015 chiarisce che “Il fabbisogno delle istituzioni scolastiche a regime è costituito dal piano triennale dell’offerta formativa da definire successivamente, mentre l’organico aggiuntivo viene assegnato per la programmazione di interventi mirati al miglioramento dell’offerta formativa. Tale organico aggiuntivo, perciò, dovrebbe rispondere agli obiettivi di qualificazione del servizio scolastico previsti dalla legge 107, commi 7 e 85, ed è destinato a confluire nel più ampio organico dell’autonomia, da definirsi, poi, con apposito decreto interministeriale ai sensi del comma 64 della medesima legge 107/2015.
La stessa circolare mette in chiaro che “con il potenziamento dell’ offerta formativa e l’organico dell’ autonomia le scuole sono chiamate a fare le proprie scelte in merito a insegnamenti e attività per il raggiungimento di obiettivi quali: valorizzazione e potenziamento delle competenze linguistiche, matematico-logiche e scientifiche, nella musica e nell’arte, di cittadinanza attiva; sviluppo di comportamenti responsabili per la tutela dei beni ambientali e culturali; potenziamento delle discipline motorie e sviluppo di un sano stile di vita; sviluppo ‘delle competenze digitali; potenziamento delle metodologie e delle attività laboratoriali; prevenzione e contrasto della dispersione, della discriminazione, del bullismo e del cyberbullismo; sviluppo dell’inclusione e del diritto allo studio per gli alunni con bisogni educativi speciali; valorizzazione della scuola come comunità attiva aperta al territorio; incremento dell’alternanza scuola-lavoro; alfabetizzazione e perfezionamento dell’italiano L2, inclusione”.
Si tratta ovviamente di obiettivi generali che lo Stato intende perseguire attraverso una serie di misure e azioni definite “Campi di potenziamento”. All’interno di questi “campi” vi sono gli obiettivi trainanti che il governo e il ministero competente hanno cercato di illustrare nel periodo che ha preceduto il varo di questa riforma che ha suscitato tante polemiche e aspre prese di posizione. Obiettivi che, manco a dirlo, sono rappresentati dal potenziamento delle competenze linguistiche (soprattutto riguardo all’italiano e all’inglese), di quelle scientifico-matematiche e di quelle artistiche. Tuttavia, nelle pieghe di tali obiettivi strategici si notano alcune finestre e una serie di spiragli che, opportunamente valorizzati, potrebbero consentire di potenziare anche altre competenze che non siano soltanto quelle appena enunciate. Più avanti vedremo di evidenziare meglio questo concetto.
In questo momento il MIUR ha l’esigenza, anzi l’urgenza, di provvedere tempestivamente alla definizione della dotazione organica essenziale per le singole istituzioni scolastiche che sono chiamate a “individuare le priorità d’intervento nell’ambito degli obiettivi suddetti, coerentemente con la programmazione dell’offerta formativa e con azione di coinvolgimento degli organi collegiali, chiamati all’elaborazione e all’approvazione delle proposte”. A questo proposito alla circolare ministeriale è stata allegata una scheda di rilevazione delle priorità. Le aree di intervento, previste dal comma 7 della legge 107, sono state ricondotte a titolo esemplificativo ad una serie di campi tendenzialmente corrispondenti alle aree disciplinari degli insegnamenti.
Per quanto riguarda le scuole secondarie di secondo grado, i campi risultano distinti da quelli del primo ciclo che, data la natura comprensiva della quasi totalità delle istituzioni di primo ciclo (cioè costituiti da istituti comprensivi), sono stati definiti in maniera congiunta tra la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado considerando anche la possibilità di utilizzare l’organico aggiuntivo in modo funzionale su tutte le istituzioni scolastiche. Quindi per la scuola superiore (secondo ciclo) sono stati individuati sette campi di potenziamento dell’offerta formativa mentre per le scuole primarie e medie (primo ciclo) i campi individuati corrispondono a sei dato che per quest’ultime l’area disciplinare socio-economica e per la legalità risulta esprimibile all’interno dello stesso campo dell’area umanistica.
In questo momento, anche a causa dei ritardi accumulati durante l’iter legislativo, il ministero ha una gran fretta e per questo sollecita le istituzioni scolastiche ad attivarsi per definire al più presto le proposte di fabbisogno per poi inserirle al SIDI (Sistema Informativo Dell’Istruzione) nello stretto margine di tempo che va da dal l0 al 15 ottobre prossimo, individuando in ordine di preferenza tutti i campi di potenziamento corrispondenti alle aree previste dal comma 7 della legge citata.
L’ordine di preferenza espresso dalle scuole sarà utilizzato come strumento di lettura del fabbisogno dell’istituzione scolastica da parte degli Uffici Scolastici Regionali indicando le priorità che le singole scuole intendono perseguire nell’ ampliamento della propria offerta formativa. Dunque le scuole dovranno definire un ordine di preferenza dei campi proposti individuando, in questo modo, le priorità dell’azione di potenziamento attraverso una descrizione qualitativa prima ancora che quantitativa dell’organico del potenziamento.
Per l’anno scolastico 2015-16 la definizione dell’organico del potenziamento è inserita nelle fasi del piano straordinario di assunzioni previsto dalla medesima legge 107 e in particolare nell’ultima di esse, fase C, secondo quanto previsto dal comma 98, lettera “c”. Per la costituzione dell’organico in questione la legge 107 prevede, al comma 95, l’assegnazione di un numero di posti aggiuntivi della dotazione dell’istituzione scolastica, finalizzati all’attuazione delle azioni previste dai commi 7 e 85 della medesima norma, nei limiti del contingente regionale che per la Sardegna è stato individuato in 1.514 posti di insegnamento (530 posti nella primaria, 215 nella scuola media e 769 nella scuola superiore) rispetto a un totale di 48.812 posti che coinvolge (quasi) tutte le altre regioni. Da questo contingente per il potenziamento dell’offerta formativa risulta esclusa la scuola dell’infanzia. Un aspetto importante riguarda l’esclusione da questa platea di posti di insegnamento della Valle d’Aosta e del Trentino – Alto Adige, regioni a statuto speciale che hanno competenza primaria nel campo dell’istruzione e che hanno diritto ad autonome dotazioni organiche. Un distinguo è necessario anche per il Friuli – Venezia Giulia che è compreso nel piano ma con una riserva di posti per la lingua slovena.
Il percorso che gli USR (Uffici Scolastici Regionali) sono chiamati a compiere entro breve termine rappresenta una vera e propria marcia forzata. Infatti entro il 22 ottobre, dopo aver comunicato al SIDI i relativi dati, essi dovranno adottare un decreto di ripartizione dei posti comuni della scuola secondaria per classi di concorso, nonché di ripartizione dei posti di sostegno previsti nella medesima tabella per gradi di istruzione e, relativamente alla scuola secondaria di II grado, per aree disciplinari. La suddetta dotazione aggiuntiva sarà successivamente assegnata dagli USR attraverso gli ex provveditorati agli studi (ora chiamati “Ambiti Territoriali”) alle singole scuole della Regione, attraverso una specifica funzione del SIDI dal 12 al 20 novembre 2015, tenendo conto del numero di alunni (eccettuati quelli dell’infanzia). Inoltre dovranno tener conto di certe situazioni caratterizzate dalla presenza di aree montane o di piccole isole, di aree interne, a bassa densità demografica o a forte processo immigratorio, nonché di aree caratterizzate da elevati tassi di dispersione scolastica anche in linea con quanto previsto dal comma 65 della medesima legge. Un primo dato importante è costituito dalla previsione di assegnazione ad ogni istituzione scolastica di non meno di 3 posti di insegnamento. Un altro dato importante è rappresentato dal fatto che il personale immesso in ruolo per la scuola primaria potrà essere utilizzato per progetti di continuità che riguardano anche la scuola dell’infanzia.
Fin qui abbiamo visto alcune questioni tecniche legate specialmente alla stretta tempistica che il MIUR ha dato agli USR e, di riflesso, alle singole scuole. Andiamo ora a vedere la scheda relativa ai “Campi di potenziamento” che riguardano il primo ciclo costituito dalle scuole primarie e secondarie di I grado (scuole medie inferiori). All’interno di questa scheda e dei singoli campi di potenziamento sono presenti – come si accennava in premessa – delle declaratorie che, nonostante l’apparente laconicità, se opportunamente valorizzate a livello di singole istituzioni scolastiche, potrebbe dischiudere interessanti prospettive per la costituzione di numerosi posti di “potenziamento linguistico” in cui potrebbero trovare posto le lingue minoritarie e, per quanto riguarda la nostra Isola, il sardo e le altre varietà sub-regionali (catalano, sassarese, gallurese, tabarchino) che non sempre sono tutelate dalle leggi di salvaguardia (per esempio, il sassarese, il gallurese e il tabarchino sono esclusi dalle tutele della legge n. 482/1999).
Alla fine di questo breve intervento si riproduce la scheda in questione anche per richiamare l’attenzione dei fautori della valorizzazione delle lingue minoritarie e regionali sulla declaratoria del Campo 2 “Potenziamento linguistico”, lett. “a”, che prevede la “valorizzazione e potenziamento delle competenze linguistiche, con particolare riferimento all’italiano nonché alla lingua inglese e ad altre lingue dell’Unione europea, anche mediante l’utilizzo della metodologia Content language integrated learning” (ossia il cosiddetto CLIL). Anche se la declaratoria riserva un comprensibile focus all’italiano e all’inglese, l’azione è tesa alla “valorizzazione e al potenziamento delle competenze linguistiche” al cui interno l’insegnamento delle lingue minoritarie riveste una grande importanza. Non solo l’insegnamento di queste lingue è utile per sé stesso ma anche per un migliore apprendimento dell’italiano e delle stesse lingue straniere. Attraverso virtuosi approcci didattici gli insegnanti, opportunamente formati, potrebbero contribuire contestualmente sia al successo scolastico degli alunni sardi sia ad abbassare finalmente lo spaventoso tasso di dispersione scolastica che pone la Sardegna al primo posto di questa deleteria classifica (25,5% contro il 17% delle altre regioni).
Un’altra misura che può offrire una prospettiva per l’insegnamento del sardo e delle altre lingue regionali dell’Isola è il Campo n. 6 “Potenziamento laboratoriale”, lettera “m”, che nel secondo periodo recita: “Valorizzazione della scuola intesa come comunità attiva, aperta al territorio e in grado di sviluppare e aumentare l’interazione con le famiglie e con la comunità locale”. Si tratta di un quadro che viene incontro a situazioni ben note come quella riguardante molte comunità locali che negli anni scorsi al momento dell’iscrizione dei propri figli hanno chiesto, talvolta con percentuali superiori al 90%, che la scuola insegni loro la lingua sarda esercitando un diritto riconosciuto dalla citata legge n. 482/1999 che finora si è rivelato un diritto soltanto teorico.
In questa fase, dunque, e ancora di più al momento della formazione del POF triennale, le famiglie e i territori di riferimento della singole istituzioni scolastiche potranno esercitare la loro influenza affinché nei Piani dell’Offerta Formativa l’insegnamento della lingua minoritaria trovi lo spazio che le compete, in modo che i dirigenti scolastici possano (debbano) chiedere agli USR di attivare i necessari posti di insegnamento. Non solo questa azione equivarrebbe a riconoscere concretamente alle famiglie e ai loro figli un diritto costituzionalmente garantito, ma offrirebbe anche una risposta a numerosi laureati sardi che da anni aspettano di avere un posto di insegnamento e, soprattutto, di potere insegnare la lingua naturale della propria regione per la quale hanno studiato e conseguito titoli formativi finora rimasti inutilizzati. Sarebbe di enorme importanza se la Regione Sarda intervenisse a questo proposito ma i primi due anni di questa legislatura hanno ampiamente dimostrato, purtroppo, che la reale promozione e valorizzazione del sardo e delle altre lingue sub-regionali non rientra tra le priorità dell’attuale amministrazione.
Da poco abbiamo assistito e ancora assistiamo alle manifestazioni di protesta di numerosi insegnanti sardi che puntano il dito contro una legge (la cosiddetta “Buona Scuola”, appunto) perché in certi casi li costringe ad emigrare verso le regioni del Nord creando situazioni di oggettivo disagio ad essi e alle loro famiglie. Questi insegnanti, non a caso, hanno invocato la valorizzazione della lingua sarda affinché la scuola pubblica in Sardegna tenga conto di questo importante fattore di diversità rispetto alle altre regioni italiane. Ebbene, proprio la tanto criticata legge di riforma, etichettata come “Buona Scuola”, offre ora la possibilità a quegli stessi insegnanti sardi di agire concretamente per l’introduzione dell’insegnamento del sardo e delle altre lingue sub-regionali all’interno del Piano dell’Offerta Formativa. Insomma, proprio questa legge, pur tra tante contraddizioni e forzature, potrebbe dare qualche risposta là dove la legge regionale n. 26/1997 e la legge n. 482/1999 hanno oggettivamente fallito.
(24 settembre 2015)