“Nostra Sennora de su Regnu” di Ardara, rievocazione poetica di Stefano Tedde
I fiori lilla dei siliquastri ai lati del viale si confondono con i colori sgargianti delle bandiere in processione, addossate forse le une alle altre, mentre procedono quasi zoppicando al suono di trombe e grancassa. È la banda musicale, che –da quando sono nato- vedo ogni anno dare solennità alla festa della Vergine. E i suoni secchi e martellanti delle mannaie dei venditori di torrone sembrano quasi dare il tempo cadenzato ai festeggiamenti. Oh, festa di maggio, quanto ti aspettavano gli ardaresi, quando, tutti contadini, cavalcavano nell’Ottocento puddedros e caddos e scendevano nelle corse e nei palii lungo la strada che passava davanti alla basilica. Già chi sezis esalta subra ogni gerarchia…
Assistidenos Maria de su Regnu Intitulada!
E i bambini, tra i più poveri, andavano in giro per gli antichi sentieri rurali e raggiungevano i grandi caseggiati dei prinzipales per chiedere latte e yogurt “pro Nostra Sennora”. Dai racconti che mi fecero emergono le figure di “carriolanti” e pellegrini che trascorrevano i tre giorni della festa a Coroneddis, appena oltre l’abitato, e giunti da tanti paesi (vicini e lontani), onoravano con la loro fede semplice e profonda la Madonna di Ardara.
Custa idda trionfante siat de sos inimigos…
Suspendide sos castigos chi at meritadu bastante!
Come ti aspettavano gli storpi e gli accattoni, assisi sul sagrato, pronti ad allungare la mano a chiedere un soldo in cambio di qualche santo stampato o di una candela. Come ti aspettavo io da bambino, quando i primi ambulanti montavano le tende dei giocattoli o gli hombres del comitato tendevano tra una casa e l’altra i fili delle bandierine di carta, fazzoletti di ogni colore pronti a dare allegria al primo graffiare del vento. E il profumo delle noccioline americane, del torrone, dei mostaccioli rinsecchiti, della vernice fresca data ad ogni casa prima di quei fatidici tre giorni; pèperu, festa manna e festighedda. Le giostre poi, chi le potrà mai dimenticare? L’emozione di alzarsi in volo, la musica assordante, la frenesia infantile, le luci che baluginavano nello splendore della campagna sarda, verde e in fiore come una sposa pronta per le nozze. Poi si ritornava alla quotidianità, alla scuola, alle poesie ancora da mandare giù a memoria (nessuno osava studiare in quei tre giorni), e nelle strade, cariche di rifiuti, rimanevano solo quelle mitiche figure di “imbreagones”, avvinazzati cronici, infelici come prima che cominciasse la festa, o forse morti per la troppa felicità delle bevute. E ancora per poco il verde avrebbe accompagnato i giorni, pronto al viraggio cromatico che preannuncia l’estate…
Assistidenos Maria de su Regnu intitulada!
Stefano A. Tedde.
(nella foto b/n: La festa di Ardara nel 1951. “Sa bessida de sa missa bida dae