RECENSIONE SU “ZAFFERANO” A CURA DI CLAUDIO CODA
ZAFFERANO”
di Giampiero MURONI
ed. Il Maestrale
Centro Culturale “Ciriaco Carru”
ex Caserma dei Carabinieri (1878)
(Chiaramonti 20 dic. 2024)
<< Ti mando l’ultimo a Dio giacchè una palla assassina mi a colpito mentre rincasavo. Ti chiedo perdo e pregherò il cielo afinchè arriverti miglior fortuna di quella che fu riserbata a me. Per precauzzione hofatto brucciare le tue lettere. >> [*]
[*]- bigliettino, per com’è in originale -rif. ASSS- di Gabriele Angius (pseudonimo del mugnaio Michele Pinducciu da Nuchis) fatto scrivere, sotto dettatura, dal suo locatore prima del decesso.
1)- Il canonico ploaghese Giovanni Spano, senatore del Regno, nella sua traduzione di “Voyage en Sardaigne “ di Alberto Ferrero La Marmora (1826) dopo l’esperienze di viaggio nell’Isola (ai primi dell’800), annotava con schietezza, su la moralità Tzaramòntesa un’analisi distruttiva, fatale:
“…ager sanguinis” = ovvero “terreno-territorio di sangue”.
Ma già prima, nel 1769, Vincenzo Mameli de Olmedilla, nella sua relazione sugli Stati d’Oliva (ducato del Monteacuto e Principato d’Anglona)
scriveva:
<<… l’esercizio dei chiaramontesi, da piccoli, è quello di tirare albersaglio e lo schioppo è il loro primo e principale attrezzo che persino in chiesa non abbandonano; con esso al lato dormono, con esso dentro casa camminano; le risse, i furti, i tumulti, gli omicidi non fanno impressione in quella popolazione; già da molto tempo abituata a simili eccessi, sia di giorno che di notte…>>.
2)-In questo quadro d’infelice rappresentazione, Tzaramònte – Zaramònte, Saramonte – Çaramònte – oppidum Claramòntis (così indicata nel tempo), ebbe un primato non solo in Anglona, ma per l’intero nord dell’Isola:
si consideri che, tra il 1780 al 1991, gli uccisi a “bàlla sòla” furono 178 ;
difatti, già dal 1863, con l’Unità d’Italia, il Comando Legione dei RR.CC.
di Sardegna, sollecitava la Prefettura e la Municipalità per l’edificazione di una Caserma efficiente, organizzata in un’unico edificio (è questo che ci ospita, dopo attento restauro e nuova ridistribuzione degli spazi interni, nell’oggi destinata ad incontri culturali).
E così, però, tanto per confermare l’infelice nomea affibiataci dal Mameli de Olmedilla nel 1769, manco il tempo di inaugurare la nuova Caserma, a fine ottobre del 1896 l’atroce delitto di due carabinieri in servizio sulle tracce di un ricercato, nel territorio de su Sassu: a perire il Brigadiere DEMURO Giuseppe (di Bottida) ed il carabiniere LEONI Ottavio (di Ploaghe).
Si tenga conto che, tra il ventennio del 1890 ed il 1910, 22 sono stati gli omicidi, comprese due donne.- La Nuova Sardegna – ott. 1896 – eccidio RR.Carabinieri
Ed è qui, nella Reale Caserma dei RR. Carabinieri, sul finire del dicembre 1902 si sono sviluppate insistenti indagini, convocazioni degli indiziati, arresti e testimonianze per l’agguato ad un giovane di Luras, che aveva impiantato un innovativo mulino a vapore (matricola n° 5463) nell’abitato, rispetto agli altri tre, ma idraulici, siti nell’agro (a- del dr. Francesco Grixoni, e gestito dall’osilese Seche Francesco; b)- di Polo Maria; c) – di Campus Sebastiano e Giorgio in territorio Pilùchi-Pirùchi).
A coordinare le indagini preliminari, in collaborazione con gli Uffici de la la Pretura di Nulvi e la Procura di Sassari, il Brigadiere Comandante la Stazione Riccini Agostino che, alle ore 19:45 del 29 dic. 1902, unitamente ai suoi sottoposti carabinieri SERRA Antonio, LUNA Pietro, SINIAnnibale, CONCA Cesare e ROI Guglielmo, udirono colpi d’arma da fuoco esplose a meno di 150 m., in linea d’area.
Quasi sotto le loro finestre.
3)- Pinducciu Michele da Nuchis: giovane 33enne mugnaio e novello imprenditore, era qui dal giugno precedente, aveva trovato locazione presso il cantoniere Pinna Antonio Giovanni (fu Francesco da Florinas,48enne), che vi abitava con la moglie Spada Sebastiana, nel fabbricato di proprietà dei coniugi Giovanni Pinna e Giuliana Satta, al tempo dimorati in località Baldèdu; sempre dal Pinna tzaramontèsu, Pinducciu aveva in fittanza dei magazzini posti di fronte all’abitazione, (all’altro lato della via Nazionale) per installarvi il mulino. ( Pinducciu Michele )
Stranamente, nell’incrociare vecchi pabìros negli archivi Comunali e del periodo, si può venire a conoscenza che il cantoniere Pinna venne sostituito, subito dopo i fatti, da tal Demartis Francesco (di Salvatore) conil ruolo di “Cantoniere al servizio delle manutenzioni stradale nazionale”
(Decreto Prefettizio del giugno 1903 e reso esecutivo dal Sindaco Cossu Antonio Vincenzo il 5 agosto con prestazione del giuramento…. ”d’essere fedele al re e ai suoi reali successori, di osservare lealmente lo statuto e le altre leggi dello Stato e di adempiere da uomo di fede e di onore le funzioni che mi sono affidate”).
Questa repentina sostituzione, per chi ha letto gli incartamenti, rimane tentennante soprattutto per il ruolo che -il Pinna cantoniere- aveva avuto nella delittuosa circostanza.
4)- Giuseppe Calvia:
al tempo parroco, qui da 33 anni (dal 1892 al 1926); una figura alquanto controversa, tant’è che, nel corposo faldone Fondo Parocchiale S.Matteo dell’Archivio Diocesano di SS, si può leggere di brìgas, cuntièrras con gli
stessi obrieri degli Oratori S.Croce e Rosario. Con i suoi sottoposti vice-parroci, con parrochiani. Un pastore di anime abbastanza dibattuto. E poco caritatevole.
Si pensi che, nell’occasione dell’efferato delitto del giovane Michele, nonostante fosse avvertito, non si presentò dall’agonizzante, delegando così i suoi vice. Che fosse una figura manzoniana, un don Abbondio ( per così dire), forse per non essere coinvolto nel prosieguo d’indagini, lo si può anche comprendere visto che, proprio in quegli anni, numerosi gli attacchi nei suoi confronti: sia di giorno che di notte, con urla, schiamazzi contro la
sua persona e davanti la canonica. Nel marzo del 1906, ben 68 parrocchiani indirizzarono all’Arcivescovo Turritano (Diego Marongio Delrio), una dura petizione in suo sfavore e controfirmandola.5)- Giorgio Falchi:
filantropo chiaramontese vissuto fra il 1843 ed il 1922, dell’omicidio di Michele, nei suoi diari, così annotava:
<< ….senonché la sua miseranda fine toccata a tal’uomo onesto ebbe purtroppo a rimanere impunita, sia per le deposizioni fatte alla giustizia da uomini notoriamente ritenuti spergiuri; come ancora perché i soliti protettori e favoreggiatori dei malviventi ebbero a prevalersi dell’autorità da essi goduta nel paese e delle possedute ricchezze per sottrarre al meritato castigo gli appartenenti al proprio satellizio, stati mai sempre propensi a favorire gli autori di tali atroci misfatti >>;
La Nuova Sardegna pubblica il necrologio di Michele Pinducciu:
<< Anno del Signore 1902 , 31 dicembre, il libero senza legami Pinducciu Michele, figlio dei coniugi di Nuchis – diocesi di Tempio- del trapassato Giovanni Agostino e vivente Marchesa Careddu – l’altro
giorno nell’ora ottava vespertina con crudeltà fu ferito, in seguitoaddormentato e rafforzato con i Sacramenti ed Estrema unzione; il suo
corpo sepolto in questo cimitero” f.to Sac. Ioseph Calvia Parochus >>
Nella medesima registrazione una annotazione a margine. << il suo corpo, dopo traslato dai parenti nel cimitero di Nuchis >>.
7)-Tra le pagine de La Nuova Sardegna (1° gennaio 1903) un necrologio giornalistico:
<< Il giorno ventinove dello scorso mese, verso le venti, veniva meno ai viventi la cara e giovine esistenza del signor Michele Pinducci, vigliaccamente assassinato da ignoti mentre rientrava nella propria abitazione. Egli era nativo di Nuchis, ed in questo stabilitosi da circa sei mesi in seguito all’impianto di una macchina a vapore. Appena giunto qua, era stato circondato dalle simpatie e dall’affetto di quanti lo conoscevano avendo riscontrato in lui tutte quelle virtù che possono convenire all’uomo onesto.
Ieri ebbero luogo i funerali, che riuscirono imponentissimi. Le rappresenza municipale, le scolaresche tutte del comune e l’intiera popolazione accompagnarono l’estinto all’ultima dimora.
Al cimitero parlò l’avv. Falchi, il quale con parole commoventi ricordò le doti che ornavano l’estinto. Ha pure parlato Giacomo Cubeddu.Questa attestazione di generale compianto valga a lenire, in parte, il dolore dei numerosi parenti ed in special modo quella della vecchia madre. >>
8)- Vendita del mulino:
nel gennaio 1903, i parenti di Michele vendettero l’impianto a Rottigni Giovanni e Madau Nicolò; quest’ultimo, dopo qualche anno, vendette la sua quota a Migaleddu Vincenzo (cognato del Rottigni) e l’impianto
affidato al tal mugnaio Cubeddu-Manunta Salvatore di Matteo.
9)- In questa sala, oggi, sarebbe dovuto essere presente un discendente collaterale di Michele che, per tradizione familiare, porta lo stesso nome e cognome del giovane magnaio assassinato: Michele Pinducciu III°.
Per improvvisi impedimenti familiari non sarà presente, ma ringraziando l’Autore e l’organizzazione, in tutte le sue componenti, per il cordiale invito.
Tzaramònte, anche se dopo 122 anni dai fatti, cerca di dare un corale senso alla dolorosa storia del giovanotto Michele.
A bois sa paràula, sa faeddàda!
(al sig. Sindaco per i saluti, all’Autore, al relatore Dino Manca, prof. di Linguistica e Filologia italiana all’Università di Sassari).
*********Trama del romanzo
(da Il Maestrale edizioni-Nuoro)
[La vita di Tiberio, insegnante in pensione di Chiaramonti, nel nord Sardegna, vedovo da vent’anni, passa tra le visite al padre, ricoverato per demenza in una casa di riposo, le rare telefonate al figlio trasferitosi in città, i pure rari contatti con il fratello, ormai stabilitosi all’estremo sud dell’isola, e la lettura dei documenti di archivio riguardanti il suo paese. Un padre novantenne irato e iroso che il professore va a trovare una volta alla settimana in una inutile ricerca di parole; un figlio che, appena superata l’adolescenza, dal proprio padre nulla vuole e nulla cerca; un fratello maggiore amato dal padre, ma che all’ospizio ci passa ogni tre mesi (se può); queste le relazioni di Tiberio finché nella sua esistenza sempre uguale non rientra in maniera inattesa Elisabetta, amore di gioventù mai spento, ora dirigente RAI che gli propone di scrivere il soggetto di una serie televisiva. Tiberio dovrà ricavarlo da un fatto di sangue avvenuto in paese agli inizi del Novecento, una vicenda oscura di cui ai tempi dell’università avevano letto insieme le carte processuali. Il professore accetta, attratto anche dalla possibilità di frequentare di nuovo Elisabetta. Fruga archivi, trova incongruenze processuali, si ossessiona. La stesura del soggetto è l’occasione per cercare la verità su quel delitto impunito, legato ai meccanismi di una piccola comunità sarda, dove emergono rancori, invidie, amori, e solidarietà dove tutti sembrano colpevoli quanto innocenti. Ma la ricerca invita anche Tiberio a riconsiderare i rapporti con il padre e il figlio, con la moglie morta, con la stessa Elisabetta: come se la storia lontana di quel fatto di sangue gli fornisse strumenti per comprendere meglio la propria ].