Categoria : eventi luttuosi

“L’addio commosso di Carlo Patatu alla sorella amata.” a cui di A.T.

Pubblichiamo volentieri quest addio alla sorella amata!
Addio Ida, sorella cara e mia seconda mamma
di Carlo Patatu
Gli occhi di mia sorella Ida si sono spenti per sempre nella prima mattinata di ieri in un letto d’ospedale, a Sassari. A conclusione di una lunga agonia, dolorosa sia per lei e sia per i familiari che ne hanno seguito l’evoluzione.
Ma quegli occhi, che davano vita a uno sguardo un tempo attento e indagatore, in realtà si erano spenti ormai da qualche anno. Erano sì sempre vivi, ma non lo davano a vedere. Fissavano persone e cose, ma non erano in grado di collocarle, le persone e le cose, al posto giusto nello spazio e nel tempo. Un male oggi molto diffuso l’aveva colpita di sottecchi, alla chetichella, e l’aveva fatta sprofondare nel baratro profondo dell’incoscienza, facendole percorrere una strada senza ritorno.
Inizialmente qualche breve perdita di memoria; qualche dimenticanza sulla quale riderci sopra; ma che, lentamente, si presentava con frequenza sempre maggiore, fino a divenire preoccupante. Infine il tonfo. Il non riconoscere nemmeno le persone di famiglia. E la cosa diventa vieppiù dolorosa e inizialmente persino imbarazzante ove si consideri che Ida, fino a qualche anno addietro, aveva una memoria di ferro. Sapeva riconoscere a memoria tutti i numeri di targa delle automobili di Chiaramonti. Altrettanto dicasi per le utenze telefoniche.
Nell’arco di undici anni (1934-1945), i miei genitori avevano messo al mondo sette figli, due maschi e cinque femmine, più qualche aborto. La primogenita, Lucia, ebbe vita breve, morì che aveva poco più di un mese, stroncata da disturbi intestinali allora molto diffusi. Il nostro padre, che gestiva l’azienda elettrica chiaramontese Budroni & Rottigni e il mulino omonimo, aveva orari di lavoro coincidenti con la levata e il tramonto del sole. A casa c’erano otto bocche da sfamare, occorreva darsi da fare per tenere il passo con una crisi aggravata dalla guerra, che costrinse un po’ tutti a subire più di una privazione. I soldi a casa nostra non mancavano, dato che mio padre poteva contare su uno stipendio fisso; ma i beni di consumo, specie gli alimentari, subivano pesanti razionamenti.
Ricordo che nel 1944, a guerra ancora in corso, Ida e io facemmo la prima comunione. Il mio abito bianco fu ricavato da un sarto militare, rimodellando la divisa di un marinaio. L’abito di Ida scaturì da una vecchia tenda della camera da letto. Una sciccheria.
Pur non essendo la primogenita, Ida esercitò con autorevolezza un ruolo materno nei confronti della nidiata intera. È stata lei la nostra prima lavatrice di casa. Era lei che controllava con severità e puntiglio le scarpe mie e quelle di Tore. Dovevano essere sempre lucide. È stata soprattutto lei a farsi carico dell’assistenza gravosa dei nostri genitori, quando essi furono colpiti dai mali della vecchiaia.
Andò sposa a un giovane di Benetutti, Salvatore Cappai, e mise su casa a Chiaramonti. Ebbe due figli: Giuseppe, oggi maresciallo dei Carabinieri, e Gian Franco, professore di ruolo di lingua straniera alla Scuola Media di Buddusò. Era molto orgogliosa dei figli, ma non ha potuto godere la gioia del passaggio in ruolo di Gian Franco come professore di lingua straniera. Il male che l’aveva colpita da tempo e poi portata al capolinea, aveva ormai progredito tanto da impedirle di comprendere appieno di che si trattava.
Io, che le devo molto e le ho voluto un gran bene, in questi ultimi tempi non ho avuto la possibilità di visitarla con la frequenza che meritava, né di accompagnarla all’ultima dimora, date le mie condizioni di salute molto precarie. Affido pertanto a questo messaggio la mia partecipazione affettuosa al dolore, che è anche mio, di Giuseppe con Antonella e di Gianfranco con Nathalie. Ai quali voglio ugualmente bene.
Le foto ritraggono Ida e il marito Salvatore Cappai. A seguire, Ida e io nel giorno della prima comunione.

 

 

 

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