” Salvatore Soddu, Bono 7 febbraio 1937- Busto Arsizio 3 giugno 2024: un uomo e un cristiano esemplare” di Angelino Tedde
Zio Giommaria Soddu venne assunto a 27 anni dalla Provincia di Sassari come cantoniere dell’ANAS e quindi destinato negli anni a lavorare su tratti di strada di svariati paesi della Provincia di Sassari. I due sposini nel corso del loro menage furono costretti a resiedere nelle cantoniere dove mano mano vennero alla luce sette figli: due femmine, Teresa (Pattada 20.9.1940 – Alghero l’8.11.2013) Mariangela (Pattada 6.2.1939- vivente) e cinque maschi Peppino (Bono 5.5.1930- Busto Arsizio 30. 1. 2018), Mario (Bono 17.8.. 1932 -Sassari 27-7. 2022), Salvatore (Bono 7.2. 1937- Busto Arsizio 3.7. 2024), Franco (Pattada 9.4. 1943- Badesi 9.9.2018) per ultimo Tonino (Pattada 6.2.1949- vivente).
Da buoni cristiani furono generosi con la vita non badando ai sacrifici del mestiere che da Bono li condusse a Pattada, da questi due paesi del Gocenao a Laerru e infine a Chiaramonti dove si costruirono una bella casetta nel nuovo quartiere di San Giovanni nella via chiamata prima Via Giorgio Falchi e ora via della Resistenza. Il mestiere era duro e poco remunerato tanto che parecchi cantonieri emigrarono con promesse tanto allettanti quanto false in Belgio. Ma zio Giommaria era anche bravo nella cura di un orticello e di un frutteto pur di nutrire i suoi numerosi figli.
Altrettanto brava era zia Pietrina nel risparmio domestico così che mai dovesse mancare la tavola imbandita pane caldo per i suoi piccoli.
I grandi avevano disposto che dovesse sposare zio Giommaria il cui amore e attaccamento andò crescendo nel tempo. Lo raccontava con semplicità zia Pietrina. Si erano sposati senza molto frequentarsi, ma fiduciosi nella parola dei grandi. I genitori di zia Pietrina, e zio credettero cosa ben fatta. Nacquero entrambi in epoca giolittiana, e vissero in quel clima politico la loro infanzia e adolescenza, la loro giovinezza e il restante periodo della loro maturità e genitorialità nel periodo fascista, sebbene ad un cantoniere come zio Giommaria importasse più la famiglia e il lavoro che non le chiassose manifestazioni fasciste. Il periodo fascista coincise con la nascita di sei figli, 1930-1943, mentre l’ultimo dei figli nacque a 3 anni dalla proclamazione della Repubblica e ad un anno dalla Costituzione democratica.
La vita di zio trascorse per lo più nel silenzio del lavoro e nel calore della famiglia. La loro religiosità, seguendo l’esempio dei loro grandi, era orientata verso una grande devozione mariana e prima della cena non mancavano tutti di recitare il Rosario. Sette figli, venuti alla luce fra il 1930 e il 1949, nei primi vent’anni di matrimonio, tra Bono e Pattada, richiedevano impegno a tutti i livelli: educativo e formativo.
Tra questi figli, fece eccezione Salvatore che, fin da piccolo, lo vollero quasi adottare i nonni materni e soprattutto le zie rimaste nubili quasi a far provare loro il senso della maternità. Francesco Tolis e Mariangela Pinna con le due figlie rimaste nubili Giorgia e Vincenzina.
Per Salvatore questa permanenza dai nonni fu fondamentale: amatissimo dai nonni e coccolato dalle zie non ebbe certo da contendere le carezze coi fratelli, sebbene mi confessò un giorno che gli mancarono almeno fino a quando non si spostarono a Laerru e poi a Chiaramonti allorché la famiglia lasciò per sempre le cantoniere di Bono e di Pattada.
Il ragazzo crebbe frequentando i compagni de sa carrela de s’avvocadu, specie la numerosa famiglia dei Patatu, e la chiesa svolgendo con i compagni d’infanzia il ruolo di chierichetto con molta passione e studiando il catechismo con diligenza mentre frequentava l’asilo delle Povere Suore Scolastiche di Gorizia, di formazione tedesca, e poi dai sei anni in poi le scuole elementari, dimostrando particolare diligenza e attenzione. Caduto il fascismo, terminate le scuole elementari non restò con le mani in mano, ma fu mandato dalle zie a frequentare l’apprendistato presso il bravo sarto Mario Soddu non suo parente, ma persona seria e professionale tanto che Salvatore imparò l’arte e iniziò presso il laboratorio messagli a disposizione dalla nonna e dalle zie, con gli arnesi del mestiere in particolare la macchina da cucire, il tavolo di lavoro con tutti gli accessori per fare calzoni e abiti in autonomia. Il ragazzo manifestava la sua serenità cantando le canzoni allora in voga di Claudio Villa, di Luciano Tajoli e di Oscar Carboni, tutte quelle che la radio democratica ammanniva a chi lavorava nelle case e nei laboratori di varie arti e mestieri. Bisogna dire che aveva anche una bella voce intonata. Da aggiungere che si era fatto un bel giovane e che era oggetto di ammirazione di tante coetanee anche se Faricu, molto serio, si rendeva conto che con quel mestiere non si poteva campare una famiglia sia perché c’erano altri sarti provetti sia perché cominciavano a diffondersi abiti e vestiti arrivati dagli Stati Uniti d’America già belli e fatti. L’appartenenza dell’Italia alla sfera di dominio americano per tanti versi mandò in crisi l’economia della Sardegna: vestiti, carne, farina a buon mercato mandò in crisi tanto gli allevamenti di ovini e bovini quanto la cultura del buon grano sardo. Ebbe inizio allora, con il boom economico e demografico, l’emigrazione verso il nord e verso le altre nazioni europee che tendevano a unirsi prima come CECA per la produzione del carbone e dell’acciao, mentre maturava quella che poi diventerà l’Unione Europea.
Meridionali, ma anche siciliani e sardi cominciarono il flusso migratorio verso il Nord dove le industrie nate successivamente alla guerra avevano bisogno di manodopera. Nel frattempo si aprivano anche le porte dell’Australia e del Canada per chi voleva tentare la fortuna trovando lavoro permanente. Da Chiaramonti ebbe inizio un flusso migratorio che portò i contadini, gli artigiani a raggiungere non solo l’Estero come il Belgio, la Francia, l’Inghilterra, il Norditalia, ma anche i nascenti poli industriali di Sarroch, di Portotorres e di Olbia con l’inizio dei lavori infrastrutturali della Costa Smeralda. Questo flusso migratorio attirò intere famiglie, ma anche i giovani uomini e le giovani donne. Si pensi alle sorella Tedde-Gallu e alle sorelle “inglesi” e norditaliane Scanu. Anche i fratelli Soddu, tolte le due sorelle che appresero l’arte delle buone madri di famiglia sull’esempio della loro madre, i maschi cercarono di apprendere mestieri o di opportunità parentale come Mario che apprese l’arte della calzoleria dallo zio materno, già calzolaio, Peppino, il maggiore che a Pattada poté apprendere l’arte di fare i coltelli e poi in paese sia dal meccanico Battista Falchi che dal fabbro Tigellio Mannu, si cimentò lavorando il ferro.
Da queste basi il volo a Cagliari dove lavorò in un’industria meccanica, seguito poi dal fratello Mario che oltre a continuare a fare scarpe mise su una piccola calzoleria chiamando il fratello Franco a dagli una mano, prima di spiccare il volo verso la Svizzera che rimunerava lautamente i lavoratori delle strade e delle dighe in alta montagna, Mario lasciò il fratello ancora giovane Franco a Cagliari che ebbe la compagnia sia pure con mestieri diversi col fratello. Salvatore ricordava di quel periodo l’amore per una bellissima ragazza che dovette lasciare a malincuore partendo da Cagliari.
Mario, tornato dalla Svizzera dopo un anno, con un bel pacco di soldi, chiuse bottega a Cagliari e partì per Torino dove con i buoni uffici di uno zio riuscì ad entrare alla Fiat dove rimase per tutto il periodo di lavoro fino al pensionamento. Col lavoro decise di sposarsi e a Chiaramonti incontrò una bella ragazza originaria di Fonni Mariangela Muntoni e decisero di sposarsi durante un congedo dal lavoro.
I due fratelli Franco e Salvatore conosciute le due sorelle Scanu, Edivige e Lavinia, si sposarono nello stesso giorno a Chiaramonti: Il matrimonio venne celebrato da don Giovanni Maria Dettori parroco del paese.
Lo stesso passo aveva fatto Peppino con una ragazza di Laerru.
Anche Salvatore e Franco chiamati a Busto Arsizio dal fratello maggiore Peppino entrarono entrambi alla Montedison. Ebbero la ventura d’incontrare prima Franco una delle sette sorelle Scanu di Chiaramonti e tramite questa coppia Salvatore conobbe a Torino Lavinia con la quale decise di sposarsi. La ragazza di Franco si chiamava Edvige e quella di Di Salvatore Lavinia.
Era al seguito dal fratello maggiore Peppino che di
una volta sposato gli nacquero due figli, un maschio e una femmina che da adulti gli diedero due nipoti.
Il tempo come per tutti volava e oltre la maturità conobbe l’anzianità. Nel frattempo aveva conosciuto i gruppi di Chiara Lubich, detti Focolarini e pensò di farvi parte. Da quel momento un pasto a tavola veniva riservato ad una famiglia bisognosa da soccorrere, oltre le preghiere e le buone azioni che facevano parte di quella spiritualità. In parrocchia si fece carico del gruppo anziani e il parroco dopo un periodo di studio lo incaricò di portare la Santa Comunione domenicale agli anziani ammalati. Lavinia, la moglie, cercò di seguirne l’esempio.
Sia durante il periodo lavorativo sia dopo il pensionamento Salvatore e Lavinia con altri fratelli vennero in pese a trascorrere le ferie e a passare del tempo coi genitori e con i vecchi amici.
Visto il progresso della comunicazione coi cellulari e i social ci si scambiava spesso dei messaggi. Gli anni passano per tutti e non mancano col tempo i malanni. Faricu fu costretto ad ‘un’operazione a cuore aperto che per fortuna fu davvero salutare. In seguito doveva farsi 6 piani a piedi per tenere vigile il cuore anche se fu costretto a diminuire la sua attività benefica tra i focolari.
D’altra parte non mancavano le gite sociali con la parrocchia come una sovente in continente. Anzi ne fece una a Roma e fu intervistato da un giornalista al telegiornale facendoci restare tutti meravigliati per le sue buone capacità discorsive. Dopo la sua operazione non passarono molti anni dal giorno in cui anche Lavinia, la sua diletta consorte, si ammaltò e dopo un periodo di sofferenze in ospedale se ne andò per sempre. Fu un grosso colpo per lui e per i familiari.Nei momenti. più tragici ci scrisse: la situazione di Lavinia è seria. Diagnosi…una sentenza senza cura. Non più in grado di digestione. Assorbe con difficoltà il cibo.E’ lucida e consapevole della sua situazione , offre tutta la sua sofferenzaE’ convinta che Maria non la lascerà un momento al buio E’ serena e pronta a ritornare alla casa del Padre.
Poco tempo dopo c’informò della dipartita. Allora le scrissi questi versi: dormi cugino/Lavinia ti è vicino/col suo afflato santo/trattieni pure il pianto/ Cristo è morto in Croce/ti farà sentire le sua voce/noi siamo accanto a te/ un forte forte abbraccio da Tilla e da me, C’informò delle feste passate coi figli e i nipoti. Quando era da solo sentiva misteriosamente la presenza della consorte. Ci mandò delle foto del 10 agosto 22 quando festeggiarono nel parco da soli le nozze d’oro. Mi fece gli auguri degli 87 anni compiuti il 10 gennaio 2023, gli feci gli auguri per il suoi 87 del 7 febbraio dello stesso anno dato che eravamo coetanei. Lo informai della morte di Marianna Bussu, di zia Rosa Migaleddu e di Davide Budroni, nostro giovane e caro amico. Gli mandai anche la foto della piazzetta ormai deserta. Giunse a Chiaramonti nell’estate del 2023 e venne a trovarci. Fu un bell’incontro quello del 1 luglio 2023 perché ricordammo come lui aveva fatto da cerimoniere al nostro matrimonio il giorno 11 settembre 1963. Sembrava in ottimo stato e raggiunse il figlio e i nipoti a Vignola. Ne fu felice. Certo non sapevamo che sarebbe stato l’ultimo incontro.
Dopo le vacanze felici. Ci scrisse che era stato piacevole stare con noi.Andò al mare, ma anche a Santa Giusta al suo ritorno. Il 16 luglio, festa del Carmelo mandò un messaggio facendo i complimenti per la marmellata di Domitilla. Ripartito nella Penisola fece una breve vacanza coi suoi in Alto Adige. Era sereno e felice. Il 7 febbraio 2024 gli feci gli auguri per un buon inizio degli 88 anni. A marzo subì un intervento al rene. Ora inizio la ripresa su quello che Dio vorrà. E Dio volle portarselo lassù a raggiungere la sua Lavinia l’8 giugno 24. Scrissi tra i suoi messaggi: Addio Fraicu! Ci vedremo lassù.
Fu cremato e sepolto accanto alle ceneri della sua Lavinia, in attesa della Risurrezione. Il Buon Dio dopo la morte della moglie, gli ha concesso di trascorrere un anno di serenità tra il mare e i monti incontrando non solo gli amici, ma anche visitando i nostri piccoli santuari: quello di Santa Maria Maddalena e di Santa Giusta. Avrei tante cose da dire, ma anche il mio cuore invecchia e la commozione lo attanaglia. Sono certo però che c’incontreremo tutti lassù accanto al Signore nel quale abbiamo sempre creduto.
Ai familiari viventi i segni delle nostre più profonde condoglianze.