“Donna Lucia Tedde: cenni sul testamento” a cura di Angelino Tedde, Andreina Cascioni, Giovanni Soro
Diversamente dal testamento di Donna Gerolama Tedde Delitala in Delitala quello della sorella, probabilmente di 11/12 più piccola di lei, è più ampio e arioso ed è redatto in lingua spagnola nonostante la presenza trentacinquennale dei Savoia in Sardegna.
In un primo momento i sabaudi volevano imporre la lingua italiana che essi stessi non parlavano preferendo usare il francese, data la loro origine savoiarda. Per questo motivo mandarono il gesuita Giovanni Maria Battista Vassallo ad insegnare Rettorica italiana presso l’Università degli studi di Cagliari. Si resero conto che un’operazione del genere non era fattibile visto che in tutti gli uffici pubblici e notarili e presso gli ordini religiosi e le stesse congregazioni religiose parlavano il castigliano o il catalano e la maggior parte delle popolazioni dei centri rurali si esprimeva in lingua sarda con le sue varianti del Nord, del Centro e del Sud dell’Isola, a sé stanti il Gallurese dell’omonima regione storica, il Catalano di Alghero e il Tabarchino di Carloforte.
Si limitarono, dunque, a riordinare le zecche feudali, le amministrazioni nel primo periodo e solo gradualmente introdussero la lingua italiana.
Con ciò si spiega il testamento in lingua spagnola della nobildonna.
Intanto bisogna sottolineare che Donna Lucia a dettarlo al notaio pubblico Giovanni Vacca Guiso ci stette quattro giorni dal 16 al 20 febbraio 1755 trovandosi a letto un po’ influenzata.
Premesse le consuete formule del Credo cattolico, il testamento si snoda in ben 71 item,brevi capitoli delle sue disposizioni, consistenti in lasciti per suffragi della sua anima, in lasciti alle chiese, in lasciti ai suoi servi e serve, al cognato e al nipote, prediletti, che le erano stati sempre vicini sia a Chiaramonti sia a Cagliari, nonché ad altri laici e preti ,che sempre a Cagliari, l’avevano servita e riverita.
Una predilezione particolare dimostra verso i Carmelitani dal cui carisma la nobildonna appare influenzata. Risulta infatti terziaria carmelitana e ordina nel testamento che la sua salma venga rivestita dell’abito marrone con lo scapolare e la cappa bianca e un velo di pizzo nero in testa. Donna Lucia faceva parte anche della Confraternita della Vergine del Rosario per le cui feste lascia dei fondi: la festa di “maggio delle rose” e di ottobre.
Non dimentica l’Arciconfraternita della Santa Croce della quale in Chiaramonti esisteva l’Oratorio e che curava l’accompagnamento dei defunti nelle varie chiese della sepoltura, lei compresa.
Il maggior lascito, tuttavia , con terreni e case e bestiame con rendite considerevoli è quello fatta al collegio gesuitico di Ozieri.
Dopo le peripezie della soppressione dell’ordine,1773, la Comune di Chiaramonti ottiene dal residente in Cagliari re Carlo Emanuele IV la Carta Reale nel 1799 in cui il Re decreta che parte delle rendite date ai Gesuiti da Donna Lucia Tedde venga destinata alla costruzione della chiesa parrocchiale di San Matteo a valle, essendo quella del Monte in cattivo stato e irraggiungibile nel tempo avverso.
Disattesa questa Carta Reale, i vescovi di Alghero, di Ampurias e di Sassari beneficiarono delle pingui rendite finché, questa volta il Comune di Chiaramonti, istituito da Carlo Alberto nel 1848 al poso delle Comuni, ricorrendo in tribunale ottenne dal Demanio una somma adeguata per costruire la promessa chiesa.
Fu questa l’ultima “donazione” postuma riconosciuta alla nobildonna, ricordata da una lapide sul frontone della porta d’ingresso che unisce il presbiterio alla sacrestia nell’attuale chiesa parrocchiale di cui è titolare San Matteo Apostolo ed Evangelista.
Donna Lucia Tedde, tuttavia, possedeva immobili, mobili e molto bestiame in ovini, suini, bovini ed equini che ovviamente lascia in parte ai suoi fratelli e sorelle, alle sue nipoti, ai suoi numerosi servi e serve.
La costante di questo testamento è però il pensiero dominante di suffragare la sua anima in migliaia di Messe al costo di un reale la Messa piana e di due reali la Messa cantata, le feste della Vergine del Rosario, di San Michele Arcangelo e di San Sisto, chiesa rurale della sua tanca di Monte Sisto.
Particolare devozione lei manifesta per la Vergine del Carmelo della quale possedeva in apposita piccola cassaforte il vestiario del simulacro collocato nella chiesa dei Padri Carmelitani, adiacente al convento.
Il suo arredo: letti con baldacchino, tavoli, sedie, pedane e corredo con vestiti di broccato, calze di broccato in oro e argento e biancheria raffinata e usuale.
Passando ai servizi da cucina e da tavola dispone di piatti e argenteria: saliera, pepiera, cucchiai d’argento, candelabri.
Gioielleria: collane, girocollo d’oro d’argento e di corallo compresi anelli e cammei.
Circa gl’immobili viene in primo luogo il palazzo tardo seicentesco, di circa 12 stanze conferito ai gesuiti; una palazzina a due piani nella Piazza del borgo e altre case basse sempre nel borgo.
Case e magazzini a Nulvi. Interessante rilevare che su “palatu” di Chiaramonti era dotato di abbeveratoi per gli animali, di stalle per i cavalli, di locali per la legna, di cantine per un gran numero di botti, con cerchi di ferro, di vino. Inoltre era circondato da spazi verdi sia l’ingresso sia in posizione più bassa.
Bisogna osservare che benché non si sia trovato un inventario dei beni, questi vengono nominati nel testamento.
Le tanche più numerose di quelle della sorella Gerolama, figurano col nome; da non dimenticare anche quelle possedute a Nulvi e nei pressi dei centri dell’Anglona.
Tra i tanti affari fatti dalla nobildonna ricordiamo le due palazzine comprate a Sassari non appena rientrata dagli arresti domiciliari da Cagliari.
Concludendo, in attesa della pubblicazione del libro con gli atti, che a Dio piacendo speriamo di stampare nel prossimo anno, abbiamo pensato di fornire, unicamente per i visitatori dei blog, questi brevi ragguagli sul suo lungo testamento.