“Giambattista Murgia vittima del dovere” di Donato D’Urso
Giambattista Murgia era nato nel 1806 a Teti, facente parte della signoria di Austis [1]. La carriera che intraprese nell’amministrazione dell’Interno si svolse inizialmente nell’isola [2], ma i contemporanei lo conobbero soprattutto come verseggiatore. La passione per la poesia lo portò a pubblicare negli anni diverse composizioni non solo d’occasione [3]. Lo elogiò il conterraneo e amico Giovanni Siotto-Pintor:
Più impetuoso, più vario e più robusto che quello della maggior parte dei nostri poeti è l’estro di Giovanni Battista Murgia. I suoi versi abbondano di sublimi concetti fortemente espressi, né io penso che giovane veruno in sul primo correre l’aringo abbia dato passi più fermi e più rigorosi di lui. Che se tali sono i suoi incominciamenti, che giova sperare quando egli, seguitando l’ispirazione della sua mente, s’accenda vieppiù del desiderio di fregiarsi di un serto poetico? [4].
Più recentemente è stato scritto che nei suoi versi vibrava «più evidente ancora, l’incitamento alla lotta contro lo straniero» [5] e «contribuì anch’egli ad introdurre un modo di poetare che parve nuovo per il calore della libertà letteraria» [6]. Prima del 1848 Murgia collaborò al giornale «La Meteora», insieme con Salvatore Angelo De Castro, Alberto De Gioannis, Gavino Nino. Ha scritto Francesco Atzeni:
I due periodici «Promotore» (Sassari, 1840) e «La Meteora» (pubblicata a Cagliari dal 1843 al 1845), superano freni, limitazioni e condizionamenti della censura [7], rivelano il modificarsi, sia pur graduale, del clima culturale, e dunque anche politico, dell’isola e documentano quale sia stata l’importanza del contributo degli intellettuali sardi al risveglio culturale di questi anni, alla ripresa politica e alla formazione dello stato unitario [8].
Murgia lavorò per alcuni anni a Nuoro e risale a quell’epoca lo scritto Considerazioni dell’Avvocato Battista Murgia consigliere d’Intendenza, sugli ostacoli pel consolidamento delle proprietà nell’isola di Sardegna [9]. Avversò gli oppositori del governo, tra cui Giorgio Asproni, che scrisse di lui: «Quando reggeva nel ’57 la Intendenza di Nuoro, intrigò a tutto uomo e imbrogliò per avversare la mia elezione, e vi riuscì» [10].
La ristrettissima base elettorale consentiva agli organi del potere esecutivo di esercitare pressioni sugli elettori, specie i pubblici impiegati e i sindaci, che erano di nomina regia. Il governo premiava, puniva, minacciava, prometteva. Per finanziare la stampa amica ricorreva alla concessione del servizio degli annunzi legali a pagamento, fonte importante di sostentamento per i giornali locali. I funzionari recalcitranti alle direttive governative rischiavano il trasferimento o peggio. Erano le regole poco commendevoli della lotta politica di quel tempo.
All’inizio del 1858 Murgia passò a Cagliari ma la seconda guerra d’indipendenza e gli avvenimenti successivi lo proiettarono sulla terraferma. A seguito dell’annessione della Lombardia, nel dicembre 1859 fu trasferito a Sondrio col grado di consigliere. Alla fine del 1861 era sottoprefetto ad Imola. Le attribuzioni del sottoprefetto consistevano essenzialmente in compiti di istruttoria ed esecuzione, ma non mancavano competenze proprie, quali la presidenza delle operazioni di leva, la vigilanza sull’andamento dei comuni e dei corpi morali, la responsabilità delle carceri, la tutela dell’igiene e della sanità pubblica e altre minori in materia di occupazioni d’urgenza e aste pubbliche. Nelle sottoprefetture erano incardinati gli uffici circondariali di pubblica sicurezza. I sostenitori dell’aureo principio “Si governa da lontano, ma si amministra da vicino” sottolineavano l’utilità di decentrare o, come si usava dire allora, “discentrare” l’attività amministrativa, avvicinando il potere di governo alla periferia. Secondo i detrattori, invece, le sottoprefetture gravavano troppo sulle finanze dello Stato e finivano per ritardare il disbrigo degli affari, costringendo le pratiche a una fermata in più.
La preoccupazione per la debolezza dell’unità appena conseguita, insidiata da nemici esterni ed interni, indusse i governanti ad estendere sic et simpliciter il modello sabaudo al resto d’Italia. Come affermò Luigi Carlo Farini che, negli anni 1859-1860, riunì nella propria persona il potere esecutivo in Emilia Romagna, «da Piacenza a Cattolica, tutte le leggi, i regolamenti, i nomi, ed anche gli spropositi, saranno piemontesi» [11].
Tra le regioni del centro-nord, l’Emilia Romagna era quella con i maggiori problemi di sicurezza. Prima dell’unità non erano mancati delitti ammantati di patriottismo:
Fino a che vi fu un governo pontificio da combattere e l’unità italiana da raggiungere, tutto l’operato più o meno encomiabile ed anche quello biasimevolissimo delle uccisioni, delle vendette e violenze diverse, passò coperto dal gran tricolore, quasi nobilitato dall’altissimo fine di dare una patria agli italiani. Ma quando, compiuta l’unità nazionale, tale fine scomparve, non si adattarono a scomparire le sette: anzi, trascinate dal loro male vezzo, divenuto naturale col tempo, di osteggiare qualsiasi autorità costituita, continuarono a infuriare contro il governo italiano, in mancanza di quello pontificio [12].
A Bologna la sfrontatezza dei malfattori arrivò al punto che essi, utilizzando manifesti murali, minacciarono di morte magistrati e poliziotti [13]. Fatti criminosi ascrivibili a sette furono registrati a Parma e Ferrara. Situazione particolarmente critica quella di Ravenna, dove una banda di accoltellatori si rese responsabile, con un movente chiaramente eversivo, di decine di aggressioni, compreso l’omicidio del procuratore del re.
Ad Imola, tra il 1860 e il 1864, una banda denominata “Società dei malfattori” o altrimenti della “Buona Unione” terrorizzò la città con crimini a ripetizione. Nel circondario si passò statisticamente da un solo omicidio nel 1859, a sei nel 1863, a nove nel 1864. Era una mescolanza indefinita di criminalità comune e velleitarismo rivoluzionario [14]. La forte presenza di repubblicani, garibaldini, internazionalisti, insomma “teste calde”, rendeva il lavoro della polizia assai arduo e poiché, come si è detto, i servizi di sicurezza nei circondari facevano capo ai sottoprefetti, Giambattista Murgia era per questo esposto in prima fila e pagò di persona.
La sera del 25 marzo 1864, a Imola, mentre passeggiava insieme col magistrato Veggiani (qualcuno ipotizzò che fosse quest’ultimo il vero obiettivo dell’attentato), uno sconosciuto gli esplose un colpo di pistola colpendolo alle spalle [15]. Murgia, dopo un’agonia durata due giorni, spirò il 27 marzo, all’età di 58 anni, lasciando la moglie Francesca Musio e il figlio Carlo. La donna era incinta e in seguito partorì Marianna. La famigliola fu accolta da un parente, il senatore Giuseppe Musio.
Il Municipio di Imola offrì sepoltura nel cimitero di Piratello. Questa l’iscrizione funeraria:
Alle ceneri di Giambattista Murgia avv./da Teti in Sardegna/sottoprefetto integerrimo del n. circondario/spento proditoriamente di XLIV a./per odio d’ufficio e di parte/i cittadini q.m.p./deplorandone l’indegna fine/seguita li XXVII marzo MDCCCLXIV/Anima generosa/abbi da Dio quella pace/che spirando legasti per l’assassino/alla consorte Francesca Musio/al fratello Francesco Angelo/ai figliuoletti Carlo e Marianna.
Il ministero dell’Interno concesse un sussidio alla vedova. L’onorevole Asproni raccomandò al governo di tramutarlo in assegno fisso e nel diario scrisse, ricordando gli antichi dissidi con Murgia: «Io mi sono vendicato facendo il bene che ho potuto e posso alla sua infelice vedova e alla orfana sua figliola. È una soddisfazione divina il ricambiar bene per male agli uomini» [16].
Subito a Imola scattarono le perquisizioni e gli arresti negli ambienti “sovversivi”. Al processo la vedova testimoniò che il marito negli ultimi mesi appariva particolarmente preoccupato. L’accusa indicò quale mandante o ispiratore del delitto Claudio Benati, che aveva un passato avventuroso, segnato da carcerazioni e fughe. Fu uno dei quattro imputati condannati a morte (seguì la commutazione della pena), altri due lo furono in contumacia, molte le condanne ai lavori forzati [17].
Al senato Giovanni Siotto-Pintor ricordò l’uccisione di Murgia «ottimo concittadino e intimo amico mio, che dico amico mio? l’amico di tutti i buoni […]. Un uomo bestia, meglio direi una fiera sotto umane sembianze, puntando la pistola sulla schiena dell’infelice, recise per sempre il filo di una vita incontaminata» [18]. Siotto-Pintor interpellò il ministro dell’Interno Ubaldino Peruzzi che rispose con parole di circostanza, trincerandosi per il resto dietro il segreto istruttorio, confermò comunque che, al momento del fermo, alcuni degli arrestati avevano gridato: “Viva Mazzini! Viva la repubblica!”.
Note
[1] G. Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il re di Sardegna, XIV, Torino, Maspero e Marzorati, 1846, p. 46.
[2] Sull’organizzazione amministrativa: M.L. Plaisant, Politica e amministrazione sabauda fra Settecento e Ottocento, vol. I, Le prefetture in Sardegna (1776-1814), Cagliari, Grafiche Elmas, 1983; G. Doneddu, Le prefetture nel Regno di Sardegna, in «Archivio sardo del movimento operaio, contadino e autonomistico», n. 11-13, 1980, pp. 133-154.
[3] I repertori bibliografici riportano: G. Siotto-Pintor, G. B. Murgia, Le riforme in Sardegna: versi e inscrizioni per la festa nazionale, Cagliari, Tip. Timon, 1847. Il giornale «L’Indicatore Sardo» del 27 novembre 1847 riprodusse l’Inno del popolo sardo a S. M. il Re Carlo Alberto: “Leva il capo scorata Sardegna” di Battista Murgia.
[4] Storia letteraria di Sardegna del cavaliere D. Giovanni Siotto-Pintor, IV, libro VIII, Cagliari, Tip. Timon, 1844, p. 254.
[5] Sardegna e risorgimento: scritti di Pietro Leo et al., Cagliari, Il convegno, 1962, p. 44.
[6] L. Ortu, Tra Restaurazione e Rinascimento: i giornali sardi nel periodo della “Rinascenza”, in Ombre e luci della Restaurazione: trasformazioni e continuità istituzionali nei territori del regno di Sardegna. Atti del convegno, Torino 21-24 ottobre 1991, Roma, Ministero beni culturali e ambientali, 1997, pp. 363-402, in particolare p. 389.
[7] N. Gabriele, Modelli comunicativi e ragion di Stato. La cultura sabauda tra censura e libertà di stampa (1720-1852), Firenze, Polistampa, 2009.
[8] F. Atzeni, Studi sulla Sardegna nel Risorgimento, in Un archivio digitale del Risorgimento. Politica, cultura e questioni sociali nella Sardegna dell’800, a cura di F. Atzeni, Dolianova, Grafica del Parteolla, 2015, pp. 58-59. Da segnalare: S. Deledda, La «Meteora»: giornale sardo di scienze, lettere ed arti (1843-45), Cagliari, Tip. Ledda, 1928; Idem, Il Promotore: periodico liberale sassarese (1840), Cagliari, Tip. Ledda, 1928; M. Cossu, G. Orrù, S. Palmas, Un giornale della Restaurazione: L’Indicatore Sardo, Cagliari, Tema, 1997; G. Orrù, Cultura e società in Sardegna nei periodici della prima metà dell’Ottocento, Cagliari, CUEC, 2010; N. Gabriele, Ponti di carta. Giornalismo e potere in Sardegna nell’Ottocento, Roma, Carocci, 2012.
[9] «Rivista amministrativa del regno», 1856, p. 545.
[10] G. Asproni, Diario politico, IV 1864-1867, a cura di T. Orrù, Milano, Giuffrè, 1980, p. 485.
[11] B. Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Bari, Laterza, 1929, p. 46.
[12] A. Nasalli Rocca, Memorie di un prefetto, a cura di C. Trionfi, Roma, Mediterranea, 1946, p. 52.
[13] D. D’Urso, La sicurezza a Bologna nei primi anni unitari, in Poliziotti d’Italia tra cronaca e storia prima e dopo l’Unità, a cura di R. Camposano, Roma, Ufficio storico della Polizia di Stato, 2013, pp. 79-93. Qualcosa di analogo avvenne nella Sicilia del secondo dopoguerra, quando il bandito Salvatore Giuliano, dopo che era stata posta una taglia sulla sua testa, promise una ricompensa a chi gli avesse portato in catene il ministro dell’Interno Romita!
[14] M. T. Mazzolani, La Squadrazza: suoi inizi e repressione, in «Atti dell’Associazione per Imola storico-artistica», 1957, pp. 21-27; O. Sangiorgi, Lo spettro dell’associazionismo imolese negli anni post-unitari: lineamenti di un caso di studio, in «Bollettino del Museo del Risorgimento di Bologna», n. 32-33, 1987-1988, pp. 83-106; F. Merlini, Giuseppe Scarabelli: storia di un uomo e di uno scienziato, Imola, Associazione Giuseppe Scarabelli, 1999 (Scarabelli fu sindaco di Imola e senatore).
[15] In morte del cav. Giambattista Murgia sotto-prefetto d’Imola, Forlì, Tip. Borlandini, 1864; E. Bottrigari, Cronaca di Bologna, a cura di A. Berselli, III (1860-1867), Bologna, Zanichelli, 1961, pp. 337-338.
[16] G. Asproni, Diario politico cit., p. 485.
[17] F. Merlini, L’associazione dei malfattori imolesi e l’assassinio del sottoprefetto Giambattista Murgia, in «Pagine di vita e storia imolesi», n. 10, 2005, pp. 131-152.
[18] Atti parlamentari. Senato del Regno, tornata del 13 aprile 1864, pp. 1412-1414.