Ucraina. De Giorgi: «Dal Papa il mai più alla guerra di Paolo VI e Giovanni Paolo II» Luca Geronico sabato 26 marzo 202

Il collega Fulvio De Giorgi , 65 anni, è professore ordinario di Storia della Pedagogia presso l’Università degli Studi di Modena e di Reggio Emilia. Autore di numerose pubblicazioni di saggi e di contributi.
Da tempo stiamo leggendo La storia della spiritualità italiana da Rosmini a Paolo VI di circa 700 pagine. Sul tema ha lavorato per circa 25 anni. Nato a Lecce, laureatosi alla Normale di Pisa, ha insegnato per oltre vent’anni all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Allievo principe del noto prof. Luciano Pazzaglia. E’ oggi al vertice dei migliori pensatori di questa disciplina. Possiede una grande lucidità di pensiero e una sua peculiare originalità. Particolari meriti nella sua formazione riconosce al grande storico Paolo Prodi. (La Redazione di Accademiasarda,it)

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Le consacrazioni al Cuore Immacolato di Maria avvenute in passato sembrano in gran parte legate a una sensibilità di condanna della modernità. Tuttavia, avverte Fulvio De Giorgi – storico della pedagogia dell’università di Modena, uno dei massimi studiosi della spiritualità del Sacro Cuore – la consacrazione a Maria voluta da papa Francesco «si inserisce in una lunga storia di cui la condanna della modernità è solo un aspetto in un ambito molto più ampio. Papa Bergoglio si ricollega alla svolta del Concilio e ad altre sensibilità rispetto a quella antimoderna. Aiuta a fare chiarezza la storia della spiritualità del Cuore di Gesù e del Cuore di Maria: nel Medio Evo il Cuore è un indice di devozione privata che solo nella modernità diventa simbolo di culto pubblico. Nell’età moderna nasce la devozione al Sacro Cuore che, nella Francia del ’600, si sviluppa in due forme: quella «parediana» (dal monastero di Paray-le-Monial) più diffusa, legata ai gesuiti, che fa riferimento al Cuore di carne di Gesù. Vi è poi una linea minoritaria più intima, quella «eudista» (da Giovanni Eudes) che affianca al Cuore di Gesù il Cuore Immacolato di Maria. Dopo la rivoluzione francese vi è una svolta perché con l’intransigentismo la Chiesa si vede come un esercito contro la modernità: il Cuore di Gesù è il simbolo del confessionalismo contro la laicità divenuta legge nello stato contemporaneo. Nell’Ottocento e nel Novecento, con l’emergere delle nazionalità, diventa anche emblema di nazional-cattolicesimo.

Cosa rappresenta, in quel contesto storico, la consacrazione?
C’è la consacrazione individuale, una sorta di arruolamento nella Chiesa esercito e c’è la consacrazione di interi stati per significare l’affermazione dello stato cattolico. Questa è la sensibilità storicamente prevalente, mentre la sensibilità vicina a Eudes sottolinea la carità sociale: si pensi ai rosminiani o a congregazioni che nel nome si ispirano a Maria immacolata come quelle di Pavoni e di Frassinetti. È una linea minoritaria nell’Ottocento che non è per lo scontro, ma aperta alla laicità. Con le guerre mondiali vi sono passaggi importanti. Padre Gemelli, durante la grande guerra, si impegna  a consacrare al S. Cuore tutti gli eserciti alleati dell’Italia incontrando, però, grande freddezza in Benedetto XV: quegli eserciti combattono altri cristiani. Con Pio XII, nel 1942, la grande differenza è grande: papa Pacelli consacra al Cuore immacolato di Maria tutto il mondo. Prelude alla svolta del Vaticano II che elimina il nazional cattolicesimo, la crociata, il confessionalismo identitario, mentre la Lumen Gentium parla di esagerazioni del culto mariano da eliminare.

Qual è, alla luce del Concilio, il significato delle consacrazioni?
Molto diverso dalla linea integralista: c’è una consacrazione soggettiva, che è l’unione del battezzato a Maria, modello di amore. Diverso è quando dei pastori affidano alla maternità di Maria realtà comunitarie dove ci sono credenti e non credenti: non soggetti che si consacrano, ma intera comunità affidate.

La consacrazione di Ucraina e Russia da parte di papa Bergoglio ha anche un significato politico?
La consacrazione a Maria rimanda comunque a Gesù, principe della pace. Affidando l’Ucraina e la Russia a Maria, regina della pace, il Papa innalza una preghiera per la pace e per l’amicizia tra Russia e Ucraina. La consacrazione non è mai contro qualcuno, ma è una benedizione che ha anche una valenza, non tanto politica, ma simbolico-educativa. Il Papa vuole indicare a tutti che l’Europa va dall’Atlantico agli Urali e il cristianesimo ne costituisce una radice storica. Bergoglio ha sempre detto: «Abbattiamo muri e costruiamo ponti» mentre ora si abbattono ponti e si rialzano muri. La consacrazione di Russia e Ucraina è simbolo di unità più ampia per impedire che la guerra porti a una divisione totale intraeuropea. Da Benedetto XV in poi la Chiesa non prega mai per la vittoria dell’uno o del-l’altro, prega per la pace e per la giustizia. Mentre oggi l’uomo sembra regredire a una logica solo di violenza, la consacrazione a Maria va controcorrente coerentemente con il magistero della “Fratelli tutti” e nella“ Laudato si’”. Il mai più la guerra di papa Francesco è lo stesso di Paolo VI e Giovanni Paolo II all’Onu. Per questo ha senso unire Russia e Ucraina nella consacrazione: si ricordi che nella cultura europea il primo che ha posto l’opzione della non violenza fu Tolstoj, pensatore russo.

 

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