“Novembre 2021: freddo, funesto, maldestro da capestro, ma inebriante” di Ange de Clermont
Tutti gli ottantatré novembre vissuti e ormai tramontati sono stati mesti per il ricordo di quelli che non ci sono più. Basta attraversare il vecchio borgo edificato dai Doria e il castello ricostruito con la fantasia e le vecchie storie salaci come quella di Nicolò detto anche Brancaleone senior che sposò la bella siciliana Costanza Chiaramonti, in onore della quale chiamò castello e borgo, ma che poi si rivelò infeconda al punto da costringerlo a congiungersi con una concubina, di nome Giacomina, da cui nacque il bastardello Brancaleone, fatto legittimare successivamente e da giovane sposare la bella Eleonora dalla quale ebbe dei figli, ma che morirono tutti precocemente tanto da rimanere senza eredi e costringere la Corona de Logu a nominare un nipote della sorella che si era sposata in Francia.
Fortuna e sfortuna come per tutti gli uomini è la vita.
Così è novembre col mesto ricordo delle persone amate che non ci sono più ed è una fortuna se le loro ossa giacciono ancora nel camposanto del nostro amato e odiato borgo ormai paese. Si perché ci sono tanti dispersi in cielo, in mare e in terra che non sono più ritornati alla terra che diede loro la luce e li nutrì.
Ho sempre presente il ricordo della donna che mi ha messo al mondo che era sepolta nel camposanto sassarese al Campo V tomba 101 che rividi con profondo dolore a 22 anni, pensando che l’avrei traslata in paese e
invece non feci in tempo perché entro due anni tolsero le ossa dalla tomba e andarono a finire in un ossario comune dello stesso cimitero, a quanto pare, nell’immenso ossario della chiesa di San Paolo, ormai non officiata e un tempo appannaggio degli Scolopi di Sassari.
Ho fatto scrivere il suo nome nella tomba di famiglia claramontana, ma ogni volta che visito la tomba leggo: in memoria di Serafina Linda Piras Chiaramonti 1917-1947. Serafina dall’ava Serafina Massidda e Linda chissà perché mia nonna ebbe a darle questo secondo nome che come secondo nome porta la mia unica figlia femmina. Forse all’epoca c’era qualche attrice o canzone Linda. Non lo saprò mai di questo nome che significa in spagnolo bella, graziosa e simili significati. Certo è che la sua vita non fu né felice né bella. Visse trent’anni e si spense a Sassari gravemente ferita e senza che un parente le stesse vicino. La portarono al cimitero coperta da un sudario dopo l’autopsia. Un carro funebre, uscì dal cancello ospedaliero di via Mannu, attraversò l’emiciclo e via verso il cimitero dove dei pietosi becchini compirono la mesta funzione sepellendola al Campo V tomba 101. Non so nemmeno se un pietoso cappellano ebbe a benedire quella bara che conteneva il corpo che pure mi ha portato alla luce. Freddo, funesto, maldestro novembre! No, era il 22 febbraio del 1947. Una zia dal cuore di granito, incontrandomi nella strada diretto ad una commissione, mi disse:- Angelino! Tua madre è morta!- Quasi fosse morto un cane. Non versai una lacrima, ma per poco il cuore non si staccò dal petto. Certo i morti si commemorano in novembre ufficialmente, ma in realtà si avvicendano nel corso del giro annuo del sole.
Chiuso il capitolo mortuario passiamo alle dolcezze novembrine che inebriano gli uomini: il vino che ribolle nei fusti, l’olio divino,le cotogne che maturano negli alberi, le bacche di mirto e di corbezzolo e numerosi altri alberi da frutta che rallegrano uomini e donne. Um tempo per le cotogne perdevo la testa tanto mi piacevano. Già mia madre mi raccontava spesso che durante i nove mesi della gestazione del suo primogenito, quale ero io, aveva mangiato cotogne senza limiti.
Si aggiungano le castagne e almeno nel tempo contadino della nostra infanzia l’uccisione del suino che significava; orecchie abbrustolite, sanguinaccio, salsiccia, carne arrosto e lardo che durava tutto l’anno e tutto l’anno si degustava col pane, col minestrone, con le favate, coi ceci e tanti altri legumi.
Ecco il bello di novembre tra il 1937 e il 1947. Odori sapori e tutto sommato afrori di quel tempo che terminò per me al decimo anno e un mese. Ebbe fine allora per me e si chiuse per sempre il mondo contadino e le sue degustazioni.
Finì la colazione col latte appena munto e. col pane “poddine”, finirono gli gnocchetti e il pane appena sfornato, finirono tutte le altre leccornie del nostro infantile mondo contadino. Ciò provocò in me un tale trauma che divenni un pessimo convitato in collegio con le odiate castagne bollite, con le carote secche, con il latte in polvere e con le non molte varietà della tavola. Di nascosto delle suore, o dei preti in seminario, trafficai ogni primo e ogni secondo, accontentandomi della frutta e del pane. Trafficai le arance all’insalata, i fagioli all’insalata, delle castagne ho già detto. Passai il vino ai compagni. Pessimo commensale al punto che qualche compagno finito nelle isole tailandesi come missionario mi disse un giorno:-Smettila, non mangi tu e inibisci di gustare il cibo agli altri.-
Ecco il bello e il brutto di novembre. Oggi, tornato a vivere dopo 60 anni nel mio borgo paese, spero per morirvi il più tardi possibile, in una casa che guarda l’intera Anglona, tolta la Bassa Valle del Coghinas, con una vista incantevole in tutte le stagioni, sento più profondamente la nostalgia dell’infanzia contadina, ma mi conforta, quando salgo al cimitero, il ritrovarmi con le tombe e i volti di numerosi parenti e amici, grandi e piccoli che conobbi durante la mia infanzia di fanciullo spensierato, purtroppo, senza chiesa e senza scuola, ma con infiniti giochi e corse e col frugare il borgo paese da un capo all’altro come un ragazzo di strada.