“Anche San Martino ha preso il corona virus: annullata l’estate” di Ange de Clermont
Anche San Martino quest’anno ha preso il corona virus e si trova in reparto di terapia intensiva. Gli altri anni ci portava una decina di giorni di bel tempo, quest’anno il maltempo infuria dappertutto. Eppure il santo era di buon cuore visto che in pieno inverni si è tolto il mantello di lana di ufficiale romano, lo ha tagliato in due con la spada e metà lo ha dato ad un poverello intirizzito dal freddo. Abbandonata la carriera militare va a fare l’eremita, il monaco praticando per primo in Europa il monachesimo basato sull’ora et labora: prega e lavora.
Studia e viene ordinato sacerdote ma dal suo ritiro lo prendono quasi a forza per farlo diventare vescovo. Nessuno pensi che si costruisca un vescovado e si rinchiuda lì dentro. A piedi e a cavallo ad un somaro o ad un mulo si mette a visitare la diocesi nelle città e soprattutto nelle campagne per parlare di Gesù crocifisso, ucciso e risorto alla povera gente dei campi. Diventa noto a tutta la Gallia che in suo onore nel corso della storia costruirà circa quattrocento chiese. a lui dedicate. Predica e guarisce gli ammalati, alle parole seguono i fatti prodigiosi che in nome di Cristo egli compie. Gli vogliono bene i convertiti e i pagani che volentieri passano al cristianesimo. Stremato dalle fatiche pastorali muore e la sua tomba diventa meta di pellegrinaggio con conseguenti miracoli. Era nato in Ungheria chiamata allora Pannonia nel 316 dopo Cristo, muore l’8 novembre 397 a Candes-Saint Martin a 81 anno che da lui prende il nome, sempre in Gallia dove svolse il suo apostolato. Era diventato vescovo di Tours nel corno di Francia che guarda verso l’Atlantico.
Le sue spoglie riposano nella Basilica di Tours ed è méta di pellegrinaggio.
Che cosa possiamo chiedere a questo gran santo dei poveri? Credo che più che l’estate possiamo chiedere anche a lui che ci porti via l’epidemia che per gli anziani e i fragili è una mina vagante. Si viva pure quanto il Signore vuole, ma se si riesce a debellare definitivamente questa epidemia vivremo più sereni.
D’altra parte si pensava che i cicli di pesto fossero finiti a metà del secolo scorso, invece a cent’anni dalla spagnola e a poco più di sessant’anni dal vaiolo
ci siamo ricaduti. Illusi credevamo che la sarabanda della morte fosse finita e invece eccotela riapparire. La cosa più triste è che giustamente tronfi del progresso della scienza pensavamo che non saremmo andati incontro a pandemie del genere, tolto il raffreddore e l’influenza normale, eccoci in una situazione in cui la scienza vale poco. E quel poco viene messo in discussione da un gruppo di medici e non medici che in questi giorni si stanno facendo sentire nelle piazze nelle manifestazioni degne di miglior causa. Se tutto questo li rende felici va bene; il brutto è che molti di costoro stanno morendo senza vaccino e molti altri li seguiranno. Requiem aeternam dona eis Domine, ma dubito che requiescant in pace!