“Vivere a 23 settimane”: il miracolo della beatificazione del Cappuccino Fra Nicola da Gesturi di Saverio Gaeta

Valeria nasce nel 1986, classificata come «aborto inevitabile alla fine del quinto mese». Ma non si erano fatti i conti con fra’ Nicola da Gesturi, il santo dei sardi.
A 23 settimane di gravidanza un feto ha le dimensioni di una bambola Barbie e pesa meno di un pallone da pallacanestro. Oggi le apparecchiature presenti nei reparti di neonatologia sono molto sofisticate, ma nel 1986 i macchinari erano meno evoluti e l’Organizzazione mondiale della sanità considerava necessarie almeno 24 settimane di sviluppo gestazionale per poter sperare in una prognosi favorevole.

Di fatto, quando il 21 gennaio 1986 la signora Maria Giovanna Caschili partorì una bimba del peso di 550 grammi e di 30 centimetri di lunghezza, sulla cartella clinica l’evento venne diagnosticato come un «aborto inevitabile alla fine del quinto mese».
Condizioni disperate
Come punteggio di Apgar – ossia l’indice delle condizioni generali dei neonati che viene valutato due volte in sequenza e che normalmente si attesta fra 7 e 10 – la bimba aveva 2 al primo minuto e 4 al quinto. L’esame medico segnalava «condizioni generali gravissime dato l’alto grado di prematurità», con il capo «deformato in senso antero-posteriore», il pannicolo adiposo «praticamente assente», le masse muscolari «ipotoniche e ipotrofiche» e la pelle «rosso-gelatinosa e trasparente». La respirazione autonoma era assente e, dopo alcuni secondi di apnea, fu provocata con la somministrazione di ossigeno.
La piccola, che su richiesta dei genitori aveva intanto ricevuto il battesimo con il nome di Valeria, venne immediatamente trasferita nell’Istituto di puericultura e patologia neonatale. Dinanzi ai responsabili del reparto si presentò un caso clinico difficilissimo, con notevoli problematiche mediche, ma anche con impegnative questioni etico-morali. Le ha sintetizzate il professor Franco Chiappe, direttore dell’Istituto: «Avevamo il diritto di instaurare misure straordinariamente eccezionali per una infinitesima possibilità di sopravvivenza e, nel caso in cui questa infinitesima possibilità si fosse realizzata, con la probabilità molto alta di trovarci con un essere umano cieco, con danno cerebrale incalcolabile, e obbligare questa persona e la sua famiglia a un’esistenza veramente miserabile? D’altra parte, avevamo il diritto di negare a questa fragilissima creatura una possibilità minima di sopravvivenza, senza poter escludere, nel caso, una vita integra o con reliquati minimi, del tutto accettabili?».
La decisione fu di attuare soltanto un’assistenza ordinaria in incubatrice, mantenendo la piccola a una temperatura adeguata e somministrandole l’ossigeno necessario a compensare l’immaturità polmonare. Il professor Chiappe aveva infatti già visto, in più di trent’anni di professione, altri bambini nati prima delle 24 settimane di gravidanza: «Tutti mostravano per pochi minuti o qualche ora alcuni segni vitali (respiro e battito cardiaco più o meno irregolari), ma inesorabilmente morivano per cedimento polmonare o cardiocircolatorio».
La mattina del 22 gennaio, rientrando in reparto alle 8.30, il direttore si aspettava di trovare ormai morta la bimba. Ciò che invece vide dinanzi a sé lo costrinse a riconsiderare l’intera vicenda, perché «complessivamente la piccola Valeria Atzori mostrava una certa potenzialità vitale» e «in tale situazione non appariva più eticamente accettabile la mancata applicazione di tutte le potenzialità concesse dalla moderna terapia intensiva neonatale per permettere la possibilità, seppur infinitesimale, della sopravvivenza». Alle 10 la cartella clinica segnala la prima somministrazione di caffeina e di farmaci quali il Mucosolvan e lo Spectrum, insieme con un tentativo di intubazione per via orale della trachea.
Dopo tre giorni, precisò la dottoressa Daniela Rosatelli, «la ventilazione artificiale fu però sospesa, in quanto la piccola paziente non ne aveva tratto alcun beneficio, e si ebbe il sospetto, abbastanza fondato, che in realtà non avesse mai praticato tale ventilazione, in quanto il sondino, presentando tracce di ristagno gastrico e biliare, doveva essere stato erroneamente posizionato in esofago anziché in trachea». Sempre a motivo della delicatezza della cute, «non fu neanche possibile il monitoraggio dei gas ematici tramite elettrodo transcutaneo, per cui l’ossigenoterapia venne praticata in maniera approssimativa, con tutti i rischi inerenti, soprattutto per il rischio di un danno visivo permanente». In quei giorni, il calo fisiologico e la disidratazione portarono Valeria fino al peso di soli 410 grammi. Successivamente l’alimentazione venne attuata a goccia continua tramite il sondino naso-gastrico fino a quando, verso il terzo mese di vita, la piccola cominciò ad alimentarsi spontaneamente succhiando dal biberon.
Fra Nicola sotto il materasso
La mamma era intanto stata dimessa il 25 gennaio e, insieme con il marito, aveva immediatamente cominciato a pregare con intensità fra’ Nicola da Gesturi, un cappuccino conosciuto in tutta la Sardegna e morto in concetto di santità. Sotto il materassino sul quale era appoggiata la piccola venne posta un’immaginetta del frate dal papà, che in seguito raccontò: «Mi avvicinai all’incubatrice, guardavo Valeria così piccola e rosa e le dissi: «Coraggio, non lasciarci, ti aspettiamo a casa»; e poi, rivolto a fra’ Nicola, gli dissi: “Dalle la forza e la vita, proteggila da tutto, perché è tanto indifesa”».
Nato nel 1882 nel paese sardo di Gesturi, Giovanni Medda entrò trentenne nell’Ordine cappuccino, assumendo il nome religioso di Nicola. Dopo una dozzina d’anni trascorsi fra Sassari e Oristano, venne trasferito nel 1924 a Cagliari con l’incarico di frate questuante e divenne noto in tutto il circondario per la sua bontà d’animo. Al suo funerale, nel 1958, si calcolarono 60.000 presenti e la bara fu portata a spalla in corteo per tutta la città. Fu beatificato nel 1999.
Dopo 60 giorni di ricovero nella sezione di rianimazione e altri 64 nell’incubatrice per la terapia intensiva, il 25 maggio 1986 Valeria venne dimessa dall’ospedale con il seguente referto: «Maturazione – guarigione. EEG normale per età. TAC normale». Il peso era giunto a 2.100 grammi. Il professor Chiappe attestò le «buone condizioni generali, senza handicap visivi o neuromotori evidenti», sottolineando nella relazione di sintesi che «la moderna terapia intensiva neonatale ha dei limiti biologici ed è impotente, per prematuri nati in epoca così precoce della gravidanza, se non sono presenti altri fattori».
Una guarigione completa e duratura
Il positivo sviluppo neurologico e comportamentale è stato verificato dal professor Franco Chiappe mediante tre esami secondo la specifica scala del Denver deveIopmental screening test (eseguiti a 12, 18 e 24 mesi): «La bambina è perfettamente normale, sia per quanto riguarda la motilità grossolana (camminare, reggersi in piedi), sia per quanto riguarda la motilità fine (precisione dei movimenti, prendere un oggetto in mano), sia nel linguaggio e nella socializzazione».
Nel 1989 le approfondite visite compiute, su incarico del tribunale diocesano di Cagliari, hanno confermato che le condizioni di Valeria «sono ottime sotto tutti i punti di vista». Unicamente lo sviluppo fisico si pone ai limiti inferiori della norma, «fatto perfettamente compatibile con il basso peso di partenza e la piccola taglia materna». E nella seduta del 22 gennaio 1998 anche la Consulta medica vaticana ha dichiarato la guarigione «completa, duratura e senza reliquati, scientificamente inspiegabile nel suo complesso».
l miracolo della piccola Valeria raccontato da Saverio Gaeta sulla rivista “Il Timone”, pubblicato nel n° 189 del 2019.
VIVERE A 23 SETTIMANE

 

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