“L’incontro notturno con le anime di Carruzzu de Ballas” in Chiaramonti di Anghelu de sa Niéra
Il carruggio quasi gemello di Carruzzu Longu, che s’inerpica come quello verso Monte de Cheja, è quello che stranamente vien detto Via delle Balle, espressione presumibilmente sorta nel Ventennio Fascista durante il quale l’uso dell’Italiano veniva comandato dai gerarchi, in genere maestri elementari, e di segretari del fascio, ugualmente maestri elementari come il Duce.
Mia suocera Tarsilla Mannu ha insegnato alle figlie e ai figli l’uso perentorio della lingua italiana, disobbedita dalle figlie più grandi, ma obbedita dai figli minori. Dire che Via delle Balle è detta così per le balle che avrebbero raccontato i miei parenti nulvesi che costituivano la maggioranza degli abitanti mi pare una banalità trattandosi di gente semplice e analfabeta, io suppongo piuttosto che fosse la traduzione in italiano di Carruzzu de Ballas, perché le palle di trachite di variegata colorazione rossastra presenti nei muri delle case a piano terra fossero frequenti come resti storici delle battaglie che dovettero tante volte verificarsi tra i fratelli Doria proprietari originari del Castello e i perfidi catalani e aragonesi che tentarono d’impossessarsi dell’ultima roccaforte dei Doria dopo averli cacciati da Alghero, Castelgenovese e Casteldoria. Del resto i due documenti rinvenuti nel Codex Diplomaticus Sardinae di Pasquale Tola dal nostro medievalista Gian Luigi Marras parlano chiaro.


Per tutte queste ragioni lo scrivente preferisce chiamare questa originaria via che condusse un tempo al castello Carruzzu de Ballas. Ogni lettore chiaramontese o no si faccia pure l’idea che vuole, del resto la storia è un tentativo di ricostruzione del passato che tiene conto del tempo e dello spazio, ma anche dell’ideologia e della cultura dello storico, ché la verità genuina delle vicende umane la conosce soltanto il buon Dio, se uno ci crede.


Nella prima casa a destra m’imbatto in zio Giovanni Tedde. E’ seduto sul gradino della porta e vedendomi mi dice:- Che ci fai in questa strada alle due di notte?-
-Non lo so zio Giova’ mi ci ha trascinato qualcuno.- Riprende:-Sono qui per penitenza, vedi che vesto il saio del Carmelo! Ad ogni modo ti ringrazio perché ogni volta che sali al Camposanto mi fai visita e mi dici qualche requiem!
Procedo. Ed ecco la colossale zia Bucciana Zigante con accanto, seduto, sul gradino il suo minuscol marito, zio “Ra”. Sento che gli sta leggendo la vita:-Quante volte te l’ho detto che quando i ragazzi si coglionano di te, devi bastonarli come faccio io con te quando ti comporti male. Adesso vai su e portami il bastone che mi pare stia arrivando qualcuno che ci vuole importunare. – A sentire queste parole affretto il passo dal momento che non ho voglia d’essere picchiato da un ombra così gigantesca.
Vado avanti ed ecco zia Chica che parla col marito Gavino Falchi. Sento che borbotta dicendo:-Questo tuo figlio è incorreggibile, io non so perché se ne sta lontano dagli altri giovani e ha sempre da dire. Dovresti fargli capire che la solitudine è cattiva consigliera.-

Percorro ancora il carruggio ed ecco zio Antonio, in divisa da guardia del dazio e con la protesi del braccio destro sempre ferma. Sta parlando con la moglie zia Mattea, rossa in volto, che gli dice:-Deves pensare a Tettedda!-Risponde l’uomo:
-Deo già b’apo pensadu, ello non est diventata mastra de asilo! No la ides ch’est setzida accurtzu a sa gianna.- Mi vede e mi dice:-Intra a domo chi ti fatto assazare su rosolieddu americanu!- Rispondo:-No, tiu Anto’, si narat Coca Cola!-
Mi allontano ed ecco l’incontro con zia Paolina, figlia di zia Bucciana, sempre gentile e carina da viva nei miei confronti e vuole che entri a casa sua ora che è un’ombra, ma la casa è chiusa e io non mi avvicino nemmeno. La saluto e mi sento chiamare da Paolino Urgias, grande comunista bonaccione, mi si avvicina e mi dice:

Abbraccio Paolino, ma le mani mi tornano al petto. Si tratta di un ombra evanescente, ma vera. Gli sussurro: -Paoli’ prega per me!- Mi risponde:-Stai tranquillo, lo dico subito a San Paolo e sei a posto!-
Procedo e mi si presenta tiu Matteu Villa, fattore dei Falchi, mi sorride, entra in casa sua e scompare, mentre tutto felice avanza zio Giommaria Sale che mi dice:- Lo sai quanto ho lavorato in vita mia io e mia moglie per tirare sui i figli, ma adesso in compenso siamo felici! Qui senza fatica ci godiamo la musica e i profumi della Primavera, una grande gioia nel cuore che va aumentando sempre più. Salutami mia nipote la poetessa, Le sue belle poesie le leggiamo anche qui con gli angeli.- Se ne va, a braccetto con la moglie e scompare dentro casa.



Mi dice di scrivere spesso al marito che è molto angosciato in Svizzera dove si erano trasferiti coi figli Simone e Alberto.
Un canto si leva soave. E’ il salmo del Laudate Dominun omnis terra! Dall’alto osservo la processione e quando questa scompare passo in piazza de s’Ulumu e torno a casa contento di quest’immersione nel mistero dei nostri cari passati a vita migliore.