“Carruzzu Longu e la schiera di anime vaganti viste in sogno o forse…” di Anghelu de sa Niéra
Un ringraziamento a tutti i compaesani che mi hanno fornito notizie su questa via storica del borgo, risalente alla sua fondazione di 761 anni fa [secondo il nostro archeologo principe Gian Luigi Marras] sia pure nella parte a pianoterra delle case a schiera che s’inerpicano in su Monte ‘e Cheja. Un particolare grazie a Carlo Patatu, a Mario Unali,che mi ha fornito le fotografie oltre che revisionato il testo, a Domitilla Mannu e al fratello Ettore Mannu che con grande pazienza mi ha fornito i nomi degli abitatori, integrati da Mario Unali e dalle altre persone citate. Senza il loro apporto non avrei potuto scrivere questo breve contributo della via regale del nostro borgo tardomedievale edificato dalla numerosa famiglia Doria nel momento in cui cacciati dai Catalani Aragonesi da Alghero, poi da Castelgenovese e, infine, da Casteldoria, sul nostro più vasto e alto monte (467 metri sldm) hanno deciso di arroccarsi per affrontare i nuovi conquistadores “inzuzzati” dal Papa Bonifacio VIII.
Tra i castellani oltre a Brancaleone Doria, che sposò in seconde nozze Costanza Chiaramonte, dalla quale rocca e castello presero sicuramente il nome, ma dalla quale non ebbe figli. Il figlio illegittimo glielo forni la concubina Giacomina-ci è lecito pensare del nostro borgo- che poi riuscì a farselo legittimare. Si trattava di quello che io chiamo Brancaleoncino, e non con il suo nome Brancaleone, andato sposo alla sardo-catalana Eleonora d’Arborea Bass-Serra e che seppe a momenti tener testa ai Catalani Aragonoesi che vigliaccamente chiamatolo a Barcellona per dargli delle benemerenze lo tennero prigioniero per sette anni e poi liberato per i buoni uffici della stessa moglie Eleonora governò il giudicato d’Arborea dopo la morte della moglie. (Angelino Tedde) Cfr, Marras in accademiasarda.it. Casula F. C. in Genealogia dei Doria.
La via principale del borgo di Chiaramonti è chiamata dalla matrice genovese Carruzzu Longu, cioè Carruggio Longo. Probabilmente da questa via dovevano passare i carri che raggiungevano la piattaforma miocenica che viene oggi chiamata Monte de Cheja per via dei ruderi dell’antica chiesa cinquecentesca tardorinascimentale di San Matteo. La chiesa fu costruita secondo gli archeologi, sull’area di sedìme della trecentesca cappella della famiglia Doria, nell’area del Castello e menzionata anche dallo storico seicentesco sassarese Francesco Vico che la dà esistente nel 1491 allorché del Castello dovevano esserci soltanto dei ruderi i cui conci furono utilizzati in primo luogo a costruire la parrocchiale del borgo con la sua poderosa torre campanaria allungata nel settecento da una lanterna di cui rimangono soltanto alcune parti monche. Secondo zio Sebastiano Soddu venne distrutta in parte da un fulmine nell’anno giubilare del 1900 portando via nel crollo anche il sagrestano.
Da ragazzo, tra i cinque e i dieci anni, la via principale del borgo non la frequentavo molto sebbene, da collaudato ragazzo di strada, abbia girato il borgo e l’intero paese in lungo e in largo, mentre i miei compagni erano assiepati nelle fredde aule scolastiche da cui venivo escluso a causa di vari malanni agli occhi. Posso affermare, grazie anche alle informazioni attinte da varie fonti, che tra gli anni cinquanta e sessanta, la via era popolata più di Via delle Balle o Carruzzu de Ballas come preferisco chiamarla.
Ho già scritto che i miei punti di riferimento erano tiu Cicciu, soprannominato Labbrosu, esperto calzolaio che lavorava con tiu Dadea ed era sposato con tia Nicolosa Unali. Più su nella parte opposta della strada abitava tiu Angheleddu Migaleddu, sposato con una mia zia, tia Domihighedda Serra, estremamente cortese ogni volta che dal 1954 in poi mi recavo a visitarli vestito da seminarista.
Mi hanno raccontato che la sera presso tiu Angheleddu si faceva salotto letterario giocondo a carte, ma anche bevendo il prelibato succo d’uva come Noé.
La strada, tuttavia, poteva dirsi appannaggio dei Soddu. Il vero protagonista della via era tiu Sebastianu, detto Cucciullu, chiassoso, spiritoso e geniale nelle imprecazioni quanto lo era zio Giovanni Andrea Tedde, noto Tebachéra, nei versi osceni in Carruzzu de Ballas.
Patriarca di una famiglia numerosa sapeva destreggiarsi egregiamente tanto nelle relazioni sociali quanto nel lavoro. Manco il Monte si salvava dalla sua semina, aratura e sarchiatura e mietitura del frumento. La famiglia numerosa lo stimolava a lavorare con grande impegno.
Altri due figli sposati abitavano nella stessa via.
Avventuratomi nel cuore della notte, non so se in sogno o nella realtà, nell’attuale via ormai deserta, ecco una schiera di anime vaganti dei vecchi abitatori.
Saluto oltre a tiu Sebastiano, che va percorrendo la via da giù a su, anche l’anima fermatasi al Ventennio di tiu Eugenio Brunu, che soffermandosi a chiacchierare mi dice: -Dei falegnami ero il migliore tanto che san Pietro mi ha dato l’incarico di costruirgli lo scaffale dove tiene i libri dei peccati dei chiaramontesi, uomini e donne di cui ora non posso parlarti.-
Mentre parlo con lui mi tira la giacca per salutarmi il noto di zio Pascale Porcu, ma ecco arrivare zia Claudina Cossu col rosario in mano passeggiando con zia Leonarda Guaranta. Seguono tiu Giuannantoni Morette detto Cillia Zerrette e Tonino Conchitortu di fronte a Ghirigori Morette padre di Cocoi e Caramella, detto tiu Moi [pron. Muà] mastros de ascia già emigrato in Francia.
Vado avanti ed eccoti presentarsi l’anima graziosa e gentile della maestra Giuditta Giordo che chiacchiera col fratello Maurizio, morto in Sassari nel 1981. Mi si avvicina lasciando da parte la sorella e mi dice:-Hai visto Angelì, io credevo di avere il fuoco di Sant’Antonio e invece era cancro bello e buono! Mi son goduto davvero poco quella bella casa che ci siamo costruiti in via Martino 11 e 13 in Sassari dopo tantissime assemblee e consigli di amministrazione.-
Eccoti arrivare Faricu Gallu sempre attivo anche ridotto ad anima! Mi distrae, mentre vado avanti tra quella ressa d’anime vaganti, tia Pedruzza Truddaiu col marito e con la loro figlia Gavina. Ma ecco che vengo fermato da Giovanni Cossu, figlio di Sant’Elies e dalla bella moglie erulese che conversa in gallurese. Il corteo delle anime avanza cercando di entrare ognuno nella propria abitazione tanto per vederla ormai desolata.
Ecco una mia parente, tiu Chicca Piras con zio Gavino Falchi, il bravissimo potatore d’olivi. Non vedo Giovannino, che sicuramente è vivo.
Sempre allegra e briosa ecco venirmi incontro zia Giorgia Piseddu col marito tiu Migaleddu soprannominato Franchitortu. A braccetto passano le anime di tia Maria Liperi e di tiu Andea Schintu. Cerco di stringere la mano e di abbozzare una carezza, ma le anime sono impalpabili e prendo atto che sono circondato da una turba passata ad altra dimensione.
Eccoti tia Rachele con tiu Giovanni Antonio Scanu, dietro di loro tiu Pretoreddu Moretti con la moglie Andreuzza figlia di tiu Matta de Fufere li fermo e li ringrazio perché la loro figlia in Sassari mi procurò il padrino di Cresima ittirese Giovanni Foddai, impiegato alle poste e che quando andavo a trovarlo mi erogava sorridendo sempre cento lire che allora non erano una mancia misera.
E ancora, conversando sommessamente, le anime dei coniugi Gavino Serra e Sebastiana Cossiga che da vivi abitavano presso zio Gregorio Cossiga e la di lei moglie Gavina Manca. Erano i Cossiga imparentati col Presidente e sicuramente abitanti nella casa avita dei Cossiga. Mentre scambio qualche parola con queste ombre ecco la coppia Mannoni Beccu, questi Mannoni erano imparentati con Francesca Mannoni, moglie di Antonio Satta-Tedde-Grixoni e tiu Angheleddu Migaleddu con tia Dominighedda Serra che cerco di abbracciare, ma le mani mi tornano al petto. Faccio a tempo a veder passare tiu Giuanne Lumbardu e la moglie tia Chicca e, infine, ecco zio Tigellio, alias Carnelutti, dal momento che del noto avvocato conosceva tutte le arringhe che proclamava a s’Istradone. Cerca di abbracciarmi, ma non ci riesce e allora mi dice di aspettare, entra in casa sua da cui esce con la moglie mia cugina seconda Cischedda Gallu-Soddu e con la sua Chitarra e comincia a suonare una musica maliconica, ma coinvolgente simile a quella di Orfeo, il greco, quando dà l’addio alla sua bella Euridice.
Mi scendono le lacrime dalla commozione. Gli carezzo il viso ringraziandolo e lui:-Angelì, salutami Tilledda, mia nipote.- Si alza e scompare. Mi guardo intorno, ma il corteo delle anime, tutte in tunica marrone, si dirigono verso Muru Pianedda e Caminu de Cunventu congiungendosi a quelle che arrivano da Carrela de sos putos, ma prima di queste alle anime si accompagna tiu Giuseppone con la moglie.
I rintocchi del campanile mi richiamano verso la chiesa di San Matteo mentre mi pare che il respiro venga meno. Forse ho sognato o forse sono svenuto.