15 Gennaio 2021
Categoria : memoria e storia
“Per le vie del borgo di Agrustos tra stazzi; profumi e colori che sanno di antico e salsedine” di Rosanna Pisanu
1ª) Corrisponde al plurale dell’appellativo agrustu «lambrusca, vite selvatica» (Oliena), relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare – con l’ital. abròstine e col lat. la(m)brusca, finora di origine ignota (NPRA 135) e dunque probabilmente “fitonimo mediterraneo”;


Nei primi decenni del secolo scorso vivevano una ventina di famiglie per lo più imparentate tra loro, dedite alla pastorizia e all’agricoltura o ad altre attività nel litorale marino.
Il termine stazzo, lu stazzu,deriva dal latino statio (stazione, luogo di sosta), un insediamento rurale umano detto ad abitat disperso.
È stato ereditato dalla Corsica: alcune famiglie corse, per motivi politici interni, faide e altro si trasferirono nella zona settentrionale della Sardegna, in Gallura, allora piuttosto disabitata e poco accessibile e ospitale. Qui costruirono le loro case, simili a quelle possedute in patria ma con il granito gallurese, pietra tipica locale.
Lo stazzo è sempre compreso entro un recinto, denominato pastrucciale, ha una pianta di forma rettangolare, costituita da muri, con spessore di circa 80 cm, costruiti con quadri di granito, faccia a vista, sagomati in parallelepipedi lunghi 50 cm e alti 25 cm, stuccati con argilla (solo dopo la ristrutturazione le pareti interne furono imbiancate), col pavimento in terra battuta. Tutte le aperture di legno di quercia o di ginepro, si affacciano sui lati più lunghi della casa. La porta principale, rialzata dal suolo per mezzo di una soglia di granito monolitico, è a due battenti con quattro pannelli, dei quali uno è mobile in modo da poter essere usato come finestra. Il tetto, spesso a due spioventi e asimmetrico, è costituito da una serie di tegole non cementate, rifinito all’interno con le canne di fiume.
Lo stazzo monocellulare è costituito da la casa manna: un unico ambiente rettangolare, privo di finestre, con due porte, poste una di fronte all’altra, per aerare il locale che fungeva da cucina, ambiente di lavoro e camera da letto. Al centro vi era lu fuchìli (il focolare) delimitato da pietre fitte in circolo, anche detto ziddha a meza casa: essendo sprovvisto di camino, il fumo fuoriusciva dal tetto, attraverso canne e travicelli nudi e radi (nel secolo scorso il camino fu addossato alla parete).
Era arredato soltanto con la banca (il tavolo), la cagghjna e l’uppu (un mastello di legno, o una conca in terracotta, per l’acqua con la nappa e un lungo mestolo in sughero), lu bancu (una panca rettangolare, molto rudimentale, una specie di triclinio romano), le catrèi (le sedie), li banchìtti(gli sgabelli), la cridenza (credenza), lu balastragghju(un ampio armadio per i contenitori per l’acqua), la piattèra e la misìglia per i piatti di uso quotidiano e la scigliàra per i servizi “buoni” da utilizzare nei ciurràti nòtiti, nei giorni di festa o in particolari ricorrenze, l’incanicciatu (un graticcio) per conservare il formaggio, gli insaccati e i cagli, la festina (un fusto di vecchio ginepro, i cui rami servivano per appendere), la lùscia (un alto contenitore cilindrico fatto di stecche di canne intrecciate, utilizzato per conservare il grano o i legumi, con una piccola apertura nella parte inferiore), una macina e diverse stuoie.
Più tardi, molti stazzi furono ampliati, inserendo altri ambienti per giustapposizione laterale, divenendo così bicellulari. Comprendevano anche l’appusentu o la cambara (la camera da letto) e lu pinnenti (il magazzino). Nell’”appusentu” vi era il letto, l’armadio e l’immancabile cassapanca di legno di noce o di castagno, la cascia, dove era conservato il corredo della sposa. Ampliato con un secondo piano, era detto lu palazzu.
Sempre nel recinto vi era il cortile, dove spesso si ergeva un leccio per proteggere la casa dalle intemperie e dal sole, il pozzo, lu furru (il forno), la saurra (il porcile di forma ellissoidica o rettangolare), lu puddagghju (il pollaio), lu salconi (il recinto per il bestiame caprino) e varie arnie. All’esterno, vi erano le tanche (terreni impiegati a rotazione per l’agricoltura e la pastorizia), vigneti, orti e frutteti, boschi di sughere, lecci e olivastri, pascoli per bestiame allo stato brado (bovini, ovini e caprini).
Un insieme di stazzi formava un distretto pastorale, la cussogghja (la cussorgia), un’entità geografica e sociale unita da vincoli ancestrali di amicizia e profonda collaborazione. Nella maggior parte delle cussorge gli stazzi sono isolati, in altre riuniti in vario numero come ad Agrustos: i più rilevanti erano “Stazzo Amadori e Stazzo Meloni”.
Mauro Maxia, allievo di Pittai, osserva;
“L’ipotesi di un’origine del toponimo da un porto di età romana detto Augustus Populus non è sorretta da dati concreti. Secondo il celebre linguista Massimo Pittau, il nome della frazione rispecchia il sardo logudorese “agrustos” (pergolati) che come il nuorese “argustu, arbustu” (pergolato, pergola d’uva) deriva dal latino “arbustum”.”
Io ti scelsi perchè il cielo su di te ride 

felice per le tremule onde 

piccole preziose pieghe 

che il vento scompiglia a bacio. 

Amo i tuoi riflessi d’acqua 

i tuoi riflessi di luna 

i tuoi antichi scorci 

che da infiniti secoli 

dagli occhi al cuore

fan sciogliere le vele 

verso l’infinito 

elevando ogni più intimo pensiero 

per allietare le nostre assetate anime.
Rosanna Pisanu
