“II. Giovanni Battista Maria Vassallo e le missioni popolari nella Sardegna sabauda” di Fabio Pruneri recensione di Angelino Tedde
Fabio Pruneri, Giovanni Battista Maria Vassallo e le missioni popolari nella Sardegna sabauda 1726-1775 “Annali di storia dell’educazione”, 19, (2012) pp. 47-66 . (75.499 caratteri pp. 39)
Dopo l’ordinazione, qualche anno d’insegnamento e l’avvio alla predicazione, Giovanni Battista Vassallo va chiedendosi su che cosa sia meglio orientarsi e gli pare d’aver trovato la vera strada chiedendo di recarsi nelle Indie in particolare nel Paraguay dove sarebbe partito con una spedizione di 11 confratelli e 7 novizi.
La madre, addolorata per la scelta del figlio, vivendo a Corte presso i sovrani, dev’essersi data da fare e così inaspettatamente il superiore generale vietò al Vassallo d’imbarcarsi. Questi per quanto addolorato si sottomise alla volontà dei superiori che, poco dopo, lo destinarono alla Sardegna.
In Sardegna: prima fase (1726-1730)
Giunse al porto di Alghero nello stesso anno e incontratosi col confratello padre Antonio Falletti ebbe da costui l’incarico «(…) d’iniziare la lingua italiana ai nostri Padri giovani a ciò ch’essi poi la insegnino nelle scuole secondo la mente del nostro sovrano che dopo qualche tempo ordinerà che tutti gli atti pubblici si formino in questo linguaggio, per facilitare ai suoi ministri l’esercizio dei loro impieghi».
Nemmeno questa strada doveva essere però a lungo praticata dal Vassallo dal momento che, ad appena 8 anni dal passaggio dell’Isola al Piemonte, non era certo agevole anche in base al trattato di Londra che nell’isola si abbandonasse lo spagnolo per l’italiano, in un contesto scolastico in cui oltre ai Gesuiti insegnavano anche gli Scolopi che usavano nei collegi come lingua curricolare la lingua spagnola. D’altra parte solo un sovrano ottuso avrebbe potuto imporre da un giorno all’altro il cambiamento della lingua spagnola parlata e scritta dalle classi dirigenti e dal clero da circa tre secoli, per l’uso di una lingua sconosciuta ai più, ma conosciuta dai cultori sardi della lingua di Dante.
Ci piace chiarire che del resto i Gesuiti fin dall’arrivo in Sardegna (1558) si erano resi conto che a Sassari si parlava il castigliano e il catalano, il corso e il sardo e, in alcuni ambienti anche l’italiano. Ci volle un po’ di tempo prima che il Vassallo se ne rendesse conto.
Certo è che, a nostro avviso, il Vassallo, almeno riguardo alla concezione della lingua non è un perspicace antesignano dei linguisti che verranno più tardi dal momento che scrive:
«In questo paese non mi manca in che occuparmi e se intendessi il sardo come intendo lo spagnuolo potrei occuparmi assai più a beneficio di questi popoli che a mio credere non sono men bisognosi di ogni altro anche più selvaggio, almeno in qualche parte dell’Isola, ma detto linguaggio sardo ch’è l’unica lingua intesa dal volgo è una mistura sì barbara che non ne ritrovo il conto ed i nostri stessi Padri nativi di quest’isola stentano a ben parlarlo, perché ogni capo ha il suo parlar diverso, in cui vuole udire a predicavi e non v’è regola impressa per apprenderlo».
In questo passo si nota davvero il limite culturale-linguistico del nostro, visto che non sa che la lingua sarda è una lingua romanza almeno ad una prima impressione, più tardi cambierà di certo opinione visto che cercherà di apprenderlo e di usarlo nelle prediche.
Un buon giudizio esprime sugli studenti: «I nostri scolari si segnalano nella filosofia e teologia, nel rimanente si curano poco più di possedere un latino ordinario. […] Il modo di predicare è assai diverso dall’italiano formandosi quivi i migliori oratori nell’esposizione dei diversi testi della divina scrittura il che fanno assai dottamente».
Fabio Pruneri cita abbondantemente dalle lettere del Vassallo ai suoi familiari facendo emergere le sue impressioni a volte positive a volte negative sulle situazioni a cui andava incontro.
Tra gli altri avvenimenti religiosi il Vassallo si rallegra che ben tre piemontesi siano eletti vescovi a Cagliari, Sassari e Alghero.
Forse questo lo riconforta per le promesse di un trasferimento in Terraferma che poi mai arriverà. Il religioso del resto si affidava di continuo alla volontà di Dio. Nel frattempo non si scoraggiava nell’attività d’insegnamento dell’italiano ai confratelli sardi e contemporaneamente nell’impegnarsi nella predicazione a varie categorie di lavoratori “continentali” del mare quali erano i napoletani pescatori del corallo e i genovesi pescatori del tonno.
Si ha la sensazione, ma mano che il tempo passa, che il Vassallo si affezioni alla terra sarda e s’immerga nei bisogni e nelle angustie di questo popolo provato dalla carestia e dalla siccità.
La permanenza in Sardegna (1730-1785)
Da questa data in poi il Vassallo, immerso nella sua attività missionaria, non cerca occasioni di rientro in Terraferma, forse aveva capito che la sua terra di missione era la Sardegna dove resterà fino alla morte. Per 45 anni la percorrerà in lungo e in largo, manifestando un carisma insolito, predicando e favorendo le paci tra le fazioni in lotta con vistose e teatrali sacre rappresentazioni capaci di commuovere i fedeli e spingerli ad una sincera conversione. Senza ignorare peraltro che ci si trova in un contesto storico-culturale da ancien régime dove però spesso la religiosità si coniugava con uno stile di vita ai limiti della superstizione e facilmente aperto a condotte criminali, a detta di molti viaggiatori, forse un po’ troppo superficiali, pronti a dare giudizi generali, partendo dalla loro corta esperienza sarda.
Si aggiunga a tutto ciò la pratica dell’autolesionismo dei sardi spinti più a chiudersi nell’ambito delle sottoregioni storico-culturali che ad aprirsi alla totalità isolana e tanto meno a confrontarsi con la nazione dominante o con quella frontaliera quali erano gli stati italiani. Il settecento, ormai è risaputo, non fu certamente un secolo di profonda religiosità e di condotte permeate dalla legalità in tutta Europa. Se per certi versi ci fu un notevole incremento demografico non mancarono ovunque carestie, pestilenze, lotte cittadine e faziosità, per non parlare di criminalità praticata sia dalle ceti dirigenti sia dalle popolazioni spesso indigenti con la formazione di una variegata borghesia ovunque.
Del resto dagli anni trenta del secolo anche nell’Isola si va formando una certa borghesia che non disdegna i lumi che giungono dall’Europa sia attraverso il Piemonte sia attraverso la Lombardia e altri stati italiani.
Per non parlare dei letrados del seicento, basti citare alcuni intellettuali della prima metà del settecento quali Antonio Sisco (Sassari 1716-1801), Pietro Pisurci (Bantine 1724-1799) Giovanni Battista Quesina (Sassari1721-1785) Pietro Sanna Lecca (Cagliari, primo ‘700, Torino fine ‘700) Gavino Pes (Tempio Pausania 1724-1795) Matteo Madao (Ozieri,1723 – Cagliari 1800) Giovanni Delogu Ibba (Ittiri Cannedu (SS) 1650- Villanova Monteleone (SS) 1738) in gran parte ecclesiastici colti e dediti a vari generi letterari, qualche medico e qualche giurista con incarichi prestigiosi e comunque tutti autori di varie opere.
Gli stessi principi piemontesi cominciano a capire che occorrevano riforme nell’Isola ancora immersa nelle maglie dell’organizzazione feudale con feudatari residenti in Spagna, rappresentati dai loro luogotenenti spesso inclini più ad arricchirsi che ad amministrare con correttezza i vassalli. E se come capitò al Vassallo agl’inizi della sua permanenza la prese come una parentesi del suo apostolato man mano capì e gli stessi principi sabaudi capirono che occorreva procedere alle riforme con gradualità, ma decisamente. I sovrani sabaudi si resero conto anche che certo la mano forte dei governanti serve a forgiare i popoli, ma è più utile la religione per ammansire gli animi bellicosi e amareggiati dei sudditi.
Penso che il contributo di Fabio Pruneri ben s’inserisca nel lavoro di scavo svolto da Antonello Mattone e da Piero Sanna sul Settecento sardo.
Il Vassallo, a tratti, avverte anche la mancanza di alimenti che avrebbero potuto essergli utili per le emicranie di cui soffriva. Scrive al fratello:
« (…)Se vi fosse possibile il farmi tenere un poco di caffè per sollievo del capo, notabilmente affaticato, mi fareste un gran piacere: quivi si stima assai e però si paga profumatamente, uno scudo la libbra; onde dacché vi sono giunto non ne ho preso mai parendomi bevanda troppo preziosa, pure sperando che questa debba rimettermi il capo a luogo e debba giovare altresì a togliermi una gran nausea che da qualche mese provo al cibo, ardisco di supplicarvi a farmene la carità, che il Signore sicuramente vi ricompenserà col centuplo»
Ringrazia per il prodotto richiesto e ricevuto.
Nel frattempo egli programma a largo raggio la sua attività missionaria, già rivolta al Castello, abitato dalla nobiltà e da tutto il servitorame e alla periferia della città.
Scrive in proposito l’autore del contributo:
“Dopo aver parlato delle missioni urbane Vassallo informa i parenti di un più vasto e articolato programma pastorale rivolto alle genti delle campagne.”
In Sardegna come del resto in tanta parte dell’Occidente cristiano si sentiva la necessità di far sentire alle popolazioni i contenuti delle novità emerse al Concilio di Trento, abbandonando quel tipo di religiosità che forse non incideva abbastanza sull’animo dei fedeli cristiani.
Un’eco di queste esigenze lo si avverte del resto nelle iniziative pastorali del vescovo algherese Lomellini che puntava all’istruzione dei fanciulli e al risveglio dell’attività pastorale da parte dei parroci. Non era sufficiente l’istituzione burocratica, ma dai contenuti forti dell’istituzione dei quinque libri in ogni parrocchia, in alcuni centri subito dopo il concilio e in altri ai primi del seicento. Né erano sufficienti il devozionismo incentrato sulle reliquie. C’era la necessità di approfondire la dottrina cristiana e di guardare ai vescovi più illuminati dell’orbe cattolica per la “riforma” della pratica della fede da parte delle popolazioni giacenti nell’ignoranza religiosa che a tratti rasentava la superstizione.
Pruneri mette in luce i costumi più aberranti che, secondo il missionario gesuita, erano praticati nell’Isola in ambito religioso: a) i canti delle prefiche ai funerali. Canti che si potevano trasformare in imprecazioni e minacce quando si trattava di morti violente; b) una pratica del lutto più paganeggiante che cristiano che portava a volte le vedove a rinchiudersi in casa e a stare anni a piangere il marito o il figlio defunto; c) le festività nelle chiese campestri, autentico momento comunitario d’incontro tra le popolazioni delle campagne e dei paesi vicini in cui vi erano non solo momenti di condivisione religiosa, ma anche scambi di ogni genere sicuramente matrimoni e alleanze d’altro genere, balli e, all’occorrenza, dormitorio nelle chiese; d) ma il fatto più conturbante era poi il costume del fidanzamento-matrimonio “a sa sardisca” o a “sa pisanisca” che permetteva ai due promessi sposi la coabitazione prima del matrimonio, secondo le consuetudini locali, diversamente da quanto precettava la chiesa che comandava la coabitazione solo dopo il matrimonio religioso coram Deo populusque. Le consuetudini secolari tuttavia non sono facili da sradicare e quindi il missionario si rendeva conto della di sradicare queste usanze.
Queste consuetudini dovevano certo turbare la coscienza dei missionari “continentali”, specie se giovani, per i quali diventava un impegno correggere o eliminare queste consuetudini del popolo sardo, per riportarlo nel binario richiesto dai canoni imposti dalla retta dottrina. Certamente l’assecondare le consuetudini, anticipando la benedizione religiosa durante gli sposali consuetudinari, avrebbe richiesto una genialità religiosa anticipatrice dei tempi.
Il Vassallo con l’andare del tempo i dedicò alle missioni in tutta l’Isola e poco si curò di far relazioni sulle sue missioni e sul loro esito. La bibliografia utilizzata da Pruneri è conspicua, ma c’è da dire che egli ama utilizzare soprattutto le lettere che però non coprono tutta la vita del missionario né òe stesse lettere vengono utilizzate a pieno anche se a nostro avviso andrebbero tutte trascritte e messe a disposizione degli studiosi in quanto interessano non solo la vita del Vassallo, ma anche i riferimenti alle situazioni concrete in cui il missionario venne a trovarsi.
Riteniamo comunque che Pruneri abbia posto delle solide basi per altri studi sul missionario gesuita e che, a nostro avviso, sarebbe interessante indagare sulla documentazione del settecento giacente nei vari archivi ecclesiastici ancora ben lontani dall’essere ordinati, fatte le debite eccezioni.
Sarà nostro impegno quello di procurarci un certo numero di estratti della rivista citata e diffonderli nelle biblioteche e negli archivi per stimolare ulteriormente gli studi su quest’uomo che ha contribuito non poco a risvegliare la fede e a pacificare la Sardegna del suo tempo più di quanto non abbiano fatto le armte dei dragoni del vicerè sabaudo, in primis il Rivarolo.
(II fine)