Mons. Giuseppe Budroni (Castelfranco Emilia,1924-Tempio,1990) di Pietro Meloni
“L’acqua! Sul Monte Limbara a Galaricciu c’è l’acqua!”. Brillavano gli occhi di Don Giuseppe Budroni quando scoprì che nel terreno che il Comune di Tempio stava per donare alla Gioventù di Azione Cattolica di Sassari vi era una sorgente d’acqua e quindi si sarebbe potuto realizzare il sogno di edificare una casetta per i campeggi alle pendici del Giogantino non lontano da Vallicciola. Erano trascorsi otto anni dal primo campo diocesano, che si era svolto nell’anno 1949, e il Limbara era diventato la casa estiva degli Aspiranti e dei Giovani di Azione Cattolica di Sassari. Il sogno era il desiderio di edificare una piccola “casa della gioventù”, mentre fino a quel tempo i ragazzi erano stati ospitati nell’accampamento delle tende accanto ai capannoni della Guardia Forestale.
Sorgenti d’acqua ce n’erano molte sui monti ed erano diventate i “santuari” ai quali si andava in “pellegrinaggio”, marciando per ore e ore e cantando allegramente. La ridente pianura di Vallicciola invece era povera d’acqua e la sua antica fonte pareva vicina a esaurirsi. La presenza dell’acqua alimentò un sogno che non si realizzò mai. Ma quel giorno la scoperta dell’acqua fece sussultare di gioia il grande “sognatore” don Giuseppe Budroni, sacerdote entusiasta e capace di contagiare il suo entusiasmo a tutti i giovani.
“Maestro di fede, di cultura e di vita” è stato Don Giuseppe Budroni, grande educatore della gioventù, che la Chiesa Diocesana di Sassari ricorda nell’anniversario della sua morte. Sono trascorsi ventisei anni dal giorno del suo pellegrinaggio dalla terra al cielo e le persone che hanno avuto la fortuna di incontrarlo possono rinverdire la memoria di un sacerdote che ha segnato la storia della Chiesa di Sassari e della Sardegna.
Giuseppe Budroni era nato a Castelfranco Emilia il 18 luglio 1924, figlio primogenito di Matteo e Maria Luisa Carboni, che dal nativo paese di Bonnanaro erano emigrati in Emilia, dove il babbo prestava servizio nella “Polizia Penitenziaria”. Tornarono in Sardegna con i figli Giuseppe, Costantino e Giovanni, quando nell’isola dell’Asinara il babbo divenne Comandante della Colonia Penale.
Giuseppe, compiuti gli studi nelle Scuole Elementari di Bonnanaro, nell’autunno dell’anno 1935 fu mandato a Sassari per frequentare la Prima Ginnasiale. L’anno successivo tutta la famiglia andò ad abitare in città, perché i ragazzi potessero frequentare la Scuola al Ginnasio e poi al Liceo “Azuni”. “I famosi Budroni”, li chiamava il Preside. Si iscrissero tutti alla Facoltà di “Medicina e Chirurgia”. Frequentarono la fiorente Parrocchia di Santa Caterina e il Circolo Studentesco “Silvio Pellico”, dove nella “Gioventù di Azione Cattolica” Giuseppe divenne “Delegato Aspiranti”.
Nella Parrocchia di San Giuseppe, dove i “Pellicani” andavano alla Messa Sociale, incontrò Dottor Giovanni Masia, che lo invitò a far parte del “Cenacolo di Spiritualità” e lo designò Presidente dell’Associazione GIAC “Sacro Cuore”, fondata nel 1940 dopo l’emigrazione della “Robur et Virtus” al seguito di Don Antonio Piga nella nuova Parrocchia del Sacro Cuore. In quel tempo anch’io facevo parte dell’associazione come aspirante. Giuseppe fu presidente e delegato juniores per gli anni sociali 1946-47 e 1947-48, dopo i quali entrò a Roma in Seminario.
Mons. Giovanni Masia, divenuto Assistente Diocesano della GIAC, lo volle anche al “Centro Diocesano” e nel “Centro Sportivo Italiano”. Nell’estate del 1947 lanciò l’idea del primo campeggio degli aspiranti, che durò cinque giorni nella chiesa di N.S. di Bonaria di Osilo e io vi presi parte all’età di 12 anni. Si andò a piedi da Sassari a Osilo e, saltando tra i muri e tra i campi di cardi rinsecchiti, arrivammo fino alla chiesa, abitata soltanto da mosche e mosconi, e dormivamo per terra nella sagrestia. La quota di partecipazione era di 500 lire, che bastarono soltanto per mangiare pane e formaggio, con l’eccezione di una scorpacciata di susine in una campagna circostante, fino a quando mancarono i viveri prima del quinto giorno e tutti ritornammo a Sassari a piedi o con mezzi di fortuna.
Nel 1948 un nuovo campeggio si svolse a San Pantaleo di Gallura, che raggiungemmo in un camion scoperto, il quale andò in panne più volte lungo il percorso, finché giunse al paese all’ora del tramonto. Soggiornavamo in letti di legno nella Scuola Elementare e ogni giorno andavamo a piedi al mare di La Rena Bianca e ai bellissimi monti, mentre Giuseppe Budroni scandiva la nostra marcia con il suono del fischietto. Il 27 luglio la festa del patrono San Pantaleone fu ravvivata dai campeggisti con le corse nei sacchi, i giochi e le scenette, mentre la popolazione partecipava esultante.
Tornammo a Sassari alla vita dell’Azione Cattolica e Giuseppe ebbe l’idea di disseminare gli studenti della Silvio Pellico come animatori nelle parrocchie della città. Giuseppe Segni andò a San Giuseppe e Antonio Pinna a Sant’Agostino. Un giorno incontrarono alcuni “pizzinni pizzoni” che vagavano attorno alla Stazione Ferroviaria di Sassari, infestando la città con le sassaiole, e Giuseppe ebbe l’idea di salvarli accogliendoli nella sede della Sacro Cuore. Ho ancora negli occhi il fantasioso giovanotto che nel campo dell’associazione, dinanzi al Campo Meridda, con il getto di una pompa d’acqua lavava quei ragazzi sporchi di fango e di “cimagga”, per poi calzarli e vestirli a farli diventare nostri amici.
La vocazione al sacerdozio, che era germogliata nel suo cuore fin dalla prima giovinezza, anche per l’esempio del mite sacerdote di Bonnanaro don Angelo Maria Carta, maturò alla scuola dei suoi “padri spirituali” Dottor Giovanni Masia e Don Enea Selis, che gli consigliavano di portare avanti gli studi universitari, ma poiché rischiava di perdere la vista, decisero di indirizzarlo a Roma al “Collegio Capranica” e alla “Pontificia Facoltà Teologica Gregoriana”. Iniziò gli studi nell’autunno del 1948 e nel Collegio fece conoscenza con giovani che divennero poi famosi, come Camillo Ruini e Claudio Bucciarelli, e il messicano Ivan Ilich che faceva l’infermiere nel Seminario. Un giovane si ammalò e l’infermiere, avendo saputo che Giuseppe era studente di medicina, gli cedette la siringa dicendo:”ubi maior!…”. Quel giovane divenne poi in Messico uno dei fondatori della Psichiatria moderna.
Giuseppe negli studi primeggiava, ottenne il baccalaureato in “Filosofia” nel 1950 e frequentò la “Teologia” fino al III anno, quando nel 1953 l’arcivescovo lo volle ordinare sacerdote. Nel tempo dell’estate ritornava a Sassari e animava la Gioventù Cattolica, patrocinando la grande esperienza dei campeggi diocesani, che si svolsero ogni anno sul Monte Limbara dal 1949. La sua specialità erano i pensieri della “Buona Notte”. Erano i racconti di Bernabé il giocoliere, che non sapendo leggere e scrivere pregava dinanzi al Tabernacolo facendo roteare i suoi birilli colorati, oppure del Curato d’Ars, che un giorno accolse un uomo ateo, grande luminare dell’Università di Parigi, e dopo il colloquio si convertì dicendo: “Credo in Dio perché l’ho visto in un uomo!”. Ma il racconto più commovente era quello di un ragazzo che giocando con il tirelastico aveva perso la vista ad un occhio; Giuseppe terminava dicendo: “Quel ragazzo ero io. E quel giorno ho incontrato Dio”.
Il 28 giugno 1953 fu ordinato sacerdote a Sassari dall’arcivescovo Mons. Arcangelo Mazzotti nella chiesa di San Giuseppe e celebrò la sua Prima Messa il 29 giugno nella chiesa parrocchiale di San Giorgio a Bonnanaro. Divenne Assistente Ecclesiastico della “Silvio Pellico”, con Vice Assistente Don Vittorino Fiori, e poi Assistente Diocesano della GIAC. Chiese all’arcivescovo di nominare “Presidente Diocesano” Antonio Pinna Vistoso e qualche anno dopo affidò la presidenza diocesana a me che avevo appena vent’anni.
Don Giuseppe era nato per fare l’educatore dei ragazzi, ai quali insegnava amabilmente a giocare a ping-pong e a fare la meditazione quotidiana sul Vangelo. Era esigente con i giovani e con se stesso. Ogni anno organizzava gli “Esercizi Spirituali” per gli Animatori, i “Corsi di formazione” per gli Educatori, i “Campi-Scuola” sulla montagna per i ragazzi e al mare per i giovani. Rilevò nel 1958 la Scuola Parificata “Gabriele D’Annunzio” trasformandola in Scuola Media “Silvio Pellico” e istituì anche un Convitto, chiamando come istitutore Bruno Murgia.
Il 29 gennaio 1961 morì Mons. Arcangelo Mazzotti, che aveva guidato la diocesi per trent’anni, e il 21 maggio fece il suo ingresso a Sassari Mons. Agostino Saba, che scelse Don Budroni come suo segretario. La meteora del nuovo vescovo si spense dopo otto mesi il 19 gennaio 1962. L’arcivescovo Mons. Paolo Carta, arrivato a Sassari il 15 aprile dello stesso anno, nella Domenica delle Palme, lo confermò nel ruolo di segretario, scegliendo il fratello Nino come suo medico. E lo nominò canonico della Cattedrale, suscitando nei giovani un po’ di ilarità. Fu anche Cappellano delle Religiose e apprezzato Docente di Religione al Liceo Classico “Azuni”.
Il 19 marzo 1964 il fondatore del “Collegium Mazzotti” Mons. Enea Selis fu ordinato vescovo nella chiesa di San Giuseppe da Mons. Giovanni Pirastru, che lo volle come Ausiliare a Iglesias. Don Budroni fu allora chiamato ad assumere la direzione del Collegium Mazzotti, che a “La Madonnina” di San Leonardo aveva iniziato le attività culturali nell’anno 1963, con il “Congresso Nazionale dei Laureati Cattolici”, i cui maestri erano l’Assistente Centrale Mons. Emilio Guano e Mons. Francesco Spanedda vescovo di Bosa. Nel mese di settembre dello stesso anno si fece la prima “Tre-giorni culturale”, che inaugurava in Sardegna il dialogo tra credenti e non credenti, con la riflessione sull’Enciclica “Pacem in terris” guidata da Padre Ernesto Balducci, Sergio Cotta e Mario Gozzini.
Don Budroni raccolse l’eredità de La Madonnina conducendo al massimo splendore le attività, con le “Settimane Bibliche” guidate dai più valenti biblisti italiani, le “Tre-giorni di cultura e dialogo”, i “Convegni sui problemi attuali del cinema”, i “Corsi di Pedagogia” de “La Scuola” di Brescia, i “Campi Scuola” per le studentesse liceali e per gli universitari, i “Soggiorni Estivi per le famiglie”. E diede ospitalità agli Incontri dei Sindacati e della Società Umanitaria, ai Convegni dei presbiteri, delle religiose e dei laici, oltre ad altre iniziative culturali della Sardegna.
Fondò anche il “Centro Sardo di Ricerche Socio-Religiose”, patrocinando la pubblicazione del nuovissimo annuario della Chiesa Sarda, la cui prima edizione vide la luce nel 1971, ad opera dell’appassionato e documentato Don Piero Marras, con il titolo: “L’organizzazione della Chiesa in Sardegna”. E diede inizio alla serie dei “Quaderni del Collegium Mazzotti” per le ricerche storiche sulla Chiesa in Sardegna.
A La Madonnina si alzava alle prime luci dell’alba e dopo la preghiera e la celebrazione della Messa si dava alla lettura di libri e riviste, dei quotidiani sardi e dei settimanali cattolici della Sardegna, perché voleva documentarsi sulla vita delle diocesi, al fine di creare un osservatorio sulla Chiesa in Sardegna. Si circondò di una miriade di collaboratori e collaboratrici, per l’accoglienza degli ospiti e per la conduzione della casa e della cucina.
Il 29 ottobre 1974 nel viaggio da La Madonnina a Tempio la macchina sulla quale viaggiava ebbe un incidente stradale, nel quale perse la vita la collaboratrice Cicita. Don Giuseppe fu ricoverato nel reparto di Ortopedia dell’Ospedale Civile dal Prof. Francesco Sotgiu. “Sono qui crocifisso!”, mi disse il giorno dopo quando andai a visitarlo.
Dopo un lungo calvario riprese infaticabile il suo servizio pastorale e nel 1975, per mandato dell’arcivescovo, fondò il nuovo “Istituto Scienze Religiose”, del quale fu il primo direttore, e affidò a me la preparazione del programma biblico-teologico. E continuava la sua spola tra La Madonnina e Sassari, dove seguiva il “Marianum” e il “Mazzotti”, insieme ad altre attività apostoliche, e nell’Avvento predicava come canonico nella Cattedrale. Nel 1983 esultò alla notizia della nomina del suo allievo Pietro a vescovo di Ampurias e Tempio.
Nel 1990 si ammalò e fu ricoverato prima a Sassari, e poi a Tempio, dove chiese al fratello medico di conoscere la verità sulla sua malattia, che sentiva avere le caratteristiche di un tumore, ma quando questo fu individuato era ormai in stadio molto avanzato. A Tempio in meno di un mese si aggravò e alle prime luci del 13 maggio morì. Il 14 maggio nella Cattedrale di Sassari la Messa funebre fu preseduta dall’arcivescovo, ed io concelebrai insieme a Mons. Francesco Spanedda. Nella sua commossa omelia Mons.Salvatore Isgrò, che aveva incaricato Don Giuseppe di preparare il documento di preparazione al “Sinodo Diocesano”, confidò: “Don Giuseppe serenamente mi diceva: da me il Signore ha voluto non lo instrumentum laboris ma lo instrumentum doloris”.
“Celebrazione solenne in una cattedrale gremita da tanta gente, giovani, uomini del mondo della cultura, della politica, del sindacato, e partecipata dalla concelebrazione di oltre un centinaio di sacerdoti, non solo sassaresi ma anche delle diocesi di Tempio, Alghero, Bosa, Oristano”, scrisse Don Antonio Musina su “Libertà”. Don Gianni Pinna, che lui aveva indirizzato al “Collegio Capranica” aggiunse che Don Giuseppe possedeva una grande “lucidità nell’analisi storica di noi sacerdoti … con esigenze di sempre nuove aperture ad un mondo in continuo sviluppo”.
L’impegno apostolico di Don Budroni fu “particolarmente illuminato, coerente ed attento ai tempi … sul piano educativo, culturale, civile e sociale, senza frontiere, divisioni e steccati di sorta”, scrisse più tardi Paolo Sanna. Era “un educatore nato sin da laico, ancor più da sacerdote, ardente nell’apostolato, formatore di numerosissimi giovani, confessore e direttore spirituale di diversi fedeli”, ricordò Don Giancarlo Zichi nel ventesimo anniversario della morte. E tutti lo ricordiamo con affetto e gratitudine per il suo ardore apostolico e per la grande novità della sua azione a favore del dialogo tra il cristianesimo e la cultura, nella Chiesa e nella comunità civile della Sardegna.
Relazione di Mons. Pietro Meloni al Convegno per il 26°anniversario della morte
Salone Giovanni Paolo II Sassari 13 maggio 2016
+ Pietro Meloni vescovo
Commenti
Davvero interessante quanto ricorda su Don Budroni!
Ange de Clermont
Ottobre 27th, 2020
Conobbi don Budroni nel 1950, durante un campeggio di due settimane trascorse a Vallicciola, sul Limbara, ospite della GIAC diocesana di Sassari e al quale partecipai nella mia veste di Aspirante di A.C.
Don Budroni, allora chierico, era collaboratore di don (Augusto?) Dedola, assistente spirituale, che divenne poi vicario generale dell’arcidiocesi turritana.
Ricordo don Budroni con grande affetto e stima per la sua modestia e la capacità di legare con le persone, con le quali sapeva intrattenere rapporti cordiali e duraturi. Tant’è che l’amicizia durò nel tempo, avendo avuto occasione d’incontrarlo più volte anche negli anni successivi. Soprattutto quand’era direttore del centro culturale La Madonnina a Santu Lussurgiu (OR), dove ho partecipato a qualche convegno sulla Scuola.
Ho ancora chiara la visione del suo sguardo penetrante, filtrato da occhiali con spesse lenti da miope e accompagnato da un sorriso sempre aperto che metteva in mostra la chiostra dei denti candidi.
Durante l’esperienza del campeggio gallurese, dormivo in un grande capannone insieme ad alcune decine di ragazzi, uno dei quali era Pietro Meloni, poi ordinato sacerdote e quindi vescovo di Tempio-Ampurias e Nuoro. Il capo camerata era Antonio Pinna Vistoso, divenuto poi un valente avvocato del Foro di Sassari. Il direttore del campeggio era Giannetto Dedola che, all’epoca studente universitario, divenne poi primario di Medicina in un ospedale (Nuoro o Genova?).
Sono grato a mons. Meloni, oggi Vescovo emerito, per avermi riportato col ricordo a quegli anni felici e, ovviamente, irripetibili.
Carlo Patatu
Ottobre 27th, 2020