“Eva Mameli Calvino” di Adriana Biffis Ottelli
Per dare un’idea più chiara della studiosa sarda di cui tratta Adriana Biffis Ottelli presentiamo ai lettori una scheda su questa scienziata sassarese offertaci di Raimnda Lobina.
“Sembravo timida ma non lo ero per niente.
Dentro di me sentivo una gran voglia di imparare.
Non avevo ancora idea di cosa avrei fatto,
però sapevo che desideravo scoprire per essere utile.
A chi o a che cosa lo ignoravo,
ma l’idea di diventare qualcuno
mi accompagnò sempre in quegli anni.”
Giuliana Luigia Evelina Mameli, detta Eva, nasce il 12 Febbraio 1886 a Sassari, da una famiglia alto-borghese, quarta di cinque figli: la madre è Maria Maddalena Cubeddu, il padre Giovanni Battista è colonnello dei carabinieri. La famiglia Mameli è molto unita e l’educazione dei figli si basa su principi quali il valore dello studio e il massimo impegno nella vita e nella professione.
Infatti Eva frequenta un liceo pubblico, tradizionalmente “riservato” ai maschi, e in seguito, particolarmente interessata alle scienze, s’iscrive al corso di Matematica presso l’Università di Cagliari, dove si laurea nel 1905. Alla morte del padre, alla quale è particolarmente legata, si trasferisce con la madre a Pavia presso il fratello maggiore, Efisio (1875-1957), uno dei futuri fondatori del Partito Sardo d’Azione, e già docente universitario, con il quale ha condiviso, nell’infanzia, lunghe passeggiate nei boschi e l’interesse per la natura. A Pavia Eva, ricordata come una donna brillante, appassionata, grande lavoratrice, frequenta il Laboratorio crittogamico di Giovanni Briosi (1846-1919), che si occupa di piante “inferiori”, studi ancora abbastanza unici in Italia. Eva si appassiona a tal punto da proseguire le sue ricerche come assistente volontaria anche dopo la laurea in Scienze Naturali nel 1907. Nel 1908 consegue nel frattempo il diploma presso la Scuola di Magistero e, due anni dopo, l’abilitazione per la docenza in Scienze Naturali per le scuole normali dove insegna per due anni. Ottiene la cattedra di Scienze presso la scuola normale di Foggia, chiede e ottiene il distaccamento presso il Laboratorio crittogamico dell’Università di Pavia. Vince però anche due borse di studio di perfezionamento che le permettono di continuare l’attività di ricerca. Nel 1911 le viene infatti assegnato il posto di assistente di Botanica e nel 1915, prima donna in Italia, consegue la libera docenza in questa disciplina. Il suo primo corso universitario ha come titolo La tecnica microscopica applicata allo studio delle piante medicinali e industriali.
La sua fama scientifica oltrepassa i confini nazionali, ma evidentemente non è il suo solo pensiero. Durante gli anni della Prima Guerra Mondiale si attiva infatti come crocerossina e viene più volte decorata.
È l’immediato dopoguerra a metterla di fronte a scelte difficili: ha 34 anni, il suo maestro Briosi è morto e il fratello Efisio è tornato in Sardegna, per insegnare Chimica farmaceutica all’ateneo di Cagliari. La svolta decisiva è rappresentata, nell’aprile del 1920, dall’incontro con Mario Calvino (1875-1951), conosciuto alcuni anni prima grazie ad uno scambio epistolare su questioni di carattere scientifico. Mario è ricordato per il carattere serio e taciturno, e per i molteplici impegni scientifici, educativi e sociali: un “apostolo agricolo sociale”, lo definirà Eva nella sua biografia.
Mario è sanremese di nascita, ma nel 1908 si trasferisce in Messico e poi a Cuba, a Santiago de las Vegas, dove dal 1917 dirige una Stazione Agronomica sperimentale per la produzione di canna da zucchero. Calvino cerca un valido collaboratore di Genetica Vegetale. Senza indugi Eva Mameli accetta sia la sua proposta di matrimonio sia il trasferimento nel nuovo mondo: i due da questo momento iniziano un cammino comune caratterizzato costantemente dalla ricerca scientifica. A Cuba il 15 ottobre 1923 nasce il loro primogenito, Italo Giovanni, seguito da Floriano, nato nel 1927, in Italia. Nel 1925 la coppia ritorna infatti a San Remo, dove si occupa della nascente Stazione sperimentale di floricoltura “Orazio Raimondo”. Portano con loro palme, pompelmi e kiwi, che arrivano in Italia per la prima volta. I coniugi acquistano anche Villa Meridiana, a quei tempi quasi fuori città, il cui ampio giardino viene messo a disposizione della Stazione. Qui Eva ricopre il ruolo d’assistente e vicedirettrice, ma non rinuncia ad una vita professionale autonoma. Nel 1927 infatti vince il concorso per la cattedra di Botanica presso l’Università di Catania e poco dopo presso quella di Cagliari: viene nominata “professore non stabile” e direttrice dell’Orto botanico dell’Università degli Studi.
Dopo due anni però abbandona la carriera universitaria per dedicarsi esclusivamente alla Stazione sperimentale. Durante la seconda Guerra Mondiale, Eva e Mario «amanti delle sfide scientifiche e civili» (cfr. Mameli-Calvino, 2011) mentre i due figli salgono in montagna per combattere nella Resistenza, offrono asilo ai partigiani e nascondono alcuni ebrei, ragione per la quale Mario Calvino trascorre quaranta giorni in prigione ed Eva deve assistere a due “fucilazioni simulate” del marito da parte dei fascisti. Dopo anni caratterizzati da un costante impegno anche nella divulgazione scientifica, nel 1951, alla morte di Mario, la direzione della Stazione passa nelle mani di Eva per otto anni. Sempre coltivando i suoi interessi floristici (è del 1972 il Dizionario etimologico dei nomi generici e specifici delle piante da fiore e ornamentali, opera unica tra i testi di botanica del nostro secolo), Eva, «la maga buona che coltiva gli iris» – come la chiamava il figlio Italo – muore a San Remo il 31 marzo 1978, all’età di 92 anni.
La prima di una lunga serie di pubblicazioni (oltre 200) di Eva Mameli Calvino risale al 1906. Si è occupata, con i suoi scritti, prima di lichenologia, micologia e fisiologia vegetale, poi di genetica applicata alle piante ornamentali, fitopatologia e floricoltura. Nel 1930 fonda assieme al marito la Società italiana amici dei fiori e la rivista «Il Giardino Fiorito», che dirigeranno dal 1931 al 1947. Nell’opera veramente esaustiva a cura di E. Macellari, edita a Perugia nel 2010, Libereso Guglielmi riesce a mettere bene in luce, nella Prefazione, il profilo di questa donna tenace, che ha dovuto lottare molto per affermarsi come scienziata e come accademica e in seguito per difendere la Stazione sperimentale dall’aggressione edilizia che comunque causerà una drastica riduzione della sua estensione. Ha forse dovuto lottare anche con i suoi figli, come dimostrano le parole lapidarie di Italo nel racconto La Strada di San Giovanni (1962): «Che la vita fosse anche spreco, questo mia madre non l’ammetteva: cioè che fosse anche passione. Perciò non usciva mai dal giardino etichettato pianta per pianta, dalla casa tappezzata di buganvillea, dallo studio col microscopio sotto la campana di vetro e gli erbari. Senza incertezze, ordinata, trasformava le passioni in doveri e ne viveva». O ancora sentenzia, con una imminente nostalgia: «Mia madre era una donna molto severa, austera, rigida nelle sue idee tanto sulle piccole che sulle grandi cose […] L’unico modo per un figlio per non essere schiacciato da personalità così forti era opporre un sistema di difese. Il che comporta anche delle perdite: tutto il sapere che potrebbe essere trasmesso dai genitori ai figli viene in parte perduto».
Non troppo tenero con Eva Mameli è anche Libereso Guglielmi, l’uomo dal nome esperanto, giardiniere e naturalista, allievo prediletto di Mario Calvino, quasi un sostituto dei figli che avevano preferito altre professioni. Un gran personaggio, con una barba lunga e un modo di parlare semplice e coinvolgente. Figlio di anarchici, cammina spesso scalzo, scorrazzando nel giardino di villa Meridiana, entra in casa con i piedi inzaccherati di fango, gioca con le bisce e i rospi (come lo ricorda Italo in uno dei primi racconti, Un pomeriggio, Adamo). Eva lo sgrida di continuo e infatti lui la considera una donna severa, raccontandola così, in modo ironico e sferzante, in un’intervista rilasciata a Ippolito Pizzetti: «La madre era un po’ carognetta […] Eva Mameli Calvino, una piccolina [….], con quei bei grandi rotoli di capelli,[..]. Una volta me la sono trovata davanti con tutti i capelli sciolti e mi sono spaventato: sembrava un fantasma!» Anche se poi il nostro dichiara : «Era una grande botanica […] una delle potenti, però non era proprio botanica pura, faceva più la ricercatrice, era più biologa, una delle grandi biologhe italiane (…)».
Eppure appare chiaro quanto il figlio Italo, fra i maggiori scrittori italiani del ‘900 abbia ereditato da una madre così. Come viene ricordato nel volume AlbumCalvino: «Di lei [Eva Mameli] si ricorda che parlava un italiano di grande precisione ed esattezza, immune dall’approssimazione linguistica, grammaticale e sintattica che fatalmente accompagna la comunicazione orale: e anche questo è un dettaglio importante per spiegare l’economicità espressiva del figlio, il suo rifiuto di quanto è inesatto, opaco, sfuocato».
Negli ultimi anni Eva Mameli ottiene i giusti riconoscimenti e molti sono gli studi e le pubblicazioni che valorizzano la vita, le scoperte e le ricerche di questa donna che «dal giardino, e più complessivamente dalle consuetudini, uscì spesso, e per lidi lontani». Tessitrice di competenze attraverso gli oceani, scienziata rigorosa quanto attenta agli aspetti sociali del proprio lavoro, si prendeva però il tempo per dire a una bambina: «Vieni, ti faccio vedere una chimera…», anche se si sottovaluta quanto la fama della riviera dei fiori di Sanremo in particolare debba al suo lavoro. Il 17 Marzo 1972, confidava in una lettera a Olga Resnevic – Signorelli : «Da più di due anni sto imbastendo un lavoro di etimologia botanica e ne avrò per altrettanti. Siccome ho compiuto gli 84 faccio più conto delle mie scartoffie che dei pesanti pasticci televisivi. Soltanto ciò che riguarda figli e nipotini mi attira. Ho 4 gioielli tra i 5 e i 12 anni tutti buoni e belli […]» (di Raimonda Lobina)
Articolo di Adriama Bffis Ottelli
“Non è la voce di mia madre che ritorna,in queste pagine risuonanti della rumorosa presenza paterna, ma un suo dominio silenzioso: la sua figura si affaccia fra queste righe poi subito si ritrae, resta nel margine. Che la vita fosse anche spreco, questo mia madre non lo ammetteva…perciò non usciva mai dal giardino etichettato pianta per pianta, dalla casa tappezzata da bougainvillea, dallo studio col microscopio sotto la campana di vetro e gli erbari. Senza incertezze, ordinata, trasformava le passioni in doveri e ne viveva” (Italo Calvino)
Fra le tante persone illustri che hanno scritto pagine di storia sarda in tutti i campi, di cui dovremmo essere orgogliosi, credo che uno dei primati spetti ad una donna dimenticata e cancellata dalla memoria collettiva: Eva Mameli Calvino.
E’ considerata una delle madri della Scienza da tutto il mondo scientifico.
L’epoca in cui Eva nacque, la fine dell’Ottocento, non solo a Sassari, sua città natale, non era favorevole alle donne intellettualmente dotate che avrebbero voluto seguire una strada diversa da quella che la società di allora , legata a regole arcaiche e troppo spesso bigotte e che non dovevano essere infrante, imponeva alle ragazze.
Gli studi delle bambine finivano, se tutto andava bene, con la quinta elementare.
“La scuola, come voleva la riforma scolastica di Michele Coppino del 1877, doveva far sì che le masse traessero conforto a rimanere nelle condizioni sortite dalla natura anziché incentivo ad abbandonarla, e che lo scopo della istruzione elementare doveva essere quello di formare una popolazione, per quanto possibile istruita ma principalmente onesta, operosa, utile alla famiglia, e devota alla Patria e al Re”.
Quindi, finita l’elementare, le bambine dovevano pensare che il loro futuro fosse il matrimonio e ad esso dovevano prepararsi.
L’appartenenza ad una famiglia benestante borghese consentiva un diploma di maestra e l’Università in via eccezionale nella facoltà di lettere.
Eva ebbe la fortuna di appartenere ad una famiglia benestante, repubblicana, Mazziniana, anticonformista, per cui le fu facile seguire quella che era la sua indole: studiare e orientare i suoi studi verso quel mondo dal quale era affascinata: il mondo naturale e la botanica.
La Sardegna era allora una terra incontaminata, dove i ritmi della vita erano scanditi dall’alternarsi delle stagioni. I profumi della ricca vegetazione si trasferivano nella cucina materna in cui il mirto, il rosmarino, il ginepro e il miele davano ai cibi semplici, che la madre cucinava sotto gli occhi attenti di Eva, sapore unico e forte.
E poi quelle passeggiate con il fratello Efisio ad ammirare nei boschi le querce con il loro tronco contorto, le siepi di rosa canina, il giallo oro delle ginestre, gli iris selvatici e quei massi colorati di rosso, di giallo e di marrone che contraddistinguono quel meraviglioso paesaggio sardo che ha affascinato da sempre visitatori e scienziati che hanno percorso questa terra sin da tempi lontani.
Eva, quelle macchie colorate, i licheni, le chiamava “meravigliose creature” e diverranno poi oggetto dei suoi studi futuri. La bambina Eva insegue un sogno, una chimera, dai contorni non ben definiti, ma lo fa con caparbietà aiutata in questo dai suoi genitori e dal fratello Efisio. Ma per riuscire bisognava infrangere tutti i tabù: l’iscrizione al Liceo Scientifico e gli studi Universitari a Cagliari lontana dalla sua famiglia e dalla sua Sassari.
A Cagliari passa ore a studiare le piante dell’orto botanico aiutata in questo da un anziano tecnico “Gavino” e dal direttore Belli che contribuiranno a far si che il seme della botanica iniziasse a germogliare e a spingere Eva, dopo la laurea in matematica a trasferirsi a Pavia dal fratello Efisio illustre chimico, e consegue la laurea in botanica diventando poi la prima docente universitaria in Italia all’età di 29 anni.
Evelina, come le diceva la sorella Pina, è una vera sarda, fiera e indomabile e quando l’Italia entra in guerra il 24 maggio 1915 Eva non ha tentennamenti: vuole essere partecipe e mettersi a disposizione della “Madre Patria” con grande senso di responsabilità. Prende il diploma di infermiera della Croce Rossa Italiana ed assiste nell’Ospedale Ghislieri di Pavia i militari che avevano contratto il tifo nelle trincee.
La sua dedizione e l’impegno profuso le fecero ottenere due medaglie, una d’argento e una di bronzo ed un attestato di benemerenza.
I suoi studi sulle malattie delle piante dovute a funghi e virus vengono utilizzati in agricoltura per impedire il diffondersi di esse nelle piante sane. Dietro una apparente austerità, intransigenza e rigidezza si nasconde una giovane donna che sa lasciare libero sfogo alle emozioni, quando progetta la sua nuova vita e accetta di seguire a Cuba Mario Calvino e sulla nave che attraversa l’Oceano ripensa ancora alla sua Sardegna, ai suoi grandi spazi e alla natura incontaminata. “Per otto giorni da solo, ebbi modo di ripensare alla vita che mi ero lasciata alle spalle: alle difficoltà incontrate e alla mia volontà di superarle, alle ostilità che in alcune occasioni aveva dimostrato la comunità scientifica nei miei confronti. Lasciare libero sfogo alle emozioni, ma anche progettare la mia vita, questi furono i pensieri e i sentimenti in cui trascorsi quei giorni tra mare e cielo. Giorni di orizzonti sconfinati, senza limiti davanti ad uno spettacolo sublime, davanti al mare che cambiava di colore a seconda delle ore del giorno e che tanto ricordava quello della mia Sardegna.”
“Fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e conoscenza”
Dante ci fa capire, tramite le parole di Ulisse, l’importanza della conoscenza che non ha età né limiti. Per questo immenso desiderio di conoscenza nell’immaginario dell’uomo moderno la figura di Ulisse è il simbolo della ricerca del sapere e di colui che instancabilmente cerca nuove strade e si prefigge traguardi arditi verso ciò che è ancora sconosciuto.
Ciascuno di noi è chiamato con le sue qualità ad assolvere al suo proprio compito: saper imparare, porsi obiettivi, investire sul capitale intellettuale, trasmettere ad altri la propria conoscenza, incoraggiare e formare.
Ed ecco che Eva può essere paragonata ad un moderno Ulisse, al femminile, che attraversa l’Oceano con il suo prezioso bagaglio di “conoscenza” e lo mette al servizio delle comunità locali che La ripagano appendendo il suo ritratto il giorno della festa della donna , nella sala del Palazzo Comunale all’Avana. “La consideriamo una di noi, perché non aveva voluto essere straniera e bianca” .
Eva, a Cuba si era resa conto ben presto del fatto che le ragazze cubane non sapevano leggere e scrivere e quindi si preoccupò della loro emancipazione esortandole in tutti i modi ad intraprendere gli studi ad interessarsi alla cultura diventando ben presto un esempio da seguire.
Eva non era quello che oggi si chiama “cervello in fuga”. Era un cervello che voleva conoscere, sperimentare, andare in altre terre che le consentissero di saziare quella fame di sapere che ha spinto, in tutte le epoche , grandi uomini a lasciare la loro amata terra di origine con la speranza di tornarvi, per poi mettere a disposizione della loro Patria, ciò che hanno scoperto altrove.
Il libro “Fiori in famiglia” di Elena Accati ci racconta, attraverso l’intervista che l’Autrice fece a Eva alcuni anni prima della sua morte, la storia straordinaria di una donna in cui si sono coniugate in modo mirabile le doti intellettuali, umane, di ricercatrice, di moglie e di madre e soprattutto di una donna moderna che vedeva la ricerca al servizio della comunità e il bene degli individui presenti e futuri.
Di Lei dice Elena Macellari: “Una maga buona che coltiva gli iris. Tessitrice di competenze attraverso gli Oceani, scienziata rigorosa quanto attenta agli aspetti sociali del proprio lavoro, si prendeva il tempo per dire ad una bambina “Vieni, ti faccio vedere una chimera”.
Erano le CHIMERE quegli stupendi ibridi di iris, tulipani, rose e garofani da Lei prodotti che hanno reso la floricoltura di Sanremo famosa in tutto il mondoxxx
Adriana Biffis Ottelli
Iglesias, 04.07.2020
Commenti
Da studioso delle istituzioni educative di Sassari non concordo con quanto afferma sull’educazione della donna sarda sia a Cagliari come a Sassari dove dall’arrivo delle Figlie della Carità nel 1856 l’Orfanotrofio delle Figlie di Maria diventa una fucina di formazione. Ben 1500 ragazze di ogni ordine di età e di scuola frequentano quell’istituto gestito da laici, ma diretto dalle Figli della Carità tra le quali la Beata Nicoli formatasi a Pavia come maestra. Credo che il mio blog offra opportunità a chi vuole approfondire qualcosa sulla storia educativa della donna inSardegna. Si veda in particolare Protagoniste Cattoliche di azione sociale in Sardegna tra Otto e Novecento. Brevi profili di 44 donne. Dobbiamo andarci piano se non siamo specialisti in un settore e chiedere lumi.
Ange de Clermont
Ottobre 17th, 2020