La salvaguardia della natura. Una riflessione sui fondamenti biblici e patristici di Pietro Meloni
Il 28 luglio 1983 la città di Tempio Pausania fu circondata dal fuoco e nella collina di Curraggia persero la vita otto uomini che si erano prodigati a spegnere il terribile incendio. Qualche tempo prima io ero stato nominato dal Papa vescovo della Diocesi di Ampurias e Tempio. Il mio primo incontro con la nuova comunità fu la benedizione dei morti nel fuoco e l’abbraccio affettuoso ai loro familiari. Nei nove anni della mia presenza a Tempio vidi morire tragicamente nel fuoco altre ventuno persone. Altri uomini morirono bruciati nel tempo del mio servizio pastorale nella Diocesi di Nuoro. E moltissimi sono morti nella lunga storia degli incendi in Sardegna. (Pietro Meloni Vescvo emerito di Tempio Ampurias e di Nuoro).
“La tragedia del fuoco ha segnato la mia missione episcopale. La preghiera e l’affetto mi uniranno per sempre ai “miei” morti bruciati. Oggi desidero offrire alla loro memoria questo articolo dedicato alla riflessione sulla “Salvaguardia della natura”. E rinnovo il ricordo con le parole del messaggio che rivolsi alla gente il 28 luglio 1984, nel primo anniversario dell’incendio di Tempio.
La tragedia di Curraggia è una delle pagine più dolorose della nostra storia: la fede nel Signore risorto ci può guidare a trasformarla in un tempo di risurrezione per il nostro popolo. Come stanno rifiorendo i germogli dei lecci e delle sughere, così potrà rifiorire la concordia nei nostri cuori, che talvolta appaiono inariditi dall’egoismo. La nostra popolazione ha ereditato doni meravigliosi di umanità e tradizioni esaltanti di religiosità, che possono essere valorizzati al massimo grado per edificare quell’armonia sociale che è cammino gioioso verso l’unità. Dobbiamo darci la mano per ascendere in cordata alle vette dell’autentico progresso della comunità.
Quando i cuori umani vibrano all’unisono con quelli dei fratelli, gli uomini sono capaci di gustare la bellezza dell’universo e di elevare un inno al Creatore, che ha preparato per i suoi figli questa splendida casa che è la terra: “Laudato sii, mi’ Signore, per sora nostra madre Terra”, potremo gridare con San Francesco, amico della natura e amico dell’uomo. La madre terra, che ci ha generato alla vita, attende la nostra riconoscenza di figli. Chi invece annienta la natura calpesta sua madre e in lei distrugge l’amorosa convivenza della famiglia. Lo splendore del creato è la materia prima dello sviluppo dell’umanità.
Lo sguardo amabile di Dio Creatore ci domanda di amare le nostre montagne, i nostri boschi, le nostre rocce, il nostro mare, le nostre fonti, di custodire tutti i germogli del nostro paradiso verdeggiante. Insegniamo ai nostri figli, nella famiglia e nella scuola, a voler bene agli alberi per voler bene agli uomini. Guidiamo la mano dei nostri bambini e dei nostri giovani a piantare un seme, a coltivare una pianta, a desiderare una terra pulita affinché sia limpida e onesta l’anima dei suoi abitanti. E impariamo dalle aspirazioni ardenti della nostra gioventù a credere nella possibilità di un mondo più giusto e più umano. Il fuoco inesorabile che, seminato dal cuore crudele di uomini dissennati, ha soffocato la vita dei nostri fratelli, serva a purificare i cuori da ogni focolaio di ingiustizia, e il suo ricordo risvegli in noi l’ardore della concordia e dell’amore. Allora anche questa celebrazione non passerà invano, se ci ridesterà all’impegno di costruire la “civiltà dell’amore”. Il pane e il vino di questa Eucaristia sono il frutto della terra attraverso il quale Cristo si fa presente per invitare la famiglia umana a vivere nell’unità: “Dio benedirà il tuo pane”, assicura la voce della Scrittura (Esodo 23,25).
Dio affida il mondo alle mani dell’uomo affinché egli, rispettando il disegno dell’architetto celeste, viva in esso il respiro della libertà e ricolmi i fratelli con i doni della sua creatività: “Il cielo è il cielo dell’ Eterno, ma la terra l’ha data ai figli degli uomini” (Salmo 113,16). Dio ha consegnato la terra agli uomini per offrir loro un futuro: gli uomini sono chiamati ad abbellire la terra per consegnarla alle generazioni dei figli, affidando alle loro mani un futuro ancora più felice.
Chi onora la natura è testimone della bellezza di Dio. Chi adorna il creato collabora al rinnovamento morale dell’umanità. Chi si dedica a illuminare lo splendore dell’universo, fa persistere nella storia umana la memoria dell’amore creativo di Dio. Fiat lux! Sia fatta la luce nella vita degli uomini. “L’uomo, dice una massima biblica, dovrà render conto di tutto ciò che i suoi occhi hanno visto e di cui egli non ha goduto” (Jerushalmi). Accogliamo con gioia la voce di Dio, il quale invita l’uomo a immergersi nella musica dell’universo per divenire strumento dell’armonia fra tutti gli uomini.”
La salvaguardia della natura. Una riflessione sui fondamenti biblici e patristici.
L’uomo dovrà render conto
di tutto ciò che i suoi occhi
hanno visto
e di cui non ha goduto
Talmud
Il giardino preparato da Dio per l’uomo e la donna che aveva creato “a sua immagine e somiglianza” era un paradiso di serenità e letizia, nel quale il Creatore “passeggiava” accanto alle sue creature mentre muovevano i primi passi nel cammino della vita (1). Il giardino era il simbolo di tutto il mondo, affidato da Dio alle mani dell’uomo affinché ne esplorasse le nascenti energie e le valorizzasse orientandole al bene dell’umanità. Quando l’uomo voltò le spalle al suo Creatore per avventurarsi con le proprie forze nell’immensità del cosmo si trovò ad attraversare da solo il cuore della terra. Ed ebbe paura, perché non conosceva l’origine e non prevedeva il futuro del grande regno della natura.
La storia dell’umanità nel suo rapporto primordiale con l’universo è un cammino che oscilla tra il “fascinans” e il “tremendum”. Il mito e la poesia descrivono l’uomo che si sente attratto dall’incanto di un ambiente affascinante, ma vive nel timore di essere schiacciato da una natura ostile e onnipotente. La filosofia concepisce la natura animata e vivificata da un fuoco spirituale, che orienta gli esseri verso un fine e guida l’uomo ad un’etica di vita.
La Bibbia celebra la bellezza del progetto di Dio e mitiga il timore dell’uomo con l’annunzio che il Creatore diventerà Redentore dell’umanità e scenderà un giorno sulla terra per “passeggiare” nuovamente accanto alle sue creature. E le chiamerà alla dignità di suoi figli, annientando il male nel cuore dell’uomo e nell’universo. Se l’uomo si lascerà prendere per mano dall’ Autore della Vita, scoprirà che Dio è Padre e potrà camminare serenamente nelle profondità del mistero. La natura sarà per lui una madre amorevole ed egli sentirà la gioia di amarla e rispettarla come un figlio. Il “microcosmo”, che è l’uomo, si sentirà in armonia con il “macrocosmo” che è l’universo.
La parola della Sacra Scrittura illuminata dai Padri della Chiesa mostra che è l’uomo la vera armonia del mondo (2). Soltanto l’uomo può proclamare nel suo atto di fede che Dio è ”padre onnipotente, creatore del cielo e della terra”. L’uomo è il senso del mondo. Il suo amore alla natura è tutt’uno con l’amore a Dio e con l’amore verso gli uomini. La natura è frutto della parola di Dio (3). Il cosmo è epifania di Dio (4).
- LA QUESTIONE AMBIENTALE
Nel nostro tempo è nata una riflessione nuova sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente, suscitata dalla constatazione che il cosmo rischia l’inquinamento, ed anche il disfacimento, ad opera dell’uomo. Inquietante risuonò la profezia di Albert Schweitzer, Premio Nobel per la Pace nel 1952: “Andrà a finire che l’uomo distruggerà la terra”.
L’aspirazione ad uno sviluppo umano equilibrato diede origine a diverse definizioni del problema dell’ambiente: ecologia, questione ambientale, salvaguardia della natura, tutela dell’ambiente, responsabilità verso il creato (5). L’ecologia è una “meditazione sulla casa”: oikos=casa / logos=pensiero. La casa è il creato, la terra, l’universo. E’ un “valore”. La fede lo riconosce anche come un “dono”. La famiglia umana ha la responsabilità di custodire la sua “casa” e di renderla abitabile per le generazioni future. Per questo in ogni tempo riaffiora il grande interrogativo: “Quale dev’essere il rapporto tra l’uomo e l’ambiente?”. Il Papa Giovanni Paolo II fin dai primi giorni del suo pontificato lo ha riproposto all’umanità nel linguaggio biblico: “Il mondo della nuova epoca, il mondo dei voli cosmici, il mondo delle conquiste scientifiche e tecnologiche mai prima raggiunte, non è nello stesso tempo il mondo che geme e soffre e con ansia attende la rivelazione dei figli di Dio?” (6).
Il Concilio Ecumenico Vaticano II nella Gaudium et spes aveva offerto all’umanità la risposta biblica e cristiana: “L’uomo si rende conto che dipende da lui orientare bene le forze da lui stesso suscitate, le quali possono schiacciarlo oppure essere al suo servizio … L’uomo infatti, creato a immagine di Dio, ha ricevuto il mandato di sottomettere a sé la terra con tutte le realtà in essa contenute per governare il mondo nella giustizia e nella santità, e di ricondurre a Dio se stesso e l’intero universo riconoscendo in Lui il Creatore di tutte le cose” (7). Il Papa, dopo il Grande Giubileo dell’Anno 2000, rinnova drammaticamente il suo interrogativo mostrando che la “salvaguardia della natura” è un dovere sociale strettamente unito alla “realizzazione della giustizia” e alla “custodia della pace”: “E come poi tenerci in disparte di fronte alle prospettive di un dissesto ecologico, che rende inospitali e nemiche dell’uomo vaste aree del pianeta? O rispetto ai problemi della pace, spesso minacciata con l’incubo di guerre catastrofiche? O di fronte al vilipendio dei diritti umani fondamentali?” (8).
L’amore alla natura è una pagina di storia della fede. L’uso delle risorse della materia interpella l’uomo nel suo rapporto con Dio. E nel suo rapporto con il prossimo. E’ un problema fondamentalmente “morale”, che mostra il legame tra le leggi fisiche e le leggi umane. E’ una strada che può condurre alla pace. Il Papa per la “Giornata della Pace” del 1° gennaio 1990 mostrò che la pace è minacciata “anche dalla mancanza del dovuto rispetto per la natura, dal disordinato sfruttamento delle risorse e dal progressivo deterioramento della qualità della vita” (9). E rivolse a tutti gli uomini la sua esortazione: “Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato!”.
Io vorrei proporre qualche spunto di riflessione sul mondo antico, nel quale il rispetto per la natura era spontaneo e universale. Le religioni pre-cristiane consideravano la Natura una divinità da venerare nella sua sacralità. Sant’ Ambrogio sintetizza il pensiero classico dicendo che i Greci e i Romani hanno “congiunto l’eternità dell’opera con l’eternità di Dio onnipotente, così da tributare onori divini al cielo, alla terra, al mare”; per questo “alcuni chiamano dio il mondo stesso, poiché sembra a loro giudizio che vi sia insita un’intelligenza divina” (10). Il patrologo Antonio Quacquarelli dice che “l’ecologia non è una scienza nata ai nostri giorni e quindi senza storia. Essa affonda le radici nelle origini del mondo” (11).
Il pensiero filosofico greco, che nasceva dalla capacità di meravigliarsi dinanzi al cosmo, è concorde nel raccomandare all’uomo di “vivere obbediente alla natura” (12). Il poeta latino Virgilio dipinge l’universo che viene alla luce da una scintilla divina: “Un intimo spirito avviva il cielo e la terra e le acque/ e il sole e la luna splendente, una mente/ infusa per gli arti tutto agita il mondo/ e al grande corpo s’unisce. Da questo miscuglio/ proviene degli uomini il nascere e l’essere/ e così delle bestie, così degli uccelli e dei mostri/ che sotto le lucide acque il mare produce. / In quei semi è un igneo vapore, una celeste origine…” (13). Il “Corano” invita l’uomo a riconoscere con trepidazione e gratitudine la sublimità di Dio: “E’ lui che fa discendere l’acqua dal cielo, con cui fa crescere germogli di ogni genere e da essi piante verdi e piante che portano numerosi granelli, e palme da cui scendono a grappoli i datteri, e vigne e olivi e melograni, simili fra loro ma anche diversi. Guardate i loro frutti quando sono maturi: in essi ci sono dei segni per chi vuol capire” (14). Il “Cantico delle Creature” di San Francesco è il vertice della lode a Dio per le meraviglie dell’universo: “Laudato sii mi’ Signore, cum tucte le tue creature” (15).
2 L’ AMORE ALLA NATURA NELLA STORIA BIBLICA
La Sacra Scrittura afferma che “il cielo e la terra” sono stati creati da Dio per la felicità dell’uomo. Il Verbo di Dio era accanto al Padre nel momento della sua azione creatrice. La creazione del mondo era il preludio all’incarnazione del Verbo: il Libro della Genesi racconta che Dio “in principio creò il cielo e la terra” (Gen 1,1) e il Vangelo di Giovanni mostra che “in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv 1,1). Il Verbo è la “sapienza di Dio”, che ha dato agli esseri la forma e la sostanza, comunicando all’uomo il soffio della vita. E “il Verbo si fece carne” per restituire l’amore di Dio all’umanità e al mondo la bellezza. L’incarnazione non trasforma la natura della terra, delle piante e degli animali, ma restituisce a tutti gli esseri l’ordine e l’equilibrio, che raggiungerà la sua pienezza nella risurrezione. Dante Alighieri canterà l’ordine del cosmo vedendovi il riflesso dell’immagine di Dio: “le cose tutte quante/ hanno ordine tra loro, e questo è forma/ che l’universo a Dio fa simigliante” (Parad. I,103-105).
La Bibbia mostra che non potrebbe esistere l’uomo senza Dio e che non avrebbe scopo il mondo senza l’uomo: “Il cielo è il cielo dell’ Eterno, ma la terra l’ha affidata ai figli degli uomini” (Sal 113,16). Il mondo esige la presenza dell’uomo per poter “sviluppare in un piano superiore la ricchezza immensa della sua energia” (16). “La comparsa dell’uomo nel mondo rappresenta come una seconda creazione del mondo, in quanto per mezzo di essa il potenziale dinamico del mondo riceve una nuova e illimitata capacità di espansione verso una sfera superiore” (17). Il mondo aspira ad essere umanizzato dall’uomo e l’uomo può umanizzarsi solo attraverso il mondo. Questa trasformazione del mondo è per l’uomo il compimento dell’azione creatrice di Dio e insieme il cammino del suo autentico progresso.
E’ questo il senso del racconto della creazione: “Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio li creò, maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, trasformatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra” (Gen 1,27-28) (18). Il “soffio vitale” comunicato da Dio all’uomo è il dono della vita. E’ un tesoro che ha l’energia del respiro divino e la fragilità terrestre di un soffio (19). E’ una benedizione che comunica il germe della potenza di Dio: il Creatore, presentando all’uomo tutti gli esseri viventi “per vedere come li avrebbe chiamati”, stabilì che “in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome” (Gen 2,19).
La “sapienza” comunicata da Dio all’uomo dona a lui la potestà di dare il nome alle cose, cioè di padroneggiare tutta la loro potenzialità. La “scienza” può guidare l’uomo a scoprire le tracce di Dio nella natura, la “tecnica” può aiutarlo a dominare la terra, la “cultura” che diviene “sapienza” gli dà la chiave per orientare il mondo al suo fine. Nella Bibbia l’emblema della sapienza divina per gli uomini di tutti i tempi è Salomone: “La sapienza di Salomone superò la saggezza di tutti gli orientali e tutta la saggezza dell’ Egitto … Salomone pronunziò 3000 proverbi, le sue poesie furono 1500. Egli parlò delle piante, dal cedro del Libano fino all’issopo che sbuca dal muro; parlò anche dei quadrupedi, degli uccelli, dei rettili e dei pesci” (1 Re 5,10-14). La sapienza implorata da Dio nella preghiera può accordare ad ogni uomo, come a Salomone, la vera conoscenza: “Egli mi ha concesso la conoscenza infallibile delle cose, per comprender la struttura del mondo e la forza degli elementi, il principio, la fine e il mezzo dei tempi, l’alternarsi dei solstizi e il susseguirsi delle stagioni, il ciclo degli anni e la posizione degli astri, la natura degli animali e l’istinto delle fiere, i poteri degli spiriti e i ragionamenti degli uomini, la varietà delle piante e le proprietà delle radici” (Sap 7,17-20).
Dio è l’artigiano che costruisce la casa per l’uomo e poi si ferma nel shabbat a contemplare la sua opera: “Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto” (Gen2,3). La creazione è la prima alleanza tra Dio e l’uomo, il primo atto della storia della salvezza. Il “sabato” è la “firma di Dio” che guida l’uomo a comprendere la bellezza della creazione: “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo … il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro” (Es 20, 8-11). L’uomo che nella lode riconoscente restituisce al Creatore il suo “giorno” diventa sempre più simile a Dio. E diviene padrone del “tempo”, che nello scorrere del lavoro quotidiano può perdere il suo significato e l’orientamento al suo fine. Il tempo è la storia dell’uomo, artigiano anch’egli nella sua somiglianza con Dio, al quale è affidato il compito di “custodire” e “coltivare” la terra (20).
“La terra è del Signore” (Es 9,24). Nel paradiso terrestre, quando il germe del male inquinò il cuore dell’uomo ed egli non riuscì più a vedere la bellezza di Dio, anche la terra perdette la sua bellezza. Ma quando la “terra” stava per essere distrutta, la purificazione del “diluvio” divenne annunzio di una nuova alleanza tra Dio e l’uomo, che avrebbe donato nuova vitalità anche alla natura custodendo gli animali nell’arca: “Io stabilisco con te la mia alleanza. Tu entrerai nell’arca e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli. Degli esseri viventi, di ogni carne, introdurrai nell’arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te” (Gen 6,18-19). L’ ”arcobaleno” della riconciliazione tra il cielo e la terra era immagine della nuova benedizione di Dio: “Non maledirò più la terra a causa dell’uomo … e non colpirò più ogni essere vivente … io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca” (Gen 8,21 e 9,9-10).
L’alleanza fu stipulata emblematicamente con Abramo, l’uomo obbediente a Dio. Egli, guidato dalla sapienza, contemplava il firmamento del cielo per ascoltare la voce del Creatore: “Guarda il cielo e conta le stelle, se sei capace di contarle. Tale sarà la tua discendenza!” (Gen 15,5). Abramo e tutti i patriarchi, guidati da Dio nel cammino della missione, portavano sempre con sé, insieme ai familiari, la carovana degli animali; ed anche Mosè e gli Israeliti condussero nel viaggio dell’ Esodo “greggi e armenti in gran numero” (Es 12,38).
Il mitico Giobbe, che era “il più grande fra tutti i figli dell’ Oriente”, aveva sette figli e tre figlie, e inoltre possedeva “settemila pecore e tremila cammelli, cinquecento paia di buoi e cinquecento asine” (Gb 1,2-3). La “parabola” di Giobbe, ricca di grande significato riguardo al mistero del dolore, guida alla contemplazione di Dio nel capolavoro del creato. La vera intelligenza è riconoscere la presenza del Creatore nelle meraviglie della natura. Anche l’arte di esplorare le miniere d’argento e d’oro, e portare alla luce quel che è nascosto nel cuore della terra, può accrescere la sapienza dell’uomo se egli riconosce che la sorgente è nelle profondità di Dio: “L’uomo sconvolge le montagne, scava gallerie nelle rocce, posa l’occhio su quel che è prezioso, scandaglia il fondo dei fiumi e quel che vi è nascosto porta alla luce. Ma la sapienza da dove si trae? E il luogo dell’intelligenza dov’è? L’uomo non ne conosce la via, essa non si trova sulla terra dei viventi” (Gb 28,9-13).
Dio scruta il cuore di Giobbe e lo guida ad aprire il libro della natura: “Dio è così grande che noi non lo comprendiamo … Egli attrae in alto le gocce dell’acqua e scioglie in pioggia i suoi vapori, che le nuvole riversano sull’uomo in grande quantità … Il lampo si diffonde sotto tutto il cielo e il suo bagliore giunge ai lembi della terra … Egli dice alla neve: Cadi sulla terra!… Al soffio di Dio si forma il ghiaccio e la distesa dell’acqua si congela … Porgi l’orecchio a questo, Giobbe, sofférmati e considera le meraviglie di Dio” (Gb 36,26-37,14).
Giobbe contempla la bellezza del creato lasciandosi interpellare dalle domande del Creatore: “Hai tu forse stabilito con Lui il firmamento?… Dov’eri tu quando io ponevo le fondamenta della terra?… Dove sono fissate le sue basi, o chi ha posto la sua pietra angolare mentre gioivano in coro le stelle del mattino?… Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando erompeva uscendo dal grembo materno?… Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell’abisso tu hai passeggiato?… Per quale via si va dove abita la luce e dove hanno dimora le tenebre?… Per quali vie si espande la luce e si diffonde il vento d’ Oriente sulla terra?… Ha forse un padre la pioggia? Chi mette al mondo le gocce della rugiada?… Puoi tu annodare i legami delle Pleiadi o sciogliere i vincoli di Orione?… Conosci tu le leggi del cielo?…” (Gb 37,18 e 38,4-33). Egli passa in rassegna il mondo degli animali: l’ibis, il gallo, la leonessa con i leoncelli, il corvo, le camozze, l’onagro, il bufalo, lo struzzo, la cicogna, il cavallo, lo sparviero, l’aquila, l’ippopotamo (Gb 38,36-40,24). E sa che nelle profondità del mare abita il terribile drago marino, simbolo del male (Gb 40-25-41,26). Giobbe ascolta la voce della natura e, riconoscendo la presenza divina in tutte le creature, grida a Dio: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono” (Gb 42,5).
L’uomo “sapiente” – dice il Libro del Qoelet – vede la luce del Creatore nello splendore della natura, semina il seme nella terra e obbedisce a Dio fin dalla giovinezza: “La mattina semina il tuo seme e la sera non dar riposo alle tue mani … Dolce è la luce e agli occhi è piacevole vedere il sole … Sta’ lieto, o giovane, nella tua giovinezza e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù. Segui pure le vie del tuo cuore e i desideri dei tuoi occhi. Sappi però che su tutto questo Dio ti convocherà in giudizio” (Qoel 11,6-9). La voce dei Salmi invita tutta l’umanità a inneggiare alla sapienza di Dio: “Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con sapienza, la terra è piena delle tue creature” (Sal 103,24) (21).
La natura è amica dell’uomo se l’uomo è amico di Dio. Tutti i profeti mostrano che il creato gioisce se il popolo è fedele a Dio e piange se l’uomo si allontana da lui. Nella parola di Osea risuona la voce di Dio: “Ascoltate!… Nel paese non c’è sincerità, né amore del prossimo, né conoscenza di Dio … Per questo è in lutto il paese, e chiunque vi abita langue insieme con gli animali della terra e con gli uccelli del cielo, perfino i pesci del mare periranno” (Os 4,1-3). Ed anche Gioele dipinge la tristezza della natura, provocata dall’infedeltà del popolo: “Piange la terra perché il grano è devastato, è venuto a mancare il vino novello, è esaurito il succo dell’olivo. Affliggetevi, contadini, alzate lamenti, vignaioli, per il grano e per l’orzo, perché il raccolto dei campi è perduto. La vite è seccata, il fico inaridito, il melograno, la palma, il melo, tutti gli alberi dei campi sono secchi, è inaridita la gioia tra i figli dell’uomo … Come geme il bestiame! Vanno errando le mandrie dei buoi perché non hanno più pascoli, anche i greggi di pecore vanno in rovina” (Gioel 1,10-18). Amos fa loro eco con le parole forti di Dio: “Non siete ritornati a me … Eppure io vi ho rifiutato la pioggia tre mesi prima della mietitura … Vi ho colpiti con ruggine e carbonchio, ho inaridito i vostri giardini e le vostre vigne … Prepàrati all’incontro con il tuo Dio, o Israele!” (Am 4,6-13) (22).
I profeti, dopo aver rivolto con forza a Israele rimproveri e ammonimenti a nome di Dio, manifestano il volto misericordioso del Padre, che vuol riconciliare a sé il popolo e la natura: “Ecco, verranno giorni – dice il Signore – in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma di ascoltare la Parola del Signore … Ecco verranno giorni in cui chi ara si incontrerà con chi miete, e chi pigia l’uva con chi getta il seme, dai monti stillerà il vino nuovo e scenderà giù per le colline … pianteranno giardini e ne mangeranno il frutto” (Am 8,11 e 9,13-14). La fedeltà di Dio sarà più forte dell’infedeltà dell’uomo, ed anche la natura rivivrà: “Io sarò come una rugiada per Israele, esso fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano, si spanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell’olivo e la fragranza del Libano” (Os 14,2-7). “Non temere, terra, ma rallegrati e gioisci, perché cose grandi ha fatto il Signore. Non temete, animali della campagna, perché i pascoli del deserto hanno germogliato, perché gli alberi producono frutti, la vite e il fico danno il loro vigore” (Gioel 2,21-22). E già Isaia aveva descritto la gioia dell’era messianica attraverso le immagini della natura riconciliata con l’uomo: “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme, e un fanciullo li guiderà” (Is 11,6).
Ed ecco giunge la nuova era del mondo nell’incarnazione del Verbo: il Messia accoglie nella sua personalità divina la bellezza della natura umana. Gesù annunzia il Regno di Dio nel linguaggio della natura e parla di se stesso dicendo: “Io sono il pane della vita” e “Io sono la vite e voi i tralci” (Gv 6,35 e 15,5): “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Gesù esalta con ammirazione le creature di Dio: “Guardate gli uccelli del cielo … Osservate come crescono i gigli del campo: non seminano e non filano, eppure io vi dico che neppure Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro” (Mt 6,26-29). L’avvento di Cristo segna l’avverarsi della promessa di una “nuova creazione”. Il Verbo, che era “prima della creazione del mondo”, è entrato nella storia come “primogenito di tutto il creato, perché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili”; ed Egli è anche “il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, perché sia lui a tenere il primato su tutte le cose” (23).
La presenza del Messia illumina la funzione “sacramentale” dell’uomo e anche dell’universo. Il loro fine era quello di rivelare la grandezza di Dio: “Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute” (Rom 1,20). Ma ora è visibile nel mondo il Figlio di Dio. Cristo nella sua umanità è “sacramento del Padre”. Egli infonde una nuova energia sacramentale anche ai “frutti della terra” umanizzati dal “lavoro dell’uomo”: l’acqua, l’olio, il pane e il vino, rendono visibile Dio agli occhi dell’uomo spirituale. Ilpane di Cristo trasforma il settimo giorno nel “giorno del Signore”, rivelandolo come “giorno dell’uomo” e “giorno dell’universo”. E celebra l’attesa del giorno ottavo, che sarà il “giorno della risurrezione”.
Nel tempo tra la Pasqua di Cristo e la Pasqua eterna dell’umanità l’uomo ha ancora la terribile libertà di distruggere la terra respingendo il dono di Dio. Il peccato dell’uomo fa soffrire tutta la creazione, la quale aspira a godere della gloria della risurrezione insieme con la famiglia umana. Sembra questo il senso della parola di San Paolo ai Romani: “Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non siano paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” (Rom 8,18-23).
3 I CRISTIANI E LA NATURA NEI PRIMI SECOLI
La Lettera di San Paolo ai Romani offre il messaggio neotestamentario più interessante sulla creazione, e insieme il più misterioso. Lo riconosceva già Sant’ Agostino: “Questo capitolo è
oscuro perché non risulta abbastanza chiaro che cosa intenda qui l’apostolo con il termine creatura” (24). Nei Padri della Chiesa vi era una duplice tendenza interpretativa: quella antropologica, che vedeva nella “creatura” l’uomo o un essere personale, e quella cosmologica, che vi vedeva il cosmo.
La tendenza antropologica di Origene passò dall’ Oriente in Occidente e attraverso Ambrogio giunse ad Agostino: “La creatura che aspetta la rivelazione dei figli di Dio significa tutto ciò che nell’uomo soffre e soggiace alla corruzione. Aspetta la rivelazione dei figli di Dio quella creatura che adesso è nell’uomo e che sarà soggetta alla vanità finché sarà dedita alle cose temporali, che passano come un’ombra” (25).
Nella cristianità orientale prevalse l’interpretazione cosmologica, che vediamo riassunta in Giovanni Crisostomo: “Questa creatura soffre molto aspettando questi beni … (L’apostolo) qui trasforma il mondo intero in una persona … Che cosa significa: ‘La creatura è stata assoggettata alla vanità’? Significa che è diventata corruttibile. E perché? A causa di te, o uomo … Anch’essa sarà liberata … Vuol dire che non soltanto tu, ma anche le creature che ti sono inferiori e sono addirittura sprovviste di ragione e di sensi, anch’esse condivideranno la tua sorte nel possesso dei beni” (26). Il Crisostomo afferma che Paolo, annunziando la palingenesi del creato nell’ordine ideale della bontà e della bellezza, “si solleva alla contemplazione dell’ordine cosmico, mostrando che anche tutte le creature fatte e ordinate da Dio al bene dell’uomo, come hanno risentito gli effetti disastrosi del suo peccato, risentiranno in certo modo anch’esse i benefici della redenzione, passando dallo stato doloroso della corruzione alla gloria di una vita del tutto nuova, in ordine alla quale la natura sta ora soffrendo come le pene di un parto per rinnovarsi con l’uomo” (27).
I Padri dell’ Oriente, attratti dall’ammirazione che la civiltà greca nutriva verso la natura, preferirono in genere l’interpretazione cosmologica. Questa concezione, che in Occidente non aveva trovato accoglienza se non nell’apertura di credito di San Tommaso, nei tempi più recenti è stata fatta propria da una schiera crescente di biblisti, e infine dal Concilio Vaticano II nella Lumen gentium: “Nella gloria del cielo, quando sarà giunto il tempo del rinnovamento di tutte le cose, allora, insieme con l’umanità, verrà pienamente restaurato in Cristo anche l’intero universo” (28). Il santuario del cosmo sarà solidale con l’umanità, come profetizza l’ Apocalisse: “Io vidi un cielo nuovo e una nuova terra … E colui che stava sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,1-5). La Gaudium et spes ripropone questa visione escatologica accogliendo proprio le parole di San Paolo ai Romani: “In quel giorno, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo e ciò che fu seminato nella debolezza rivestirà l’incorruzione; e, restando la carità con i suoi frutti, sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà che Dio ha creato proprio per l’uomo” (29). Questa lex credendi è divenuta lex orandi nella nuova liturgia.
Nasce ora una domanda. E’ vero che i cristiani nei primi secoli non apprezzarono la bellezza del creato? Nell’articolo I cristiani e la natura del 1982 Ezio Gallicet, che tornò sull’argomento nel Convegno di Torino del 1997 con una relazione su I cristiani del II e III secolo di fronte alla natura, dimostrò l’infondatezza del giudizio che considera gli antichi cristiani indifferenti o addirittura ostili dinanzi alle meraviglie della natura (30). E’ certamente vero che la visione platonica, e soprattutto la visione gnostica e manichea, influenzarono il pensiero dei cristiani, inducendo in molti un velo di pessimismo riguardo alla materia; ma è altrettanto chiara la loro battaglia contro la concezione dualista del mondo, che contrapponeva il regno del bene al regno del male. Il “Credo” precisa che Dio è creatore “di tutte le cose visibili e invisibili” per mostrare che i cristiani non accolsero mai la totale separazione tra il mondo intellegibile e il mondo sensibile. Se il messaggio dell’ Antico Testamento era profezia e figura del Nuovo, appariva evidente che la sostanza materiale, costitutiva della natura e dell’uomo, era buona perché era opera di Dio.
Il Libro della Genesi, amato e ampiamente commentato dai Padri, svelava con chiarezza che Dio, contemplando la natura da lui creata “vide che era cosa buona”. Lo stupore e la gratitudine caratterizzano il linguaggio con il quale i Padri descrivono il creato, testimoniando il loro amore per la natura, nella quale vedono il riflesso del volto di Dio. La natura è il bel regalo che Dio ha preparato per l’uomo, dice il vescovo Clemente Romano, terzo successore di San Pietro: “L’artefice e Signore dell’universo si compiace delle sue opere. Con la sua immensa potenza fissò i cieli e li ornò con la sua incomprensibile intelligenza. Separò la terra dall’acqua che la circonda e la stabilì sul saldo fondamento della sua volontà e con il suo comando chiamò in vita tutti gli animali che in essa s’aggirano. Avendo preparato il mare e gli animali che sono in esso, con la sua potenza li rinchiuse. Con le mani sacre ed immacolate plasmò l’uomo, l’essere superiore e che tutto governa, quale impronta della sua immagine“ (31).
L’ Apologia di Aristide si apre con questo significativo indirizzo all’imperatore Adriano: “Io sono venuto in questo mondo grazie alla provvidenza di Dio e, contemplando il cielo e la terra ed il mare, il sole e la luna e le altre creature, sono rimasto meravigliato per il bell’ordinamento del mondo” (32). E grande ammirazione per la natura manifestano le parole entusiaste di Teofilo di Antiochia: “Dio è Signore perché signoreggia l’universo, è Padre perché esiste prima dell’universo, è Artefice e Creatore perché costruì e creò l’universo, è Altissimo perché è al di sopra di tutte le cose, Onnipotente perché tutto domina e comprende in sé. L’altezza dei cieli, la profondità degli abissi ed i confini estremi della terra stanno nella sua mano, e non v’è luogo dove non faccia sentire la sua presenza. I cieli sono opera sua, la terra è sua creazione, il mare è stabilito da lui, l’uomo è plasmato da lui a sua immagine, il sole e la luna e gli astri sono elementi posti da lui come segni per le stagioni e per i giorni e per gli anni, per sottomettersi e obbedire agli uomini; e l’universo Dio lo trasse ad esistere dal nulla, affinché dalle opere fosse conosciuta e compresa la sua grandezza” (33).
L’ “interesse per il mondo naturale”, afferma Ezio Gallicet, condusse i Padri a riaffermare l’onnipotenza di Dio, mostrando che la natura “non deve essere adorata al posto del creatore”, come invece facevano i discepoli delle dottrine stoiche ed astrologiche (34). Questo atteggiamento apriva all’uomo la strada della libertà nel suo atto di fede. Il filosofo cristiano Atenagora di Atene esclamava: “E’ veramente bello il mondo e nella sua grandezza tutto abbraccia, sia per la disposizione degli astri dell’eclittica e del settentrione, sia per la sua figura sferica; ma non si deve adorare il mondo, bensì il suo artefice … Se il mondo è come uno strumento armonico suonato secondo un ritmo, io non adoro lo strumento, ma colui che lo ha armonizzato, che fa uscire i suoni e intona con esso un’armoniosa melodia” (35).
Teofilo di Antiochia non sapeva nascondere la sua meraviglia: “Osserva, o uomo, le opere di Dio. L’avvicendarsi periodico delle stagioni, la corsa ben regolata degli astri, il cammino ben ordinato di giorni e notti e mesi ed anni, la bellezza varia dei semi e delle piante e dei frutti, le multiformi discendenze degli animali quadrupedi e dei volatili e dei rettili e dei pesci che vivono nell’acqua dolce e nel mare, o l’istinto insito negli animali per dare alla luce e nutrire, non per utilità propria, ma in modo che l’uomo ne tragga vantaggio, e la provvidenza che Dio esercita preparando nutrimento per ogni essere vivente, o l’ordine per cui ha stabilito che tutte le cose fossero sottomesse all’umanità, lo scorrere delle fonti d’acqua e dei fiumi perenni, il suo donar le rugiade, i temporali, le piogge benefiche a tempo opportuno, il movimento molteplice dei corpi celesti, l’astro che reca il sorger dell’aurora e preannuncia che giunge il luminare perfetto, la congiunzione delle Pleiadi con Orione, ed Arturo e la danza circolare degli altri astri nel cielo, che la multiforme sapienza di Dio chiama tutti con un proprio nome” (36).
La meraviglia rafforzava in Teofilo la fede: “Questo mio Dio è il Signore dell’universo … egli ha posto la terra sopra le acque e ha emesso il soffio vitale che la nutre, quel soffio che dà esistenza all’universo: se egli trattenesse quel soffio presso di sé, l’universo morirebbe“ (37). E la fede lo guidava a godere della bellezza: “La creazione inizia con la luce perché la luce rende visibile la bellezza del mondo … Dio vide che la luce era bella. E’ evidente che è per l’uomo che la luce è bella” (38).
Con lo stesso stupore Melitone di Sardi invitava i catecumeni a seguirlo con il pensiero verso le rive dell’oceano, per contemplare la bellezza della Pasqua della creazione e scoprirla come preparazione alla Pasqua di Cristo e della Chiesa: “Tu, o Israele, non hai conosciuto il Signore, non sapevi che è il Primogenito di Dio, il generato prima della stella del mattino, colui che fa sorgere la luce, che fa splendere il giorno, che ha separato le tenebre, che ha stabilito il fondamento su cui tutto poggia, che tiene in equilibrio la terra, che ha inaridito l’abisso, ha dato ordine all’universo, ha posto gli astri nel cielo, ha fatto splendere il sole e la luna … Se vuoi vedere come i corpi celesti s’immergono nel lavacro dell’acqua, vieni con me sulle rive dell’oceano, e lì ti mostrerò uno spettacolo nuovo: il mare che si distende davanti ai tuoi occhi, un mare infinito, e una profondità impenetrabile, un oceano smisurato, acqua pura, lavacro e battistero del sole, dove gli astri ne ripuliscono e ravvivano lo splendore, dove si bagna la luna” (39). E per far comprendere il significato dell’acqua del battesimo, immagina che l’acqua dell’oceano doni al sole un battesimo di purificazione che lo rende nuovo e splendente: “Il sole quando sorge è per gli uomini nuovo, rinvigorito dall’abisso marino, purificato dal lavacro: avendo cacciato le tenebre notturne, dà origine al giorno splendente” (40).
Ireneo di Lione, ammiratore anch’egli delle meraviglie del creato, ama orientare il credente alla sorgente della vita, poiché “la gloria di Dio è l’uomo vivente” (41). Ogni bambino che viene alla luce è chiamato a contemplare la luce di Dio: “Dio è colui che ha creato l’universo, ha plasmato l’uomo, dà sempre maggiore pienezza di vita alla sua creazione e la chiama a salire dai
piccoli beni di adesso ai più grandi che sono presso di lui: così come egli solo fa uscire alla luce del sole il fanciullo concepito nel grembo materno e ripone nel granaio il frumento dopo averlo consolidato nella spiga. E’ l’unico e medesimo Mediatore che ha plasmato il grembo materno e ha creato il sole, l’unico e medesimo Signore che ha prodotto la spiga, ha moltiplicato il grano e ha preparato il granaio” (42). Cristo “Verbo del Padre”, che era accanto al Padre nella prima creazione, chiama ogni uomo a contemplare la salvezza nella nuova creazione: “Il creatore del mondo è veramente la Parola di Dio: egli è però il nostro Signore, che negli ultimi tempi si è fatto uomo, vivendo su questa terra, che abbraccia invisibilmente tutto ciò che esiste … e fu appeso alla croce per ricapitolare in sé tutte le cose” (43).
4 LA NATURA NEL LINGUAGGIO SIMBOLICO DEI PADRI
Il Verbo incarnato inaugura la “nuova creazione”. Egli è l’uomo nel quale l’immagine di Dio è perfetta. E’ l’icona visibile del Padre invisibile. I suoi gesti e le sue parole guidano l’uomo dalle realtà visibili a quelle invisibili. Il suo linguaggio è tratto dalla natura terrestre per svelare il mistero celeste. Il mondo è la casa della sposa, che lo sposo divino ha scelto come sua abitazione (44). La vigna, il chicco di grano, il lievito, il pane, gli alberi, i fiori e ogni filo d’erba, nelle parole di Gesù sono “figura” dei misteri divini. Il simbolismo del Vangelo si rivolge veramente a tutti gli uomini, perché la voce della natura è comprensibile a tutti (45).
Il linguaggio simbolico è ambivalente. Il fuoco e l’acqua sono simbolo di vita e di morte. Il fuoco che devasta i campi è simbolo del male e della morte. Ed è annunzio di morte l’acqua torrenziale che travolge gli uomini. L’acqua del Mar Rosso invece è simbolo della vita. La liberazione dall’ Egitto infatti preannunzia la vittoria dell’uomo sul male e sulla morte. Il mare è bello, limpido, profondo, ma spesso l’uomo naviga tra le sue onde salmastre e tempestose e crudeli, perché il mondo è amaro per la salsedine della tristezza, turbolento per le tempeste dell’esistenza, crudele per i flutti della persecuzione (46). La Chiesa è l’isola della salvezza che con la proclamazione del Vangelo raduna in unità tutte le genti, come il mare raduna tutte le acque (47). Gli antichi, vedendo l’ambivalenza cangiante delle realtà della natura, nel mare sentivano anche la presenza del “drago”, identificato con il Principe del Male. Nel mare della vita l’uomo è dotato della libertà per dirigere l’antenna verso il porto del Bene.
L’ammirazione per la natura guidava all’estasi della contemplazione gli uomini che univano la cultura alla fede. Sant’ Ambrogio trasfondeva il suo pensiero nell’insegnamento simbolico, che scendeva spontaneo nell’anima del popolo. Nella gradualità della catechesi le immagini svelavano il mistero. La scoperta dei segreti della natura aiutava a scoprire i segreti dell’uomo interiore. La “cosmologia” era una guida alla “psicologia” e alla “sociologia”. La fede era la strada verso la conoscenza e l’azione. L’armonia del cosmo appariva il preludio all’armonia tra gli uomini. La “comunità delle api” – per fermarci ad una tra le meraviglie del creato – era il modello esemplare della comunione tra i credenti e della concordia tra cittadini: “Comune a tutte è il lavoro, comune l’attività, comune l’uso e il frutto, comune il volo …”. Il vescovo di Milano valorizzava la descrizione del mondo delle api come scuola di vita, riecheggiando la poesia virgiliana delle Georgiche e la riflessione teologica di Basilio di Cesarea (48) .
Ambrogio traghetta in Occidente la visione della creazione elaborata dai Padri dell’ Oriente, dai quali eredita lo spirito della contemplazione del cielo e della terra. Dice il vescovo al credente che attende il Battesimo: “Tu ammiri il capolavoro, tu cerchi il suo Autore!… Al principio dei mesi Dio creò il cielo e la terra, perché era opportuno che il mondo avesse inizio quando il clima primaverile era favorevole a tutte le creature … Era primavera al momento della creazione del mondo … E fu di primavera che i figli d’ Israele lasciarono l’ Egitto e passarono attraverso il mare, battezzati nella nube e nel mare; e in quel tempo ogni anno si celebra la Pasqua del Signore Gesù Cristo, cioè il passaggio dai vizi alla virtù … Dio con il suo cenno istantaneo ha creato dal nulla questa meravigliosa bellezza dell’universo … Io non riesco ad abbracciare con la mia intelligenza l’abisso della sua maestà e l’eccellenza della sua arte, però non mi affido ai pesi e alle misure propri delle discussioni, ma penso che tutto dipenda dalla sua volontà, perché la sua volontà è il fondamento dell’universo” (49).
Ambrogio unisce l’ammirazione per la natura tipica dello spirito orientale ad una sensibilità umanistica maturata alla scuola di Virgilio e dei pensatori classici. E dipinge i giorni della creazione mostrando la pedagogia di Dio, che, dopo aver creato la terra, gradualmente le dona l’ornamento delle piante e degli esseri viventi. Dio affida il creato all’uomo perché possa abbellirlo di giorno in giorno imitando il suo Creatore; ma l’uomo non deve mai dimenticare che soltanto il Sole illumina la bellezza del creato: “Bellissimo è l’aspetto delle cose; ma che cosa sarebbe senza la luce?” (50). Il sole “è l’occhio del mondo, la letizia del giorno, la bellezza del cielo, l’incanto della natura, l’eccellenza del creato; ma quando lo vedi, pensa al suo autore, quando lo ammiri, loda il suo Creatore” (51).
Nella tarda età patristica, quando la scuola imperiale diventerà cristiana, lo studio del cosmo acquisterà un valore importante come preludio al discorso su Dio e valorizzerà le scoperte fisiche e le intuizioni poetiche della riflessione classica sulla natura (dalla rerum natura alla teologia). La grande enciclopedia delle Ethymologiae di Isidoro di Siviglia nutrirà la sete culturale fino al Medio Evo, quando nasceranno i trattati de universo. I movimenti del cielo e della terra, il volgere delle stagioni, il sole, la luna, le stelle, guidano a contemplare la “prima” creazione nella prospettiva della “nuova” creazione. Questo stupore rivela la grazia della redenzione presente nella storia delle origini del mondo. L’arcobaleno di Cristo risplende nei colori della natura e dei profeti e degli apostoli. Le nuvole sono i pensieri dell’uomo. La pioggia è la parola di Dio. La neve è l’incredulità. La grandine l’iniquità. I venti favorevoli sono gli angeli e i venti sfavorevoli gli spiriti demoniaci.
5 LA CROCE “ALBERO DI SALVEZZA” DELL’ UOMO NELL’ UNIVERSO
L’albero della vita nel paradiso terrestre e nella storia dell’umanità è la croce. Ignazio di Antiochia mostra che solo la croce può elevare gli uomini alla comunione fraterna, perché li innesta nella comunione della Trinità, come l’argano tira sù i materiali per l’edificazione delle case (52). La croce è la luce della vita. Il corpo umano ha la forma della croce (53). L’albero della nave è segno della croce, che nel mare della vita libera l’uomo dall’attrattiva della tentazione, come liberò il mitico Ulisse dalla malìa delle sirene (54). I santi hanno attraversato i flutti della giovinezza in piccole zattere, guidati dalla sapienza verso le altezze della virtù. L’antenna crucis rende tranquillo il viaggio dell’uomo: Victor antenna crucis ibis, undis tutus et austris (55).
Le onde del mare svelano il mistero della natura, che è in viaggio con l’uomo verso una meta. La croce orienta alla vita. L’uomo che si aggrappa a Cristo e alla sua croce è salvo. Il “segno di croce” che il cristiano fa entrando nella porta della propria casa è un’armatura che rende l’uomo invulnerabile (56). E salva la Chiesa dalle tempeste. Agostino, dopo il sacco di Roma dai Goti nel 410, che aveva seminato il timore della fine del mondo, addita la speranza e la sicurezza da ogni catastrofe nell’ ancora della croce (57).
La sensibilità ecologica nei Padri era spontanea e sincera, e non era pervasa dai timori che nel nostro tempo incombono sul mondo, il quale si trova dinanzi a un degrado generalizzato della natura. Le ragioni della fede nel Creatore alimentavano il rispetto per il creato. I Padri, accogliendo la visione biblica del “tempo” orientato verso un glorioso traguardo, sapevano leggere nel futuro. E la previsione del futuro è sempre necessaria per la salvaguardia del creato, insieme all’intuito spirituale sensibilità interiore che nelle vicende quotidiane della storia sa vedere l’invisibile.
Antonio Quacquarelli, confrontando il nostro tempo con il tempo dei Padri, dice che l’uomo “ha voluto spingere al massimo lo sfruttamento delle risorse, incurante delle conseguenze disastrose che ne sarebbero derivate … L’inquinamento generale del mare e della terra e dei suoi prodotti diventa frutto dell’ingordigia umana e della sua empietà” (58). Nell’antichità cristiana e nell’esperienza monastica la coltivazione della terra era un momento della preghiera, poiché il lavoro era imitazione di Cristo, l’artigiano di Nazaret che aveva esperimentato personalmente la fatica e aveva scelto gli apostoli tra i pescatori. L’attività manuale era la continuazione della lectio divina e dell’orazione liturgica. Il monastero e i suoi campi erano considerati la casa di Dio, come la chiesa (59). La trasformazione della terra attraverso il lavoro spiritualizzava la materia e affratellava le persone nella comunità.
E’ il mistero dell’uomo nel santuario della natura. L’amore tra i fratelli è la più alta espressione dell’ecologia, segno di affetto per l’uomo “capolavoro del creato” e canto di lode a “Dio creatore”. Ascoltiamo dalla voce di San Gregorio di Nissa il canto di lode alla creazione, eco di tutti gli inni dell’antichità cristiana (60):
La terra era piena di cose mirabili,
avendo generato con i fiori i frutti,
i prati erano pieni
di tutte quelle cose che in essi nascono,
tutti i dorsi dei monti, le cime,
anche i versanti delle coste e le valli
si coronavano di erbe nuove e di varietà di alberi,
che appena sorti dalla terra
subito giungevano alla bellezza perfetta.
Ogni cosa era nella gioia
vivificata secondo il precetto divino.
Gli armenti e le greggi dimoravano nei boschi,
dappertutto i luoghi aperti e ombrosi
risuonavano dei canti degli uccelli armoniosi.
La vista del mare era, com’è naturale,
quale la consentiva l’ordine della quiete
e della tranquillità dei suoi flutti,
e gli ormeggi e i porti
creatisi spontaneamente per il volere divino
presso le sue coste
congiungevano il mare alla terraferma.
I pacifici movimenti delle onde
corrispondevano alla bellezza dei prati,
increspando con arie leggere la superficie della sommità.
E tutto il tesoro della creazione sulla terra e sul mare
era pronto, ma non c’era chi ne partecipasse.
Questa grande e onorevole cosa che è l’uomo
non aveva ancora trovato posto
nell’universo delle cose.
Non era, infatti, conveniente che il capo
apparisse prima delle cose
sulle quali avrebbe comandato.
Ma, preparato dapprima il regno,
era conseguente fosse rivelato il re,
allorché il Creatore di tutto
aveva predisposto una sede regale
per colui che avrebbe dovuto regnare …
Dio allora pose nel mondo l’uomo
perché divenisse il contemplatore
e il padrone delle meraviglie che sono in esso,
così che attraverso il loro godimento
ricevesse l’intelligenza di chi le aveva preparate,
e attraverso la bellezza
e la grandezza di ciò che vedeva
potesse esplorare e investigare
l’ineffabile e inesprimibile potenza del Creatore.
NEL VIVO RICORDO
DEI MORTI NEGLI INCENDI NELLA STORIA DELLA SARDEGNA
N O T E
(1) Gen 1,1-3,15. Queste mie riflessioni sulla “Salvaguardia della natura” sono dedicate al Card. Mario Francesco Pompedda, che onora la Sardegna nel suo servizio al Papa e alla Chiesa Universale; nella celebrazione del “Centenario del Redentore” innalzato sul Monte Ortobene, il 29 agosto 2001 a Nuoro, il nostro cardinale ha ricordato che “è il rispetto di tutto il creato, la cui bellezza uscita incontaminata dalle mani del Creatore ne è l’immagine vivente ed estasiante, a spingerci a vivere in esso quasi con venerazione, contribuendo non solo a conservarlo intatto, ma in qualche modo a facilitarne lo splendore”.
(2) KOSMOS TOU KOSMOU : “Armonia e ornamento del mondo” è l’uomo e anche tutta la Chiesa. L’espressione è proverbiale e ricorrente nei Padri; cfr. ORIGENE, Commento al Vangelo di Giovanni 6, 59,301; METODIO DI OLIMPO, La risurrezione 1,35; Constitutiones Apostolorum 7, 34,6.
(3) Verbo Domini caeli firmati sunt,et Spiritu oris eius omnis virtus eorum (Sal 32,6).
(4) “L’ universo è una teofania” (U. ECO, Il segno, Milano 1980, p.95).
(5) Le definizioni sono tutte interessanti e naturalmente incomplete. Ecologia è una definizione ottocentesca dello zoologo tedesco Ernesto Enrico Haeckel, che indica lo studio scientifico dell’ambiente naturale; recentemente è riapparsa con il nuovo significato di vigilanza sociale sull’ambiente. Ambiente è un termine polivalente che si può riferire alla natura ed anche agli uomini. Salvaguardia della natura è un’espressione felice, che non evidenzia però l’idea di trasformazione e sviluppo. Responsabilità verso il creato è una proposta biblica che implica la fede nel Creatore.
La riflessione cristiana, scrutando gli avvenimenti della storia alla luce della Bibbia, guarda primariamente all’origine e al fine della creazione secondo il progetto di Dio; la recente “ecologia” nasce soprattutto dal timore di un generale dissesto ambientale. Il credente pensa che sarebbe meglio non attendere che l’universo si ammali per riconoscere il suo valore e il suo fine, come non bisognerebbe attendere che si ammali l’uomo per accorgersi della sua altissima dignità.
(6) Redemptor hominis 8.
(7) Gaudium et spes 9 e 34.
(8) Novo millennio ineunte 51.
(9) Messaggio per la “Giornata della Pace” 1990 – Città del Vaticano, 8 dicembre 1989: è il definitivo riconoscimento che l’aspirazione alla pace è tutt’uno con l’aspirazione alla tutela dell’ambiente. Era l’eco della voce dei successori di Pietro. Giovanni XXIII nella Pacem in terris l’ 11 aprile 1963 aveva ricordato che Dio “ha creato l’universo profondendo in esso tesori di sapienza e di bontà” (c. 1). Paolo VI nell’ Enciclica Populorum Progressio del 26 marzo 1967 aveva descritto la terra come un grande dono di Dio per il progresso di tutta l’umanità (c. 22); e il 14 maggio 1971, nell’ 80° anniversario della Rerum novarum, aveva manifestato il suo interesse per la ”questione ambientale” nell’ Enciclica Octogesima adveniens: “L’uomo … attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione … Problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana!” (c. 21). Nello stesso anno, il 30 settembre 1971, in vista della Conferenza sull’ambiente umano che doveva tenersi a Stoccolma nel mese di giugno 1972, il “Sinodo dei Vescovi” esortò i capi delle nazioni a rimuovere il “pericolo di distruggere gli stessi fondamenti fisici della vita nel mondo” (De iustitia in mundo 7).
Molteplici sono stati gli appelli del Magistero Pontificio a favore della salvaguardia del creato. Ricordiamo qui alcuni tra i principali di Giovanni Paolo II, che nell’ Enciclica Evangelium vitae accolse anche la parola ecologia: “Redemptor hominis 8 (1979), La riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa 44 (1983), Discorso al Centro ONU di Nairobi (18 agosto 1985), Sollicitudo rei socialis 26 e 34 (1987), Centesimus annus 37 (1991), Evangelium vitae 27 (1995), Discorso e Omelia al “Giubileo del mondo agricolo” (11-12 novembre 2000).
(10) Hexaem. I,1,4. Nella Bibbia la visione del creato è antropocentrica e teocentrica. Questo esclude chiaramente la divinizzazione della natura: cielo e terra sono creature di Dio affidate alla creatura più eccelsa che è l’uomo. Le altre religioni antiche hanno una visione più immanentistica, che conduce la fede popolare a divinizzare la materia; per uno sguardo essenziale si veda S. CATTAZZO, Il mondo tra creazione e salvezza. Una rassegna dalla storia delle religioni, in “Credere Oggi” 33 (1986), pp. 18-28.
(11) A.QUACQUARELLI, L’ecologia nei riflessi del linguaggio simbolico dei Padri della Chiesa, in “Vetera Christianorum” 28 (1991), p. 5. E’ innegabile però che la prospettiva attuale è totalmente nuova; cfr. G. MATTAI, Un problema morale nuovo: l’ecologia, in “Credere Oggi” 33 (1986), pp. 88-99 e ID., Problema ecologico, rischio nucleare e implicazioni morali, in “Rassegna di Teologia” 6 (1986), pp. 481-496. Riguardo alla bibliografia sempre crescente, si veda per tutti: AA. VV., Questione ecologica e coscienza cristiana, Brescia 1988.
(12) Platone dice che la filosofia nasce dallo stupore dell’uomo: “è proprio del filosofo l’esser pieno di meraviglia, né altra origine ha il filosofare se non questa” (Teeteto 155 d); dello stesso parere è Aristotele, che considera la “natura” ( ) il movimento armonico delle realtà verso il fine stabilito da una legge universale (Metafisica). L’invito a vivere “obbediente alla natura” è il cuore dell’etica dello Stoicismo; cfr. STOBEO, Ecl. II, 75,11 W.
(13) VIRGILIO, Aen. VI, 724-730 (trad. E. Cetrangolo, 1970). Sul mondo latino sono interessanti gli studi: N. SCIVOLETTO, Città e campagna, Palermo 1981 e P. FEDELI, La natura violata. Ecologia e mondo romano, Palermo 1990. Per una visione della natura nell’antichità classica si vedano gli “Atti del Convegno Nazionale di Studi: L’uomo antico e la natura”, Torino 28-29-30 Aprile 1997, a cura di R. Uglione, Torino 1998.
- Sura VI,99.
(15) San Francesco di Assisi nel 1979 fu proclamato da Giovanni Paolo II “patrono dell’ecologia”. La visione biblica e francescana dell’universo ha ispirato i messaggi del nostro tempo sulla “questione ambientale”; dopo aver ricordato i documenti pontifici, desidero segnalare alcuni tra i più significativi delle Chiese locali: Futuro della creazione, futuro dell’umanità, Conferenza Episcopale Tedesca, 23 settembre 1980; Assumersi la responsabilità della creazione, Conferenza Episcopale Tedesca – Consiglio della Chiesa Evangelica Tedesca, 14 maggio 1985; La questione ambientale: aspetti etico-religiosi, Conferenza Episcopale Lombarda, 15 settembre 1988; Documento dell’ Assemblea Ecumenica Europea di Basilea, 18 maggio 1989; P. MELONI, Lettera Pastorale alle comunità di Tempio-Ampurias: Dalla Liturgia viva al servizio alla società, 3 dicembre 1989; Documento dell’ Assembla Ecumenica Mondiale di Seoul, 12 marzo 1990; Messaggio dei Vescovi della Sardegna: Preoccupazione per il fenomeno degli incendi, 5 agosto 1990;W. EGGER, Lettera Pastorale della Chiesa di Bolzano-Bressanone, 26 settembre 1992; Documento dell’ Assemblea Ecumenica Europea di Graz, 29 giugno 1997; Il rispetto del creato, Conferenza Episcopale Francese, 13 gennaio 2000; Charta Oecumenica, Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee – Conferenza delle Chiese Europee, 22 aprile 2001; Futuro della nostra terra, Conferenza Episcopale Italiana, Relazioni al Convegno di Assisi 4-6 maggio 2001 (è qui riportato un ricco elenco di documenti ecclesiali sull’ambiente, estratto dai Data base a cura del “Gruppo di Studio per la responsabilità per il creato”); Dossier Responsabilità per il creato, Conferenza Episcopale Italiana: Un sussidio per le comunità, Roma 2001.
(16) J. ALFARO, Teologia del progresso umano, Assisi 1969, p.41. Nella visione biblica il rimpianto per il “paradiso perduto” si apriva alla speranza del “paradiso futuro”; nel mondo classico invece la felicità primordiale dell’ “età dell’oro” sembrava perduta per sempre.
(17) J. ALFARO, Teologia …, cit., pp. 41-42. La “bibliografia” sul significato cristiano dell’ecologia sarebbe immensa, se si scrutasse più profondamente la miniera ecologica della Bibbia e si leggessero in questa prospettiva i trattati sulla “teologia della creazione” e sulla “teologia del lavoro”; si ricordino almeno tra i classici: M.D. CHENU, Per una teologia del lavoro, Torino 1964; ID., Teologia della materia, Torino 1966; H. U. VON BALTHASAR, Teologia cosmica, Parigi 1967; P. TEILHARD DE CHARDIN, L’avvenire dell’uomo, Milano 1973.
(18) Il verbo “creare” (baràh) ha nella Scrittura l’idea di “fare una cosa meravigliosa e sorprendente”, insieme al senso primario che designa la singolare azione di Dio, il quale chiama all’esistenza la materia, separa e differenzia tutte le realtà per disporle con ordine nel grande mosaico dell’universo, e crea l’uomo a sua immagine e somiglianza. Lo stesso verbo designa la “creazione” del popolo: “Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele” (Is 43,1).
(19) “Se nascondi il tuo volto vengono meno, se togli loro il respiro muoiono e tornano alla polvere” (Sal 103,29).
(20) Gen 1,28. Il verbo kabàs è l’invito divino a “prendere possesso” della terra, più che a “soggiogarla”; il verbo radàh è il precetto di guidare al pascolo gli animali e “dominare” la terra coltivando i semi piantati dal Creatore. Si veda, oltre alle edizioni bibliche che commentano la Genesi: A. CORTESI, Fra disastro ecologico e Sacre Scritture, in “Coscienza” 1 (1997), pp.24-25.
(21) Tutti i Salmi sono inni di ringraziamento a Dio per il dono della creazione e dell’alleanza; si leggano soprattutto i Salmi 8-19-29-74-93-104-113-121-136-148-150.
(22) Il “carbonchio”, con il quale Dio colpisce i chicchi di grano per punire il peccato degli uomini, ritorna in Deut 28,22, in 1 Re 8,37 e 2 Cr 6,28.
(23) Gv 17,24; 1Pt 1,20; Ef 1,4 e Col 1,15-18.
(24) De diversis quaestionibus octoginta tribus 67,1. Sull’interpretazione di Agostino cfr. FRANCESCA COCCHINI, La Creacion en la pericopa de Rom 8,18-24 segun San Agustin, in Ecoteologia, Una perspectiva desde San Agustin (Actas del IV Simposio sobre la relectura del pensamiento de San Agustin desde América Latina (Sao Paulo, 23-28 de enero 1955), Mexico 1996 (=Ecoteologia agostiniana, Sao Paulo 1996), pp. 139-151; sull’esegesi biblica e patristica del testo paolino e sul concetto di “creazione” fino al Concilio Vaticano II, cfr. A.GIGLIOLI, L’uomo o il creato? Ktisis in S. Paolo, Bologna 1994.
(25) Expositio quarumdam propositionum ex Epistola ad Romanos LIII (ad Rom 8, 19-23).
(26) Commentarius in Epistolam ad Romanos XIV, 4-5.
(27) Ibidem.
(28) Lumen gentium 48.
(29) Gaudium et spes 39.
(30) E. GALLICET, I cristiani e la natura: da Clemente Romano ad Atenagora, in “Civiltà classica e cristiana“ 3 (1982), pp. 205-234; ID., I cristiani del II e III secolo di fronte alla natura, in “Atti del Convegno Nazionale di Studi: L’uomo antico e la natura”, cit., pp. 305-322.
(31) Lettera ai Corinzi XXXIII, 2-5. La Lettera di Papa Clemente, documento cristiano antichissimo scritto attorno all’anno 97 d. C., contiene una mirabilie descrizione della bellezza del creato: “I cieli che si muovono secondo l’ordine di Lui gli ubbidiscono nell’armonia. Il giorno e la notte compiono il corso da Lui stabilito e non si intralciano a vicenda. Il sole e la luna e i cori delle stelle secondo la sua direzione girano in armonia senza deviazione per le orbite ad essi assegnate. La terra, feconda per sua volontà, produce abbondante nutrimento per gli uomini, per le fiere e per tutti gli animali che vivono su di essa, senza riluttanza e senza cambiare nulla dei suoi ordinamenti. La massa del mare immenso che nella sua creazione si raccolse nei suoi antri, non supera i limiti posti, ma come fu ad esso ordinato, così agisce. Disse infatti: ‘Fin qui tu verrai, e i tuoi flutti si infrangeranno in te stesso’. L’oceano senza fine per gli uomini e i mondi, che sono oltre, sono retti dalle stesse leggi del Signore. Le stagioni di primavera, d’estate, d’autunno e d’inverno si susseguono in armonia una dopo l’altra. I venti nell’incalzarsi compiono nel proprio tempo il loro servizio senza intralcio; le sorgenti perenni create per il rinfrancamento e la salute, senza mai cessare, offrono da bere per la vita degli uomini. Anche gli animali più piccoli si riuniscono nella pace e nella concordia. Il creatore e signore dell’universo dispose che tutte queste cose fossero nella pace e nella concordia” (XX,1-12).
(32) Apologia I,1. Aristide, il filosofo di Atene divenuto cristiano, nella sua Apologia scritta attorno all’anno 125 d.c. continua dicendo: “Avendo visto poi che l’universo, e tutto ciò che è in esso, è in movimento secondo una legge naturale, ho capito che colui che lo muove e lo sostiene è Dio. Infatti tutto quello che è in movimento è più forte di ciò che è mosso e quello che ha un ordine è più forte di ciò che è messo in ordine” (I, 2).
(33) Ad Autolico I,4; l’opera di Teofilo fu scritta verso l’anno 168 d.C.
(34) E. GALLICET, I cristiani del II e del III secolo … , cit. , p. 308.
(35) Supplica per i cristiani 16,1-3. Atenagora allude alla visione del mistico Pitagora, che considera l’universo una grande orchestra che fa risuonare sulla terra l’armonia delle sfere celesti. Lo testimonia Aristotele, affermando che i pitagorici pensavano che “il mondo intero fosse armonia e numero” e in esso “i numeri e gli accordi musicali” corrispondevano “alle proprietà e alle parti del cielo, e a tutto l’ordine cosmico” (Metaph. I,5,986 a). Anche lo stoico Cleante considerava il cosmo una “lira” fatta risuonare dal “plettro” del Sole (CLEM. AL., Strom. V,48,1), e Varrone vedeva nel “sistema planetario” la “lira degli dei” (Men. 351 Buecheler). Filone Alessandrino riporta una diffusa convinzione, secondo la quale la cetra “ha sette corde per analogia con il coro dei pianeti” (de opif. mundi 126). Su questo tema si veda P. MELONI, La chitarra di David, in “Sandalion” 5 (1982), pp. 233-236. Sull’influsso di Pitagora nei confronti dei cristiani: ANNA MARIA PIREDDA, Aspetti del
pitagorico nell’etica cristiana di Ambrogio, in L’etica cristiana nei secoli III e IV: eredità e confronti, Roma 1996, pp. 305-316.
(36) Ad Aut. I,6.
(37) Ad Aut. I,7.
(38) Ad Aut. II, 11.
(39) Omelia per la Pasqua 82-83.
(40) Sul Battesimo (fr. VIII b); cfr. E.GALLICET, I cristiani del II e III secolo …, cit., pp. 310-313.
(41) Adv. haer. IV, 20,7
(42) Adv. haer. II, 28,1.
(43) Adv. Haer. V,18,3.
(44) Si vedano i “Commenti al Cantico dei Cantici” degli scrittori cristiani in P. MELONI, Il profumo dell’immortalità. L’esegesi patristica di Cantico, 1,3, Roma 1975 e ID., Cantico dei Cantici, in Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, I, Casale M. 1983, coll. 580-584.
(45) E’ di grande interesse la Clavis Scripturae, un catalogo tardo-antico dei simboli biblici, archetipo dei Bestiaried Erbari medievali, attribuito simbolicamente a Melitone di Sardi (tra. it. di P.G. Di Domenico, Città del Vaticano 2001).
(46) A. QUACQUARELLI, L’ecologia …, cit., pp. 8-11.
(47) Ambrogio di Milano è una miniera sul simbolismo del mare, soprattutto nel suo Esamerone che ricalca l’ Esamerone di Basilio di Cesarea. Si veda soprattutto Hexaem. III, 4, 1-24 e i relativi studi di A. NAZZARO, Simbologia e poesia dell’acqua e del mare in Ambrogio di Milano, Napoli 1977 e ID., La natura in Ambrogio di Milano, in “Atti del Convegno … L’uomo antico e la natura, cit., pp. 323-355.
(48) Hexaem. V,8,66-72. La tradizione che vede nella vita delle api un modello per la comunità degli uomini è ricchissima nei Padri; per l’eredità di Virgilio in Ambrogio si veda L. ALFONSI, L’ecfrasis ambrosiana del “Libro delle Api” virgiliano, in “Vetera Christianorum” 2 (1965), pp. 129-138. Sul significato simbolico del “melograno” e dei suoi frutti si veda GIOVANNA MARIA PINTUS, La “melagrana” simbolo della “Chiesa”, in Studi in onore di Pietro Meloni, Sassari 1988, pp. 165-176.
(49) Hexaem. I, 1, 9.13.14.16.22.
(50) Hexaem. I,1,28.
(51) Hexaem. IV,6,2.
- IGNAZIO, Ad Eph. 9,1.
- TERTULLIANO, Idol. 12,2: corpus … in modum crucis est.
(54) AMBROGIO, Commento al Vangelo di Luca 4,1-3.
(55) PAOLINO DI NOLA, Carm. 17,105-108; sull’ Antenna Crucis si legge ancora con grande piacere lo studio di Ugo Rahner (1953), tradotto in italiano in U. RAHNER, L’ Ecclesiologia dei Padri, Roma 1971.
(56) G. CRISOSTOMO, Ad illuminandos cathechesis II, 5.
(57) Serm. 81,8; cfr. J. LANOTTE, Saint Augustin et la fin du monde, in “Augustiniana” 12 (1962), p. 21 e G. CANNONE, Il sermo de excidio urbis Romae di S.Agostino, in “Vetera Christianorum” 12 (1975), pp. 325-346.
(58) A. QUACQUARELLI, L’ecologia … , cit., p.15. Mario Vegetti descrive così il rapporto fra uomo e natura nel mondo classico: “Il rapporto fra società umana e ambiente naturale nel mondo antico non conobbe gli squilibri strutturali che sono conseguiti allo sviluppo delle tecniche e dell’industrializzazione in età moderna. La tecnologia antica non giunse mai a violare in modo radicale l’integrità dell’ambiente naturale, nonostante gli sviluppi anche importanti – soprattutto in età romana – dell’urbanizzazione, del controllo delle acque, dello sfruttamento minerario. E’ vero in realtà il contrario: la civiltà antica riconobbe gli inizi e le ragioni della sua formazione nella capacità di proteggere l’ambiente umano dalla natura, cioè da un ambiente circostante ostile e minaccioso per la sopravvivenza e lo sviluppo della cultura propria dell’uomo” (Enciclopedia dell’ Antichità Classica, Milano 2000, coll. 942-943).
(59) Ora et labora è il motto che sintetizza la spiritualità monastica. Nella Regola di San Benedetto suona così: “Certis temporibus occupari debent fratres in labore manuum, certis iterum horis in lectione divina” (c. 48); cfr. P. MELONI, La spiritualità di San Benedetto e le sue prime manifestazioni in Sardegna (in corso di stampa).
(60) GREGORIO NISSENO, L’uomo 1-2.