“Hilarus, natione sardus”, vescovo di Roma di Pietro Meloni
“Hilarus, natione sardus, ex patre Crispino, sedit annos sex, menses tres, dies decem”. Il Liber Pontificalis (1) inizia con queste parole il ricordo del primo Papa sardo, che morì millecinquecento anni fa il 29 febbraio dell’anno bisestile 468. L’elezione di Ilario all’episcopato romano avvenne alla fine dell’anno 461, nel difficile periodo che preludeva alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente nell’anno 476. L’eredità da raccogliere era quanto mai impegnativa: lo aveva preceduto come vescovo di Roma Leone I il Grande, la cui personalità non comune aveva inciso profondamente sugli avvenimenti e sull’evoluzione della dottrina teologica per oltre vent’anni.
Il concilio di Calcedonia del 451 e l’incontro con Attila del 452 sono i due episodi più caratteristici dell’instancabile azione di Leone I, il quale peraltro niente aveva potuto contro il furore dei Vandali di Genserico che nel 455 misero a sacco la città di Roma, passando poi – come è noto – in Sardegna. Leone I può esser considerato l’ultimo Papa della storia antica; dopo di lui ha inizio il Medioevo.
Il suo successore Ilaro – sardo di nascita – è come un’appendice della figura del predecessore. Nella sua scia si trascinò quasi per forza d’inerzia, senza forse comprendere appieno che il mondo stava per avere una svolta nuova. Nei due secoli successivi infatti, fra Gelasio I (492-96) e Gregorio I (590-604), avverrà la costituzione del potere temporale ed insieme il tentativo della sua giustificazione dottrinale.
L’elezione di Ilaro fu pacifica, almeno al confronto dei gravissimi tumulti e uccisioni che avverranno non molti anni dopo (498) per l’elezione di un altro papa sardo, Simmaco. L’accrescersi infatti del patrimonio ecclesiastico e dell’autorità della sede apostolica darà luogo sempre più a maneggi, arrivismi interessati, disordini e violenze; e nell’elezione del papa il denaro giocava spesso un ruolo fondamentale. I sei anni di pontificato di Ilaro trascorsero in una momentanea pace, che Leone aveva preparato, in una specie di sosta degli avvenimenti. Le più ampie notizie le possediamo sull’attività epistolare di Ilaro che, sull’esempio del suo predecessore, inviò numerose lettere, soprattutto ai vescovi della Spagna Tarragonese e della Gallia (2).
In molte diocesi era andata diffondendosi l’abitudine di ricorrere al vescovo di Roma per domandare istruzioni su problemi disciplinari, riguardanti soprattutto la scelta dei vescovi. Ilaro rispondeva con solerzia alle richieste. In una lettera del 16 novembre 465 (3) al vescovo di Arles Leonzio, Ilaro manifestava il desiderio che la sede di Arles venisse ristabilita nel ruolo di primaziale della Gallia; la Chiesa romana cercava di realizzare il suo accentramento organizzativo a somiglianza delle strutture dell’impero romano. Leonzio, pur mostrandosi ossequiente verso il papa, non acconsentì a divenire quasi un “vicario apostolico” che informasse il papa sulle questioni locali della Gallia e trasmettesse poi ai vescovi i consigli del papa.
Una questione complicata nacque a Narbona e Beziers: Rustico, vescovo di Narbona, aveva consacrato vescovo di Beziers l’arcidiacono Ermete; ma i fedeli della città si opposero e non vollero accogliere il nuovo vescovo. Rustico allora designò Ermete come suo successore a Narbona. Quest’atto conteneva due irregolarità: non era lecito ad un vescovo nominare il proprio successore, ed era stato proibito dal concilio di Nicea il trasferimento di un vescovo da una diocesi all’altra. Il papa Ilaro, venuto a conoscenza del fatto, domandò a Leonzio di Arles una relazione sugli avvenimenti (4).
Al Sinodo di Roma del 462 poi stabilì che Ermete potesse divenire vescovo di Narbona, ma che non potesse assumere il titolo di metropolita spettante a quella sede. Una questione simile sorse nella Spagna Tarragonese, e Ilaro disapprovò la condotta dei vescovi nel Sinodo di Roma del 465, tenuto nella basilica di S.Maria Maggiore.
Il carattere deciso di Ilaro fu esperimentato dallo stesso imperatore Ricimero. Questi aveva favorito a Roma la propaganda dei pneumatomachi, un gruppo ereticale che combatteva la divinità dello Spirito Santo, dando loro il permesso di costruire una chiesa sul Quirinale. Quando l’imperatore, un giorno, si recò alla basilica di San Pietro, Ilaro gli manifestò le proprie lamentele per la diffusione dell’eresia e lo costrinse a giurare sulla tomba di S.Pietro che l’avrebbe combattuta e avrebbe difeso la verità (5).
Ilaro cercò di favorire la cultura, ormai decadente, con la costituzione di due biblioteche, una latina e una greca, presso la Basilica di San Lorenzo; ivi aveva anche fatto costruire un monastero e dei pubblici bagni. Operò una riforma liturgica delle Stazioni romane. Il papa morì il 29 febbraio 468 e fu sepolto nella cripta della chiesa di San Lorenzo.
Ricordate le non molte notizie da noi possedute sul pontificato di Ilaro, è necessario fare un salto indietro per parlare di un avvenimento importante di cui egli fu protagonista vari anni prima, quando era diacono della Chiesa di Roma. È l’anno 449. A Efeso è in fase di svolgimento un concilio che deve discutere la dottrina cristologica: i monofisiti affermano che in Cristo vi è una sola natura, quella divina; gli ortodossi sostengono la presenza delle due nature, la divina e l’umana. Lo schieramento dei monofisiti, attorno al monaco di Costantinopoli Eutiche, è massiccio. Ilaro è legato del Papa Leone.
La lotta nel concilio non si limita alle diatribe dottrinali, ma assume forme di violenza e sopraffazione. Ilaro, dopo aver dichiarato con decisione il suo “contradicitur”, corre seri pericoli per la sua incolumità e scappa in cerca d’un rifugio; lo trova presso la venerata tomba di San Giovanni Evangelista, dove rimane a lungo nascosto. Scampato alla morte durante il concilio, che sarà in seguito chiamato non concilio ma “latrocinium Ephesinum”, torna a Roma e informa dell’accaduto il papa Leone, al quale s’erano subito appellati i vescovi deposti a Efeso dai monofisiti.
Ilaro non dimenticherà mai questa avventura e, divenuto papa, la ricorderà facendo erigere, a fianco del Battistero di San Giovanni in Laterano, un oratorio in onore di San Giovanni Evangelista, che gli ha salvato la vita. Una iscrizione, che ancora oggi è possibile leggere, ricorda la dedicazione di questo altare: “LIBERATORI SUO BEATO IOHANNI EVANGELISTAE HILARUS EPISCOPUS FAMULUS CHRISTI” (6).
La storia di Ilaro non è della massima importanza; ma è un’occasione per cercare di comprendere la problematica teologica del suo tempo, soprattutto dal concilio di Efeso a quello di Calcedonia. E questa è di un’importanza straordinaria: in essa sono poste le basi definitive della teologia sul mistero della persona di Cristo.
Da “La Nuova Sardegna del 1968” in occasione del 1500 esimo annoversario
della morte di Papa Ilaro.
Pietro Meloni