“Padre Giovanni Puggioni S. J. 1922-2009. Una figura di apostolo” di Pietro Meloni già vescovo di Nuoro
Grazie alla biografia: “Padre Giovanni Puggioni SJ. Testimone di carità in Africa”, alla notevole sezione fotografica, all’appendice documentaria, l’autore del volume, il P. Guglielmo Pireddu, suo confratello e successore nella conduzione delle sue attività, fa conoscere un’opera importante, che ha coinvolto migliaia di benefattori e volontari, dei quali oltre duecento si sono recati in viaggi di cooperazione umanitaria.
Il testo ripercorre i quarant’anni di dedizione al terzo mondo che P. Giovanni Puggioni visse dal 1963, inizialmente all’interno della Lega Missionaria Studenti, e poi dal 1983 con “Operazione Africa”. Una storia complessa, irta anche di difficoltà e di domande, a cui l’autore cerca di dare qualche risposta. Qu riportiamo la testimonianza del Vescovo emerito di Nuoro Mons. Pietro Meloni. (La Redazione)
Ho conosciuto il Padre Giovanni Puggioni verso l’anno 1960 nel Pensionato Universitario dei Gesuiti accanto alla chiesa di San Michele. Sapendo che io avevo concluso gli studi universitari ed ero impegnato nell’educazione dei ragazzi nell’Azione Cattolica, mi invitò a collaborare con lui nell’apostolato studentesco, del quale era animatore nella “Lega Missionaria Studenti”. Era un animo ardente del fuoco dello Spirito Santo e con il suo spirito missionario desiderava infiammare i giovani all’ideale missionario. E si rendeva disponibile a dare una mano anche al nostro impegno educativo nella Gioventù di Azione Cattolica, con la quale negli anni successivi organizzammo un Corso per animatori di Campi-Scuola a Cagliari presso la Casa di Cristo Re, al quale parteciparono educatori di tutta la Sardegna.
Fin dal primo colloquio mi apparve un sacerdote di fede genuina e dal cuore missionario, con una grande passione per Gesù e per i giovani, ai quali leggeva nel cuore, scolpendo nel suo cuore i loro nomi e i loro volti per non dimenticarli più. Li riconosceva uno per uno anche incontrandoli dopo lungo tempo e riprendeva il colloquio dove lo aveva interrotto. Con la sua voce flebile e serena comunicava il suo messaggio entusiasmante, li contagiava del suo zelo e li conquistava all’ideale della missione.
Ardeva dal desiderio di guidare i giovani alla scoperta del senso della vita e alla vera gioia. Aveva una particolare devozione per il Sacro Cuore di Gesù e per il Cuore Immacolato di Maria. Il suo primo segreto e il punto di partenza dell’azione pastorale era la preghiera. Tutti i giovani che incontrava li invitava al “gruppo di preghiera”, comunicando l’esperienza che la preghiera è incontro con Cristo e incontro tra fratelli. E molti giovani, partendo per i loro paesi e le loro città, divenivano fondatori di nuovi gruppi di preghiera, imitando l’ardore di Padre Giovanni. Una sua arma vincente fu la preghiera del Santo Rosario, che aveva l’ardire di proporre ai giovani, i quali da lui ispirati comprendevano che era la preghiera dei semplici che hanno un cuore grande.
Un bel giorno partì per Il Congo-Zaire con un gruppo di studenti medi e universitari, riuscendo a fondare nei territori più poveri alcune scuole, finché maturò il sogno di realizzare il grande progetto del rinnovamento e ampliamento dell’ospedale di Mosango con l’Operazione Africa. E molte altre furono le sue realizzazioni missionarie in Africa, in Europa e in America Latina.
Qualcuno lo definiva un “santo”, anzi un “santo fino alla follia”, perché nella sua coerenza al Vangelo giungeva a vertici di eroismo, immolandosi per il Signore e per la gente, e a questa altezza di virtù cristiana riusciva spesso a coinvolgere i più sensibili e i più devoti, molti dei quali abbracciarono l’ideale della consacrazione religiosa.
Non vi era in lui all’apparenza nulla di straordinario, anzi appariva un uomo semplice e dimesso, ma si intuiva che aveva un cuore grande. Aveva una straordinaria capacità di ascolto delle persone che lo cercavano e si confidavano con lui, ed appariva sorridente e rasserenante, soprattutto con quelli che erano angustiati da grandi problemi esistenziali. Ed anche in Sardegna si dedicava in modo speciale agli orfani e ai bambini abbandonati.
Vedendo un incessante movimento di persone attorno a lui, i suoi superiori si allarmavano, perché nella comunità religiosa raramente lo vedevano a pranzo e la sera lo vedevano rincasare molto tardi e saltare spesso anche la cena. Spesso rinunziava anche alle ore del sonno.
Quelli che gli erano più vicini gli raccomandavano di rallentare il ritmo delle sue attività e riposarsi un po’, ma lui rispondeva con santa ironia che si sarebbe riposato in paradiso. Era un segno del suo zelo infaticabile e della sua aspirazione alla patria celeste. Eppure sulla terra si sentiva a suo agio, inventando sempre nuove iniziative. Era un vulcano di creatività pastorale, un vulcano che talvolta sembrava spento, ma che si accendeva visibilmente di ardore apostolico.
Fino al giorno in cui un “ictus” fermò il suo cammino. Ma lui non si arrese e anche dal suo letto di sofferenza continuava a guidare i suoi figli spirituali, accogliendo il dolore con ammirabile serenità cristiana. Forse il suo momento più significativo fu proprio l’apostolato della sofferenza.
Ho conosciuto il Padre Giovanni Puggioni verso l’anno 1960 nel Pensionato Universitario dei Gesuiti accanto alla chiesa di San Michele. Sapendo che io avevo concluso gli studi universitari ed ero impegnato nell’educazione dei ragazzi nell’Azione Cattolica, mi invitò a collaborare con lui nell’apostolato studentesco, del quale era animatore nella “Lega Missionaria Studenti”. Era un animo ardente del fuoco dello Spirito Santo e con il suo spirito missionario desiderava infiammare i giovani all’ideale missionario. E si rendeva disponibile a dare una mano anche al nostro impegno educativo nella Gioventù di Azione Cattolica, con la quale negli anni successivi organizzammo un Corso per animatori di Campi-Scuola a Cagliari presso la Casa di Cristo Re, al quale parteciparono educatori di tutta la Sardegna.
Fin dal primo colloquio mi apparve un sacerdote di fede genuina e dal cuore missionario, con una grande passione per Gesù e per i giovani, ai quali leggeva nel cuore, scolpendo nel suo cuore i loro nomi e i loro volti per non dimenticarli più. Li riconosceva uno per uno anche incontrandoli dopo lungo tempo e riprendeva il colloquio dove lo aveva interrotto. Con la sua voce flebile e serena comunicava il suo messaggio entusiasmante, li contagiava del suo zelo e li conquistava all’ideale della missione.
Ardeva dal desiderio di guidare i giovani alla scoperta del senso della vita e alla vera gioia. Aveva una particolare devozione per il Sacro Cuore di Gesù e per il Cuore Immacolato di Maria. Il suo primo segreto e il punto di partenza dell’azione pastorale era la preghiera. Tutti i giovani che incontrava li invitava al “gruppo di preghiera”, comunicando l’esperienza che la preghiera è incontro con Cristo e incontro tra fratelli. E molti giovani, partendo per i loro paesi e le loro città, divenivano fondatori di nuovi gruppi di preghiera, imitando l’ardore di Padre Giovanni. Una sua arma vincente fu la preghiera del Santo Rosario, che aveva l’ardire di proporre ai giovani, i quali da lui ispirati comprendevano che era la preghiera dei semplici che hanno un cuore grande.
Un bel giorno partì per Il Congo-Zaire con un gruppo di studenti medi e universitari, riuscendo a fondare nei territori più poveri alcune scuole, finché maturò il sogno di realizzare il grande progetto del rinnovamento e ampliamento dell’ospedale di Mosango con l’Operazione Africa. E molte altre furono le sue realizzazioni missionarie in Africa, in Europa e in America Latina.
Qualcuno lo definiva un “santo”, anzi un “santo fino alla follia”, perché nella sua coerenza al Vangelo giungeva a vertici di eroismo, immolandosi per il Signore e per la gente, e a questa altezza di virtù cristiana riusciva spesso a coinvolgere i più sensibili e i più devoti, molti dei quali abbracciarono l’ideale della consacrazione religiosa.
Non vi era in lui all’apparenza nulla di straordinario, anzi appariva un uomo semplice e dimesso, ma si intuiva che aveva un cuore grande. Aveva una straordinaria capacità di ascolto delle persone che lo cercavano e si confidavano con lui, ed appariva sorridente e rasserenante, soprattutto con quelli che erano angustiati da grandi problemi esistenziali. Ed anche in Sardegna si dedicava in modo speciale agli orfani e ai bambini abbandonati.
Vedendo un incessante movimento di persone attorno a lui, i suoi superiori si allarmavano, perché nella comunità religiosa raramente lo vedevano a pranzo e la sera lo vedevano rincasare molto tardi e saltare spesso anche la cena. Spesso rinunziava anche alle ore del sonno.
Quelli che gli erano più vicini gli raccomandavano di rallentare il ritmo delle sue attività e riposarsi un po’, ma lui rispondeva con santa ironia che si sarebbe riposato in paradiso. Era un segno del suo zelo infaticabile e della sua aspirazione alla patria celeste. Eppure sulla terra si sentiva a suo agio, inventando sempre nuove iniziative. Era un vulcano di creatività pastorale, un vulcano che talvolta sembrava spento, ma che si accendeva visibilmente di ardore apostolico.
Fino al giorno in cui un “ictus” fermò il suo cammino. Ma lui non si arrese e anche dal suo letto di sofferenza continuava a guidare i suoi figli spirituali, accogliendo il dolore con ammirabile serenità cristiana. Forse il suo momento più significativo fu proprio l’apostolato della sofferenza.
Aggiungiamo una lettera inviata dall’Africa ad una zelatrici di Cagliari:
“Mosango 12 agosto Carissima, come ti avevo premesso ti scrivo da Mosango, dopo aver provato diverse esperienze.
Il viaggio è stato avventuroso perché non funzionava una zattera per il trasporto nel Quang, abbiamo dovuto fare una deviazione di 300 km insabbiandoci diverse volte e dormendo una notte in camion al freddo!
Il viaggio è durato tre giorni per superare 800 km.
Lavoriamo con entusiasmo dalle 7 del mattino fino a pranzo e riprendiamo alle 14.
La facciata della nostra costruzione è di 45 m e la lunghezza di 14 m.. Hanno sbancato per le fondamenta 2500 metri cubi di terra.
Lavoriamo fianco a fianco ai neri e ci intendiamo già nel loro dialetto: il Kikongo.
Oggi 12 hanno cantato la messa per noi nel lebbrosario, giovedì scorso hanno eseguito danze e canti.
Sabato prossimo andremo dal capo regione dietro suo invito.
Fra le emozioni più vive, la visita ai lebbrosi, ai villaggi vicini.
Ha dato una grande gioia, dopo un giornata dura di lavoro per sistemare 500 m. di acquedotto, veder arrivare l’acqua per la prima volta nei due fondi .
Tutti sono con noi molto cordiali e con loro ci troviamo come in famiglia.
Il tempo qui vola troppo celermente. Ci ritroveremo a Dio piacendo il 2 settembre.
Noi arriveremo a Cagliari carichi di grazia e di entusiasmo, con l’aereo proveniente da Roma verso le 18,50. Padre Puggioni”
+ Pietro Meloni
Vescovo Emerito di Nuoro
15 giugno 2019 – Giorno della beatificazione di Edvige Carboni