Donna Lucia Tedde e i suffragi per la sua anima a cura di Angelino Tedde, Andreina Cascioni, Giovanni Soro
Il Coronavirus ha impedito a molti “l’ingaglioffamento” a S’Istradone dove da una parte , quella circolare, tiene banco il Tribunale della Pubblica Charra, Sezione Civile, mentre dall’altra parte siede un più ristretto Tribunale della Pubblica Charra, Sezione Penale. Allora i nostri compaesani si son dati alla ricerca storica, chi in ritiro nei suoi poderi, chi, invece, nelle sue pubbliche spelonche scrivendo incredibili monografie su Chiaramonti e i nostri personaggi. I Pensionati, invece, quelli aristocratici, continuano a fare storia popolare, orecchiando, leggiucchiando e frugando virtualmente negli archivi alla ricerca della nobile storia dei nostri antenati della Sardegna Sabauda del primo Settecento. Passando nei pressi del Cimitero, un “bulione”prima e un “tribizone” poi ha fatto volare tre “pabiros” che raccolti, e forse perduti da un’anima purgante, passando dal Purgatorio in Paradiso, ha voluto lasciar segni della sua memoria. Eccoli, trascritti, alla lettera, vi mostriamo i tre foglietti per offrirvi pane per le prossime chiacchiere nei citati Tribunali della Pubblica Charra!
(I tre raccoglitori Tedde, Cascioni, Soro)
“Lascio pure legati all’Oratorio di Santa Croce di Chiaramonti venti scudi, compresa in essa somma il dritto di accompagnamento del mio cadavere, il che voglio che serva in benefizio di detto oratorio.
Lascio all’Oratorio di Santissimo Rosario di Chiaramonti centoventi scudi, perché si abbiano da fincare [produrre interessi] e dal prodotto dei medesimi si debbano fare le due feste della Santissima Vergine nel mese di ottobre e nel maggio l’altra detta delle Rose con assistenza dell’apparato, e cento lumi, e ciò che sopravvanzerà all’altro per il Paneggirico, e nel caso che ciò non si eseguisca dalla confraternita lo incarico ai miei curatori perché essi lo facciano a loro piacimento, onde si eseguisca quanto ho ordinato per essa, cioè la mia volontà e ciò in perpetuum.
Lascio al convento dei Padri Carmelitani di Chiaramonti centoventi scudi perché debbano fincarsi [produrre interessi], e il loro prodotto si debba fare la festa della Santissima Vergine del Carmelo nel giorno proprio e nello stesso convento con cento candele e quattro torce e panegirico per questa mia espressa volontà.
Lascio alla Chiesa di San Matteo parrocchiale di Chiaramonti [quella del Monte] cinquanta scudi per benefizio della medesima chiesa.
Lascio alla Chiesa rurale di San Giovanni di Chiaramonti dieci scudi.
Lascio alla chiesa rurale di Santa Giusta di Chiaramonti detta volgarmente di Nuraghe Longu, il pezzo della terra denominata del Monte Piscamu della capacità a seminerio di cinque rasieri.
Lascio alla Chiesa Rurale di Santa Maria de Aidos di Chiaramonti il pezzo della terra detta “Sa Argiola de Sa Codina” che era del fu Francesco Falchi e il pezzo della terra detta “De Minchioroni” che era bene dello stesso defunto Falchi.
Lascio alla Chiesa di Santa Giusta de Sabba [S’Aba] di Chiaramonti venticinque scudi in benefizio della stessa chiesa
Lascio alla Chiesa rurale di San Sisto, che si trova incorporata dentro la tanca che possiedo perché abbiano da fincarsi e dei frutti di essi si faccia la festa con assistenza del parroco e venticinque lumi e se sopravvanzasse qualche cosa debba impiegarsi in benefizio della stessa chiesa posta nei territori di Chiaramonti.
Lascio jure legati alla Chiesa rurale di San Michele Arcangelo, la somma di venti scudi sita in territorio di Chiaramonti.
Lascio al Collegio delle Scuole Pie della città di Sassari cento scudi per celebrarmeli in tante messe recitate per Dio ed il suffraggio dell’anima mia.
Lascio al convento della Vergine del Carmine della detta città di Sassari, cento scudi per celebrarmisi in tante messe annuali.
Lascio centoventi scudi di proprietà per doverli reinvestire e dal prodotto di essi debba celebrarsi nel lunedì di ogni rispettiva settimana una messa cantata a ragione di due reali cadauna nella Chiesa del Carmine di Chiaramonti in suffraggio (sic) delle anime di Chiaramonti e non celebrandosi dagli stessi MM. [RR] PP. I miei infrascritti curatori ai quali do la facoltà la facciano celebrare nella detta [chiesa] di Chiaramonti.
Lascio al mio cugino Don Andrea Satta Tedde li due palazzi che tengo nella città di Sassari perché durante la di lui vita naturale sia padrone dei frutti di essi a seguito il suo decesso i miei curatori debbano fondare una messa quotidiana in quanto basterà il prodotto di essi e detta messa la celebri quel sacerdote che sarà di piacimento degli stessi miei curatori.
Lascio il mio abito di broccato rosso di setta (sic) perché da esso si facciano due pianete una per l’Oratorio del Rosario e l’altra per la Chiesa di San Matteo.
Lascio a Caterina Pintus le case nelle quali abita che si compongono di tre camere, con l’obbligo di far celebrare ogni anno cinque messe basse in suffraggio delle anime di Filippo Tedde e di Caterina Pisanu in perpetuum.
Voglio che in seguito il mio decesso mi si celebri ogni anno nel giorno che accaderà la mia morte, e nella cappella di Sant’Antonio per cui oggetto lascio un censo di proprietà cento lire e pensione annua di lire otto, dalle quali si dovrà pagare la detta Messa ed il rimanente in tanta cera, rimanendo la stessa cera a pro del detto convento e tutto questo lo lascio a piacimento dei miei curatori per Dio e in suffraggio dell’anima mia.
Voglio ed è mia espressa volontà che si abbia da fondare una Messa recitata quotidiana sopra tutte le terre nella Viddazzoni de Sambingios santa giusta sambingios su Istaraque Badu Orta e Rabanellu incorporandosi il pezzo de Matariga dell’alyra Viddazzoni, ed il rimanente che mancherà per il conseguimento del fondo di detta Messa e frutti, lascio la somma di centoventi scudi che mi resta dovendo[mi] la mia sorella Donna Angela Tedde ed altri cento scudi che tengo in casa e nel caso non si trovasse la tal partita di denaro che debbano prelevarli dai miei dippiù beni i miei infrascritti curatori.”
Questo parziale testamento della nobildonna Lucia Tedde [Delitala] fa parte del testamento più esteso che ella dettò il 3 febbraio del 1755 a rogito del notaio Vacca Guiso probabilmente di Sassari.
Perché Lucia Tedde? I Piemontesi avevano imposto sicuramente ormai l’uso di un solo cognome. Può anche darsi, tuttavia, che la stessa nobildonna, vista la dispersione che il Rivarolo, per mezzo del suo incorruttibile e feroce Commissario Cadello, fece dei Delitala di Nulvi, preferì abbandonare il cognome Delitala per non attirare su di sé l’attenzione dello stesso dal momento che era già stata condannata dal precedente viceré marchese di Castagnole e di Barolo.
Tra i Delitala, quelli che ebbero la massima punizione, cioè la pena di morte, furono don Giovanni Delitala Pintus e don Michele Delitala. Entrambi, dopo un periodo di detenzione presso il Castello di Ceva furono trasferiti al Castello d’Ivrea da cui chiesero invano clemenza e ivi morirono.
Gli altri fuggirono in Corsica o in Spagna o furono esiliati in varie città dell’Isola, lontani da Nulvi e dai centri dell’Anglona luogo dei loro reati.
Questo documento, che avremo modo di illustrare come si conviene, lo pubblichiamo poiché rientra nella scelta da noi fatta di mettere a disposizione di chi lo desideri quanto riusciamo a rintracciare negli archivi e non certo per “bruciare” chi tiene in cassaforte i documenti da noi rintracciati.
Ringraziamo a riguardo il prof. mons. Giancarlo Zichi, fondatore e direttore dell’archivio diocesano di Sassari.