“L’epidemia fra congetture, dati numerici, processi fisiopatologici e spinte “razionali”” di Francesco Domenico Capizzi di Mente Politica
Cominciamo dai dati statistici disponibili su questa epidemia nazionale. Parlano chiaro: nei due terzi le persone decedute presentano nelle loro anamnesi da 2 a 3 malattie associate (in prevalenza ipertensione arteriosa, diabete, obesità), con età media di 81 anni e con circa 20 anni in più rispetto all’età media delle persone risultate positive al virus. In particolare, i decessi si sono verificati nel 14.1% con età superiori ai 90 anni, nel 42,4% nella fascia compresa fra gli 80 e gli 89 anni con una lieve prevalenza del sesso maschile, nel 32.4% fra i 70 e i 79 anni, nell’8.4% fra i 60 e i 69 anni, nel 2.8% tra i 50 e i 59 anni (Istituto Superiore di Sanità).
Ai dati numerici accostiamo ora gli aspetti fisiopatologici prodromici di ogni malattia, comprese le malattie infettive, almeno per quanto riguarda il decorso e gli esiti finali: essenzialmente, lo stato di malattia deriva da forzature, deformazioni, logoramenti e rotture dei meccanismi di difesa e di equilibrio (omeostasi) insiti negli organismi, divenuti instabili a causa delle persistenti precarie condizioni psico-fisiche derivate da errati stili di vita e ambientali sotto cui la persona ha vissuto. La loro combinazione con l’agente patogeno, nel nostro caso il Coronavirus, va a creare fenomeni di potenziamento reciproco, una sorta di corto-circuito, a causa di età avanzate, preesistenti logoramenti fisici, defedamenti organici e psicologici, condizioni di stress, malattie metaboliche e degenerative, obesità, ipertensioni arteriose, cardiopatie, alcoolismi, tabagismi, alimentazioni errate, consumo di droghe, assunzioni cospicue e continuate di farmaci immunodepressivi, antibiotico-resistenza, inquinamenti significativi, ecc.. Cioè, il grado di efficienza dei meccanismi omeostatici è centrale per contrastare l’agente patogeno virale penetrato nell’organismo e i suoi effetti nocivi. Meccanismi omeostatici indeboliti, con ogni probabilità, non potranno evitare la conseguente estensione polmonare dell’infezione virale fino ad alterare e rendere insufficienti gli scambi gassosi dell’organismo, la possibile sovrapposizione batterica, la ventilazione artificiale e, ciononostante, l’insufficienza respiratoria acuta non dominabile e, infine, un tasso elevato di exitus.
Chiariti i meccanismi patogenetici che condizionano l’evoluzione della malattia, si può rispondere, su basi solide, alla domanda se i decessi avvengano “per il virus o con il virus”: certamente “per il virus”, che quasi sempre agisce drammaticamente su un terreno predisposto dalle note condizioni patologiche preesistenti.
Circola la convinzione che l’Italia uscirà cambiata da questa terribile esperienza e che nulla resterà come prima. E’ probabile, ma soprattutto è davvero auspicabile che ciò avvenga verso molteplici direzioni:
I° – l’acquisizione di una robusta coscienza deontologica di vivere in una Comunità;
II° – fornire informazioni dettagliate ed inequivocabili, fin dalle Scuole primarie e in tutte le forme di trasmissione del Sapere fatta salva l’autonomia didattica, sulle origini dei grandi gruppi di malattie pandemiche, la loro evitabilità e prevenibilità;
III° – l’impegno programmato per l’eliminazione dei molteplici cancerogeni circolanti, di amianto ed emissioni tossiche;
IV° – tutti quei provvedimenti che favoriscano aggregazioni, assistenze attive e mirate per contrastare la povertà, la solitudine ed il decadimento fisico e mentale;
V° – accantonare definitivamente l’idea orribile e pericolosissima, che va consolidandosi in nome della “razionalità emergenziale”, secondo cui si possano adottare principi riservati alla dottrina della “Chirurgia di guerra”: soccorrere chi con maggiore probabilità “può farcela”. Una scelta tanto disumana è inaccettabile ed incompatibile, sotto ogni punto di vista, con il nostro grado di Civiltà: si moltiplichino, piuttosto, immediatamente i mezzi necessari in termini di apparati tecnologici e di sanitari senza badare a spese!