Categoria : cultura

“L’0rigine dei Delitala di Chiaramonti” secondo i Quinque Libri di Castello Cagliari

Famiglia d’origine corsa trasferitasi in Sardegna a metà del secolo XV. 1 Sono noti due rami Delitala, originari il primo di Macomer, e il secondo di Chiaramonti. Furono forse di quest’ultimo i Delitala residenti a Cagliari dagli inizi del XVII secolo.

I Quinque Libri di Castello registrano i Delitala a partire da Angelo Delitala y Amat. I dati in nostro possesso possono essere riordinati in quattro generazioni


PRIMA GENERAZIONE
Alla prima generazione appartennero

Angelo Delitala y Amat sposò il 25 febbraio 1617 Maria de Castelvì y Amat, figlia di don Angelo de Castelvì y Cavaller e di donna Giovanna Amat che gli era cugina essendo le madri sorelle. Il matrimonio, celebrato in casa, ebbe per testimoni don Francesco de Castelvì e don Giuliano de Abella. Maria Delitala y de Castelvì morì a Cagliari il 21 febbraio 1640 e fu sepolta in San Francesco di Stampace. I loro figli appartennero alla seconda generazione.

Stefano Delitala fu Console dei Genovesi ad Alghero ove abitò: e lì nacque suo figlio, Angelo Delitala che sposò Ines Porcu. Fu padre di Gerolamo Delitala, fatto cavaliere nel 1578 e nobile nel 1580. Gerolamo Delitala, Cavallerizzo Maggiore di Sua Maestà, sposò donna Speranza Amat y de Ferrera. Furono loro figli Angelo e Gaspare Delitala, originari di Alghero, che si trasferirono a Cagliari ai primi del 1600.

Questa Maria de Castelvì viene citata, nei Quinque Libri, come Maria Amat, il che ha fatto nascere l’idea che Angelo Delitala avesse avuto due mogli, Maria de Castelvì, la prima, e Maria Amat, la seconda. Alcune osservazioni sembrano smentirla: in primo luogo il fatto che Giuseppe Delitala, figlio di Angelo, battezzato nel Duomo di Cagliari il 10 novembre 1627 come figlio di donna Maria Amat2 è in seguito detto Delitala y Castelvì; poi la presenza, al battesimo dello stesso Giuseppe di Giovanna Amat3, madrina e nonna del battezzando; infine, quando il 12 febbraio 1645 Giuseppe Delitala sposò, in Duomo, Giustina Sanna y Castelvì, vedova di Francesco Fadda, il domer, Francesco Tolo, annotò che i due erano consanguinei in 3° grado, il che vuol dire che avevano un bisnonno comune: questo bisnonno era Emanuele de Castelvì y Alagon.

Gaspare Delitala y Amat, fratello di Angelo, fu Consigliere Civico in 4a a Cagliari nel 1616. Morì quello stesso anno per una coltellata. Ebbe ufficio canonicale dal canonico Baccallar che lo accompagnò con tutto il Capitolo sino alla chiesa dei Francescani di Cagliari ove fu sepolto4. Pietro Giovanni Delitala, naturale de La Marina, religioso, beneficiato del duomo di Cagliari, morì il 16 gennaio 1616.

SECONDA GENERAZIONE
Alla seconda generazione appartennero i figli di Angelo Delitala e di Maria de Castelvì
Albat, morto il 19 aprile 1625.
Albat, morto il 16 novembre 1626.
Giuseppe Saturno Delitala y Castelvì, battezzato in duomo il 10 novembre 1627 dal canonico Arquiles Busquets con padrini don Giuliano de Abella e donna Giovanna Amat. Fu Governatore del Capo di Cagliari e di Gallura dal 1679 al 1686. Dal 1686 al 1687 fu Viceré di Sardegna in attesa della nomina di don Nicola Pignatelli5. Fu Cavallerizzo Maggiore del Re, come lo era stato il nonno Gerolamo, e cavaliere di Calatrava nel 16636. Uomo di cultura e letterato, Giuseppe Delitala fu

1 Nel 1478 Stefano Delitala comandante delle fortezze del Logudoro durante la guerra che gli Aragonesi condussero contro Leonardo de Alagon
2 Q.L. Castello n. 6, fg. 37 v.
3 Era madre di Maria Delitala.

4 Q. L. Castello n. 5, fg.223.
5 J.Mateu Ibars, 1964, vol. II, pagg. 166 e sg.
6 A.Javierre Mur, 1962, pag.193, lo dice figlio di Angelo Delitala e di Speranza Amat, naturale di Alghero, ma poi la stessa Speranza Amat compare come moglie di Gerolamo

delicato poeta, e lasciò pubblicazioni apprezzate dalla critica7. Il 12 febbraio 1645 sposò donna Giustina Sanna, vedova di Francesco Fadda e figlia di don Giuseppe Sanna, 4° Signore di Gesico, e di Eulalia de Castelvì. Le nozze furono celebrate dal canonico Luxori Roger davanti a don Diego de Aragall, Viceré per quell’anno, e a don Gioachino Carròç y Çentelles, marchese di Quirra. Il domer Francesco Tolu, nel registrare l’evento, annotò che gli sposi erano in 3° grado di consanguineità. I loro figli appartennero alla terza generazione. Giustina Delitala y Sanna Castelvì morì il 26 ottobre 1679. Don Giuseppe Delitala morì a Cagliari il 15 agosto 1689. Fu sepolto di notte nella chiesa di Santa Maria de Jesus con ufficio pontificale. Ebbe anche una messa da requiem pontificale in duomo per la quale aveva depositato 100 scudi. A Giuseppe Delitala y de Castelvì P. Tola, nel suo Dizionario, dedicò una lunga nota, e Pietro Martini, nelle sue Biografie, una nota più breve.

Michele Carlo Delitala y de Castelvì, battezzato il 3 ottobre 1629 dai padrini reverendo Francesco Tolu e Mariangela Vico.
Stefano Gerolamo Delitala y de Castelvì, battezzato il 29 dicembre 1631 dai padrini reverendo Giovanni Andrea Coreri e Giovannangela Vico. Fu religioso, canonico del duomo di Cagliari e decano capitolare a Cagliari. Morì il 27 dicembre 1696 e fu sepolto nella chiesa di San Giacomo. Emanuele Delitala y de Castelvì, nato nel 1632 e battezzato per necessità dalla levatrice Giovanna Filipi. Il domer fece la funzione regolare in chiesa il 29 novembre. Morì il 9 gennaio 16338.

Giovanni Battista Delitala y de Castelvì, gemello di Emanuele, anch’esso battezzato prima dalla levatrice Giovanna Filippi e il 29 novembre 1633 dal domer Francesco Tolu.
Dionigi Emanuele Delitala y de Castelvì battezzato il 14 ottobre 1634 dai padrini il dottor Antonio Guiò e Gerolama Ursena. Fu Tesoriere del Regno nel 1671. Sposò Gregoria Dexart, figlia di don Giovanni Dexart e di donna Maria Narro de Ruecas. I loro figli appartennero alla terza generazione.

Giovanna Teresa Delitala y de Castelvì, battezzata il 9 febbraio 1636 dai padrini reverendo Francesco Manca e Caterina Fillol.
TERZA GENERAZIONE
Appartennero alla terza generazione

  1. A) i figli di don Giuseppe Delitala e di donna Giustina Sanna
    Angelo Giuseppe Delitala y Sanna, battezzato il 26 dicembre 1645 dal canonico Luxori Roger e padrini don Bernardino de Çervellon, naturale di Sassari, e donna Giovanna Silva, di Cagliari Gerolamo Giuseppe Delitala y Sanna, battezzato il 27 gennaio 1647 dal canonico Francesco Gallo e padrini don Giovanni Battista Amat, marchese di Villarios, e donna Maria Deyar, contessa Mayno. Fu religioso e canonico.
    Francesco Giuseppe Delitala y Sanna, battezzato il 4 aprile 1648 dal canonico Serafino Esquirro e padrini don Jaime Artal de Castelvì e donna Serafina de Castelvì.
    B) Figli don don Emanuele Delitala e donna Gregoria Dexart
    Tomaso Francesco Delitala y Dexart, battezzato il 7 agosto 1672 dal canonico Gerolamo Delitala con padrini don Giuseppe Delitala , cavaliere di Calatrava e Governatore del Capo di Cagliari e di Gallura, e donna Clementa Roger y Sanna9. Il 17 giugno 1690 sposò donna Giuseppa Manca y de Castelvì, figlia di don Antonio Manca, conte di San Giorgio, e donna Caterina de Castelvì. Fecero da testimoni don Francesco Sanjust minor10 e don Giovanni Battista Alemain. Don Tomaso Delitala fu a sua volta Governatore del Capo di Cagliari e di Gallura. I figli di Tomaso Delitala appartennero alla quinta generazione.

Delitala, padre di Angelo. In realtà Angelo Delitala sposò Maria de Castelvì y Amat, e Speranza era sua nonna.
7 Tra le quali molto citata la “Cima del Monte Parnaso Español con le tre muse castellane Caliope, Urania y Euterpe.” En Caller por Onofrio Martin, 1672.

8 Il 9 gennaio 1633 il domer registrò la morte di un albat, figlio di don Angelo Delitala, senza indicazione del nome. E’ probabile che si tratti di questo Emanuele e non del suo gemello: infatti due anni dopo Angelo Delitala fece dare al nuovo figlio il nome di Dionigi Emanuele.
9 Il 12 aprile 1693 Tomaso Delitala fece da padrino al battesimo di Isabella Anna Masons y Martì, e il domer Agostino Rubi lo dice Governatore del Capo di Cagliari e di Gallura

10 Francesco Sanjust minor potrebbe essere il figlio di Dalmazzo Sanjust, detto minor per distinguerlo dal nonno Francesco Sanjust, allora ancora in vita

Maria Francesca Delitala y Dexart, battezzata il 7 aprile 1674 dal canonico Giovanni Montanacho e padrini don Francesco Montanacho e donna Teresa de Alagon, marchesa di Villasor. Morì il 10 novembre 1679.
Giovanna Maria Delitala y Dexart, battezzata il 7 agosto 1675 dal canonico Salvatore Carcassona e padrini don Giovanni Francesco de Castelvì, marchese di Laconi, e donna Antonia Baccallar. Il 27 giugno 1688 sposò don Francesco Sanjust y Manca, figlio di don Dalmazzo Sanjust e di donna Maria Manca. Le nozze, celebrate in casa, ebbero per testimoni don Giuseppe Delitala, Governatore del Capo di Cagliari e di Gallura, e don Francesco Sanjust, Governatore del Capo di Sassari e Logudoro.

QUINTA GENERAZIONE
Appartennero alla quinta generazione i figli di Tomaso Delitala e di Giuseppa Manca
Emanuele Gerolamo Antonio Vincenzo Francesco Ignazio Lino Benito Sisinnio Delitala y Manca, battezzato il 21 aprile 1697 dal canonico don Gavino de Aquena e padrini don Manuele Delitala e donna Gregoria Delitala y Dexart.
Giovanni Battista Delitala y Manca, battezzato il 22 gennaio 1699 dal canonico Isidoro Masones e padrini il conte di San Giorgio, don Francesco Manca, e donna Minia Brunengo y Baccallar.Morì il 31 gennaio 1699 e fu sepolto nella chiesa di Jesus.

 

Catalogo delle famiglie nobili sarde del 1902

DELITALA Gio. Antonio, di Salvatore Giuseppe, di Pietro.

Figlio:
Pietro Giovanni

Origine: Chiaramonti.
Dimora: Pozzomaggiore.
Titoli e titolare: Cavaliere (m), Nobile (mf), Don (mf).
U.r.: Salvatore Giuseppe (1822).

DELITALA di Giuseppe, di Salvatore Giuseppe, di Pietro.

Figlio:
Pasquangela,
Michele,
Domenica,
Pietro,
Luisa.

Origine: Chiaramonti.
Dimora: Pozzomaggiore.
Titoli e titolare: Cavaliere (m), Nobile (mf), Don (mf).
U.r.: Salvatore Giuseppe (1822).

DELITALA di Giuseppe, di Giovanni Battista, di Giovanni Battista.

Figli:
Giovanni Antonio,
Antonio,
Giuseppe Maria.

Origine: Chiaramonti.
Dimora: Bolotana.
Titoli e titolare: Cavaliere (m), Nobile (mf), Don (mf).
U.r.: Giovanni Battista (1822).

DELITALA di Giuseppe, di Giovanni, di Palmerio.

Fratelli:
Palmerio,
Caterina.

Origine: Chiaramonti.
Dimora: Bosa.
Titoli e titolare: Cavaliere (m), Nobile (mf), Don (mf).
U.r.: Palmerio (1822).

In “Dizionario Biografico Treccani”

DELITALA, Pietro. – Nacque a Bosa (prov. di Nuoro), da Niccolò e da Sibilla Dessena presumibilmente intorno al 1540.

La famiglia paterna, di antica origine corsa, apparteneva a quel ceto di nobiltà di toga che i conquistatori spagnoli valorizzarono, servendosene come amministratori fedeli contro la nobiltà sarda di origine feudale, bellicosa e ribelle alla Corona; Niccolò ottenne infatti nel 1563 il diploma di generositas, titolo nobiliare caratteristico dell’antico regno aragonese che premiava la fedeltà al sovrano nel servizio civile ed in quello militare. Nel corso dei secoli XVI e XVII, esponenti della famiglia Delitala, accompagnati dal titolo di “donzell”, furono presenti ai Parlamenti sardi come rappresentanti della città di Bosa. Diversissima l’ascendenza materna del D.: i Dessena facevano parte della nobiltà feudale del regno di Sardegna, benché originari di Siena attraverso un ramo della famiglia Piccolomini passato nell’isola alla metà del sec. XIV; erano visconti di Sanluri ed alleati del marchese di Oristano, l’ultimo feudatario sardo che tentò di opporsi alla conquista spagnola dell’isola.

Le notizie sulla vita del D. sono rare e scarsamente documentabili. Secondo il Martini la giovinezza del poeta fu segnata dal grande amore per una dama d’alto lignaggio, già sposata: il sospetto d’adulterio scatenò contro di lui la persecuzione del S. Offizio costringendolo all’esilio prima in Corsica poi in Italia; il Prunas Tola segnala la presenza del D. a Siena, presso i Piccolomini, alla data piuttosto precoce del 1562 “per sfuggire all’Inquisizione”. Sembra però improbabile che il tribunale dell’Inquisizione fosse intervenuto su un problema di giurisdizione ecclesiastica come l’adulterio. È credibile piuttosto che motivi di natura ideologica e religiosa abbiano consigliato al D. l’esilio; o, più banalmente, che la sua presenza a Siena sia stata causata da ragioni di studio.

Il D. fu dunque in gioventù a Siena per un periodo piuttosto lungo. Qui egli approfondì la conoscenza della lingua e della letteratura italiana tre-cinquecentesca, incontrò forse personalmente T. Tasso che a Siena soggiornò nel 1575 per visitare il commentatore della Poetica di Aristotele, Alessandro Piccolomini. Il D. dedicò infatti al Tasso un sonetto che, al di là delle manierate formule di ammirazione per il poeta famoso, può suggerire una vera consuetudine d’amicizia: “Tasso gentil ch’empi di luce il mondo / io che per reo destin da te m’ascondo / senza di te non volentier son meco…”. Dato per scontato l’apprendistato letterariolinguistico compiuto dal D. in Toscana, può essere soltanto un’ipotesi suggerita dallo sviluppo successivo delle sue vicende biografiche quella riguardante il soggiorno senese: il poeta sarebbe entrato in contatto con gruppi religiosi eterodossi, vicini alle idee riformate.

La vicenda di cui fu protagonista il D. al suo rientro in patria è al limite del tragico. Il Martini asserisce, sulla base di ricordi di famiglia, che il poeta tornò in patria economicamente rovinato; l’Inquisizione riaccese il vecchio processo, lo concluse con una condanna, una lunga prigionia ed infine una completa riabilitazione. Il fatto è che prima del 1595, data della prefazione alle Rime diverse scritta in Bosa, non abbiamo notizie sulla vita del D. se non quelle deducibili, e con prudenza, dalla sua stessa opera: questa infatti è costruita sul modello letterario petrarchesco e tassiano e fa propri tutti gli stilemi ed i topoi del genere, mostrando all’ingenuo lettore un poeta perseguitato dalla fortuna, disprezzato dal volgo, prigioniero d’amore infelice. Tuttavia nel 1595, un anno prima della stampa delle Rime munita di due diversi imprimatur, quello del S. Offizio firmato dal consultore generale G. Araolla già poeta affermato, e quello di un più oscuro delegato arcivescovile in data 1596, il D. visse libero nella sua città natale e dedicò in spagnolo l’opera al viceré don Gastone di Moncada marchese d’Aytona. Ma in un gruppo di sonetti intitolati agli inquisitori spagnoli di Sardegna, Alonso de la Peña e Juan Osorio de Sejas, il poeta riconobbe di aver meritato per i suoi “temerari” e “rischiosi passi” la punizione della “dotta mano” cui il “grande Ispano / ch’invitto defensor di Cristo regna” aveva affidato la salute morale dei suoi sudditi. Al di là di un generico atteggiamento d’umiltà e del necessario impetrare la benevolenza dei potenti funzionari del S. Offizio, le parole del D. fanno supporre veritiera la notizia di un suo processo e condanna. Tanto più che in un altro sonetto egli chiese la protezione del vescovo di Bosa G. F. Fara, che sappiamo rettore della diocesi nel 1591 e per soli sei mesi: questi versi portano l’indicazione “essendo l’autore nella prigione” e sono un’accorata protesta d’innocenza.

Un processo da parte dell’Inquisizione può inoltre spiegare la notizia, data dal Martini, di un improvviso impoverimento della famiglia Delitala: l’immediata confisca dei beni degli imputati è infatti in Sardegna l’unico mezzo di finanziamento del tribunale dell’Inquisizione e del suo numeroso personale.

Non sappiamo, allo stato attuale della documentazione archivistica edita, di che cosa il poeta fosse accusato, anche se appare probabile una condanna per generici motivi morali in un momento in cui i rapporti tesi fra tribunali ecclesiastici sardi ed Inquisizione di Spagna determinano la precisa attribuzione a quest’ultima delle cause di eresia e stregoneria. Certamente non si trattò, nel caso del D., di un processo importante, di una “causa” prestigiosa che l’Inquisizione spagnola avrebbe istruito direttamente o avocato a sé (come nel caso S. Arquer).

Se il D. era ancora in prigione nel 1591, ben presto riacquistò la libertà e poté dedicarsi a consolidare la sua posizione: dedicò dunque versi encomiastici al vescovo successore del Fara Antonio Atzori, al marchese Spinola, all’infanta Caterina, futura moglie del duca di Savoia Carlo Emanuele I. Libero, il D. era alla ricerca di protettori, forse di mecenati, perché lamentava la “ria sventura”, gli “oltraggi di Fortuna”; tuttavia si ha ragione di credere che abbia recuperato in breve tempo una posizione di prestigio. Un documento dell’Archivio di Cagliari mostra infatti un Pietro Delitala podestà di Bosa, encomiato pubblicamente nel gennaio del 1606 dal viceré Sanchez de Real per l’eroico comportamento in soccorso della popolazione colpita da un’inondazione. Morì qualche anno più tardi, sicuramente prima del 1626 poiché fra i rappresentanti della città di Bosa al Parlamento di quell’anno vengono menzionati vari esponenti della famiglia Delitala, fra i quali “Diego … de edad 20 anos y Francisco … de edad 18 anos germans donzells fills respective del quondam Pere … donzell de Bosa”.

Le Rime diverse, stampate in Cagliari con licenza de’ superiori per G. M. Galcerino s. d. [ma 1596], sono l’unica opera del D. giunta fino a noi. Presente in unico esemplare nella Bibl. univ. di Cagliari, è stata ristampata da V. A. Arullani, Di P. D. e delle sue Rime diverse, in Arch. stor. sardo, VII (1911), pp. 39-144; quindi in opuscolo, Cagliari 1911. È una raccolta di rime che può forse sorprendere in una situazione culturalmente e linguisticamente complessa come quella sarda di fine ‘500, dove l’influenza della cultura italiana si mescola a quella spagnola e G. Araolla compie un originale tentativo di elevare la lingua sarda a strumento di comunicazione letteraria, riappropriandosi di temi e motivi della religosità tradizionale isolana. Il D. è invece pienamente inserito nel gusto petrarchesco e disegna nelle sue Rime l’itinerario spirituale di un’anima che attraverso l’esperienza consapevole dell’errore e del peccato raggiunge la pace in Dio. Nota caratteristica della poesia del D. è infatti la coscienza di aver seguito il fascino di una rischiosa “navigazione per truculenti mari”, poiché “la ragione ai sensi porse / le man captive e corse / dove cieco il voler tra sterpi e dumi / e dirupi e cacumi / dietro se la traea vil prigioniera”. In nulla il D. si discosta dalla tradizione e dal repertorio tematico formale “toscano”, da Petrarca a Tasso, con qualche reminiscenza dantesca nei momenti di maggior pathos: una spia di questo percorso è la presenza, nei versi citati, di un termine tutto letterario come “dumi”. La Sardegna non compare nella sua poesia se non involontariamente, e lo rileva spiritosamente l’Alziator notando come nei versi del poeta “anche quando non sono del tutto brutti, si senta odor di ferracci, si avverta la ruggine e il rottame… ed essi rivelino… la non eccessiva dimestichezza col toscano di chi, nato e vissuto tra volgare sardo e castigliano, divenne un bel giorno, per volontà di eventi e capriccio d’artista, poeta italiano” (p. 113).

Pubblicando la sua opera presso un editore, il cagliaritano Galcerino, che ebbe un’attività esclusivamente di carattere ufficiale al servizio del governo e della Chiesa, e consapevole di scrivere per una ristretta élite, il D. nella prefazione in lingua italiana alle Rime respinge l’idea che l’uso dell’idioma toscano, “lengua veramente molto aliena da noi”, sia una scelta temeraria “intendendo anche che più obligato era scrivere in lengua sarda come materna o spagnola come più usata et ricevuta in questa nostra isola”. L’unico poeta sardo in lingua italiana del ‘500 non impiega dunque il toscano per polemica verso la supremazia politicoculturale spagnola ma piuttosto per esprimere una malinconica indicazione di cultura e di gusto. Questa scelta del D. sarebbe forse piaciuta, sessant’anni prima, al Bembo: il poeta rifiuta infatti di mescolare i diversi elementi linguistici (toscano, sardo, spagnolo) propri della sua formazione e compone la sua opera in una lingua “delle scritture”, non meno “stranya” e aliena dall’uso colto di quanto fosse un’ipotetica lingua sarda “materna”: mai esistita come strumento di unificazione ed espressione culturale e letteraria, non più in uso come lingua dell’amministrazione e degli affari, limitata ormai dunque all’ambito soggettivo del parlato quotidiano.

Proprio negli anni della giovinezza del D., nel 1565, lo Stamento militare sardo aveva infatti richiesto al re di Spagna Filippo II che venissero tradotti in catalano gli antichi statuti comunali di Bosa ed Iglesias “en llengua pisana o italiana” e di Sassari “en llengua genovesa o italiana”; è interessante notare, soprattutto nel caso di Sassari, l’incerta denominazione del linguaggio materno, segno che ormai non soltanto l’italiano veniva percepito confusamente nell’uso scritto non letterario, ma anche uno dei dialetti “storici” sardi, il logudorese parlato a Sassari in cui pare fosse redatto lo statuto in questione.

Fonti e Bibl.: I. Pillito, Mem. tratte dal Regio Archivio di Cagliari risguardanti i governatori e luogotenenti generali dell’isola di Sardegna dal tempo della dominaz. aragonese fino al 1610, Cagliari 1862, pp. 95 s.; V. Prunas Tola, I privilegi di Stamento militare nelle famiglie sarde…, Torino 1933, p. 192; F. Loddo Canepa, Origen del cavallerato y de la nobleza del Reyno de Cerdeña. Manoscritto ined. del sec. XVIII, in Arch. stor. sardo, XXIV (1954), p. 313; P. Martini, Biogr. sarda, II, Cagliari 1838, pp. 6-12; E. Toda y Guell, Bibliografia española de Cerdeña, Madrid 1890, p. 103; B. Croce, La lingua spagnola in Italia. Appunti, Roma 1895, p. 32; V. A. Arullani, Echi di poeti d’Italia in rime e rimatori sardi dal ‘500 ai dì nostri, in Arch. stor. sardo, VI (1910), pp. 315-19; F. Loddo Canepa, Cavalierato e nobiltà in Sardegna, Cagliari 1931, p. 30; M. L. Wagner, La lingua sarda. Storia, spirito, forma, Berna s. d. [1951], p. 258; F. Alziator, Storia della letter. di Sardegna, Bologna 1954, pp. 111-15; J. Arce, España en Cerdeña, Madrid 1960, pp. 143 s., 152; L. Balsamo, La stampa in Sardegna nei sec. XV e XVI, Firenze 1967, pp. 14, 82, 171; N. Cossu, Il volgare in Sardegna, Cagliari 1978, pp. 49 s., 75 s.; E. Sestan, I Sardi in bilico fra Spagna e Italia (sec. XVIXVIII), in Annuario dell’Ist. stor. per l’età moderna e contemp., XXIX-XXX (1977-78), p. 451.

Sullo stesso cognome si veda l’aericolo sui Delitala nella  Nuova Sardegna del 29 marzo 2020 di Mauro Maxia e sul suo stesso sito.

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