Giovanni Miele (1908-1979): breve profilo storico a cura di Angelino Tedde
Il P. Miele era nato a Torre del Greco il 10 maggio 1908 in piena epoca giolittiana, quando secondo gli storici l’Italia fece un balzo in avanti, comprese le regioni meridionali e le isole, Campania compresa.
A 6 anni fece la prima Comunione. A 11 ricevette la Cresima, grazie alle nuove disposizioni di Pio X che favorirono la sommistrazione della prima comunione e della cresima ai fanciulli preadolescenti.
Frequentò le classi elementari a Torre del Greco, scuole portate a 5 anni, salvo l’esame d’ammissione dopo il IV anno per chi avrebbe frequentato i cinque anni del ginnasio.
Il 22 luglio 1922, agl’inizi del biennio rosso, il canonico De Rosa lo affidava alle cure del P. Manna perché ne facesse un ottimo missionario.
Da pochi mesi Ducenta ospitava il primo seminario missionario aperto dal P. Manna per l’Italia meridionale presso cui si poteva accedere per frequentare le classi ginnasiali.
In quegli anni Mussolini con le sue camicie nere, con il consenso dei nazionalisti, del movimento degli ex combattenti, degl’industriali del Nord e degli Agrari del Sud s’impadronì del potere.
Giovanni e, forse gli stessi missionari educatori non si resero conto di questa drammatica svolta antidemocratica. il semianrio di Ducente, immerso in un’oasi di verde, oltre a favorire lo studio, permise ai primi seminaristi di formarsi con impegno alla missione che li attendeva.
A Ducenta, Giovanni trascorse gli anni che vanno dal 1922 al 1927. L’anno precedente era stata costituita la Gioventù Italiana del Littorio, il calendario fascista con le varie celebrazioni e varie leggi che riformarono con la legge Gentile del 1923 anche la scuola. L’oasi di Ducenta indubbiamente impedì l’indottrinamento politico dei seminaristi.
Terminati gli studi del ginnasio, il giovane Miele passò a Monza per frequentare il liceo e lo studio simultaneo della filosofia aristotelico-tomistica, dove sicuramente nello studio della Teodicea affrontò anche le probelamtiche socio-politiche e cominciò certamente a rendersi conto della deriva autoritaria che l’Italia stava assumendo. Concluso il Liceo il giovane Miele intraprese a Milano, probabilmente nella Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, gli studi teologici.Durante la seconda liceo come tutti i cattolici avrà plaudito ai Patti Lateranensi e alla Riconciliazione tra la Patria e la Santa Sede. Da quel momento il regime poté coniare lo slogan Dio, Patria e Famiglia, con ben altro significato rispetto a quello dato dai cattolici, che due anni dopo i Patti cominciarono a rendersi conto del vero volto del fascismo con la chiusura dei giornali democratici, dei settimanali cattolici e della chiusura dei circoli cattolici.
Il 24 settembre 1932 veniva ordinato sacerdote nel duomo di Milano dal cardinale Schuster. L’anno dopo, 20 agosto 1933, Anno Santo del millenario della Redenzione, il missionario Giovanni Miele partiva per la missione di Kengtung in Birmania nell’altopiano dello Shan, parte meridionale, ricco di foreste tropicali per evangelizzare i pagani del luogo isolati sia dai centri d’importanza politica sia dalla marea buddista e di altre religioni orientali.
La Birmania confina con con Bangladesh e India a Ovest, a nord Est con la Cina a Est con la Thailandia e col Laos, si estende per 678 chilometri quadrati, il doppio dell’Italia. E’ attraversata dal Tropico del Cancro. Vi si gettano gli estremi contrafforti dell’Himalaya.
Dopo un anno come coadiutore a Monglin, fu messo capo del distretto di Mongpok che curò per 23 anni, dal 1934 al 1956, con una sola parentesi di pochi mesi di riposo in Italia.
La residenza del P. Miele abitualmente era quella di Mongpok, di appena 100 anime tutte cristiane. Qui il padre aveva un centro attivo, consistente in un orfanotrofio di 40 ragazzi e 20 fanciulle, una scuola elementare con 5 classi che raccoglieva gli alunni dei vari villaggi vicini, una cappella rudimentale. Ma il distretto comprendeva 17 villaggi con un numero complessivo di 1300 cristiani, che il padre visitava quattro o cinque volte l’anno: si può quindi dire che la maggior parte del tempo egli era fuori casa, il che comportava un disagio enorme sia per la durezza dei viaggi sia per il vitto e il dormire. Per spedire una lettera doveva fare sei giorni di cammino per recarsi all’ufficio postale distante 150 chilometri. Ma il P. Miele, se parlava poco con gli uomini, scriveva ancora di meno.
Stando tanti anni da solo sui monti cariani era diventato come lui stesso si definiva un “uomo selvatico”. Le poche notizie del lavoro missionario del P. Miele si possono ricavare dall’intervista che il P. Germani gli fece quando il 20 novembre del 1953 rimpatriò la prima volta e che è riportata su questa intervista nel numero di gennaio 1954 (pp. 10-13): il P. Miele non amava parlare di sé.
Purtroppo ancora in giovane età (48 anni), dopo 23 anni di apostolato, fu costretto a rimpatriare definitivamente (7-6-1956), a causa della malaria terzana che lo affliggeva con febbroni e vomiti frequenti.
In Italia però prestò volentieri la sua opera, che fu di grande utilità per l’Istituto e le stesse missioni. Infatti, dall’agosto 1956 fino all’agosto 1962 fu rettore ad Aversa, dove studiavano i teologi che poi si trasferirono a Gaeta, e i nostri alunni di liceo; e poi dal settembre 1962 fu rettore a Ducenta, ma solo per 2 anni, giacché per motivo di salute non ce la faceva a condurre la comunità e diede le dimissioni: era un uomo umile e sincero. Aveva una particolare inclinazione alla pittura e amava riprodurre soprattutto paesaggi del terra birmana.
Nel 1968 accettò volentieri la proposta di andare all’isola di Ventotene come parroco perché l’arcivescovo di Gaeta, non avendo alcun sacerdote disponibile, si era rivolto all’Istituto. E a Ventotene il suo unico rammarico era quello di non potersi confessare con quella frequenza con cui era solito fare. Rimase a Ventotene sette anni, amato da tutti. Per i primi quattro anni non si prese un solo giorno di vacanza. E persone beneficò senza che nessuno se ne accorgesse. Egli non amava la pubblicità. Aveva quasi paura di affrontare il pubblico e per questo gli pesava la stessa predicazione; ma con gli alunni se la intendeva bene e ci teneva a celebrare lui stesso la Messa festiva della comunità e a dettare la meditazione che arricchiva con episodi di esperienza personale tanto piacevoli ed efficaci per il giovane uditorio.
D’animo delicato e quasi scrupoloso, la sua apertura di spirito non era un dato spontaneo, ma frutto di superamento di sé, di dedizione.
Per lui il Vangelo era il libro della vita eterna, verso cui corrono le innumerevoli vie del pellegrinaggio terreno dell’uomo e ciascuno di noi cammina su ognuna di esse: lui il P. Miele, aveva scelto la via della testimonianza della propria vita.
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