” E allora ti dirò ocone.” di Sarah Savioli
“Oh, ma guarda, il sette bello in tavola. C’ho proprio il sette di coppe, quindi me lo prendo io.”
“Frigròbb CULfhieeprm CUL djcorhovq CUL!”
“Ettore, non essere volgare.”
“Oca!”
“E allora io ti dirò ocone.”
Mentre nel pomeriggio studiavo nella stanza dove c’era una vecchia scrivania, i miei nonni facevano la loro partitina a carte. E litigavano. La partita si teneva sempre alla stessa ora da cinquant’anni. La litigata pure.
Dopo un certo numero di “difdg CUL!”, mia nonna diceva “Ma Ettore!”, mio nonno usciva sbattendo la porta, andava a bere un bianchino al bar con i suoi amici, poi tornava a cena e tutto era passato.
Per forza tutto era passato. Perché mia nonna vinceva sempre.
Era dotata di una sorte incredibilmente propizia nell’assegnazione delle carte, sorte che lei accoglieva sorridente e utilizzava per piallare mio nonno come non ci fosse un domani. Scopa, tresette, briscola, scala quaranta. Niente, in quella casa c’era una vincitrice e un irrimediabile perdente.
“Fdghdvh CUL!”
Io li sentivo mentre fuori dalla finestra, giù nel prato del loro giardino, delle bandierine colorate si muovevano lentamente fra l’erba. Erano quelle che mio nonno aveva fissato a dei bastoncini. I bastoncini poi li aveva appiccicati a delle ventose e le ventose le aveva incollate con il bostik ai gusci delle tartarughe di mia nonna. Una volta che lui stava tosando il prato, non vedendola, ne aveva ferita gravemente una. …aveva pianto per giorni, mio nonno. Perché lui amava tutti gli animali… cani, gatti, mucche, pesci, mosche. Tutti indistintamente, anche le tartarughe minchione che non si spostavano quando passava il tagliaerba.
“Ettore, mangia la marmellata di prugne.”
“Non mi piace.”
“Ettore fa lo stesso, ne ho fatto 48 vasetti da un chilo. Qualcuno li deve mangiare.”
“Oca, mangiala te!”
“Ettore, mangia che le prugne fanno bene all’intestino.”
“Fperopivm SANT”
“Ettore, non sbriciolare. Ettore, cosa fai? Non starai mica guardando uno spettacolo violento, vero?”
“Gdopormbssdf OCA!”
“Maleducato. Sei proprio un maleducato, sai?”
Mio nonno guardava la tv tutto rincagnato in camera, seduto sul bordo del letto per non stropicciare le lenzuola e la camicia inamidata. Portava la cravatta sempre, rappresentava per lui quel concetto di decoro tipico delle persone che sono sempre state poverissime e in piccole cose riconoscono il rispetto per gli altri e per se stessi. E teneva anche la giacca, se poteva. Anche in estate. “Vè se son bello, tata” mi diceva. Guardava la tv in un televisore piccolo piccolo, di quelli con l’antennina da girare per prendere il segnale. Perché mia nonna in sala stava comoda sul divano di fronte al televisorone a guardare i “tolcsiò”. E lui invece guardava più che altro i cartoni animati. Adorava Tom e Jerry, Silvestro e Titti, ma più di tutti amava Willy il cojote. Rideva… Poteva averli visti mille volte e non contava. Rideva, mio nonno.
“Ettore, lo hai preso l’antibiotico?”
“Nonna, ma come mai? Il nonno è malato e non me lo avete detto?”
“No, non è malato. E’ che ce li abbiamo in casa e poi scadono.”
Erano strambi i miei nonni…
Poi su di loro arrivò un destino che li massacrò spezzando loro un osso alla volta, strappando pezzi di anima in una lenta e crudele tortura di una gratuità che a distanza di vent’anni faccio ancora fatica a gestire…
Senza poter fare niente, li ho visti accartocciarsi, condannati ancora più che a una sofferenza propria, a vedersi soffrire l’un l’altro. E soffrire… e soffrire.
“Ettore…”
“Amore… amore mio…”
Matteo ora guarda Willy il cojote e ride. Ride come un matto, con le guance rosse e gli occhi luminosi.
“Mimi, guarda che scemo! Uh, che male si fa!”
Ride Matteo, mio figlio.
Lo guardo e mi sembra di vedere mio nonno seduto sulla sedia lì di fianco a lui.
Ridono insieme, quei due bislacchi figuri così somiglianti. E io di questa somiglianza me ne accorgo solo ora…
Svanisce subito mio nonno, ma non importa.
Non me lo ricordavo più sorridente così…
E d’un tratto sento nel naso il profumo della colonia di mia nonna, non più come sempre quando le penso, l’odore del sangue e dell’ospedale.
“Matteo, sai che anche tuo bisnonno Ettore amava tanto Willy e si divertiva come te?”
“Mimi, mio bisnonno Ettore? Ma chi era? Non me ne hai mai parlato.”
“No, né di lui né di tua bisnonna Lucia. Ma ora vieni che ti racconto chi erano. Erano un po’ matti sai?”
“Davvero? E cosa facevano?”
“Il nonno per esempio attaccava le bandierine sulle tartarughe.”
“Ma bello, così non si pestano quando sono in mezzo all’erba!”
“Esatto, e la nonna faceva la marmellata di prugne.”
“Buona?”
“No, faceva schifo. Ma il nonno Ettore la mangiava lo stesso…”