Sciabolate metaforiche tra studiosi a cura di Angelino Tedde
Seguire la serie di articoli sulla storia e l’origine dei cognomi apparsi su La Nuova Sardegna a cura del prof. Mauro Maxia è appassionante. In questo caso alle tesi del prof. Mauro Maxia, sul cognome Maninchedda, si contrappone il prof. on. Maninchedda e tanto per chiudere la polemica getta la pietra tombale il prof. Massimo Pittau. A seguire queste polemiche o discussioni c’è sempre da apprendere per chi non è del mestiere.
Intervento dell’on. prof. Paolo Maninchedda
Punto da acuto interesse circa l’origine del mio cognome, che è dottamente lumeggiata in un intervento a firma di Mauro Maxia – che si muove sulla scia di Massimo Pittau – in un articolo apparso nella giornata del 2 febbraio. Non dimentico, infatti, di essere un filologo romanzo, per cui non posso nascondere una certa perplessità riguardo a ciò che ho letto. Intervengo, dunque, per amore del dibattito scientifico.
Tralasciando alcuni aspetti marginali dell’ipotesi di Maxia (ad es.: rintraccia già per il 1600 una forma Maninquedda, che è una scrittura iberica per Maninchedda, e poi asserisce che la forma attuale del cognome risale solo al 1800), il succo mi pare questo: si tratterebbe di un derivato di màniga“manica” e rappresenterebbe un originario soprannome che porta(va) il significato di “parte del telaio che entra inferiormente dietro lo stipite destro”, oppure quello di “manovella” o “piccolo manico, maniglietta”.
Mi domando come un individuo potesse ricevere il soprannome da una parte del telaio che ‘entra inferiormente dietro’ (e già qui mi sento molto a disagio) lo stipite destro: forse perché si era specializzato nella fabbricazione di quel particolare arnese, o per una sua peculiare rigidità articolare (“rigido come un pezzo di telaio”)? Oppure, accogliendo l’ipotesi di un significato di partenza di “manovella” o “piccolo manico, maniglietta”, dovremmo pensare che l’individuo originariamente soprannominato Maninchedda o sim. si dilettasse di girare manovelle? O ancora, in questa pantagurelica ridda di ipotesi, si deve pensare a una manichetta antincendio ante litteram, sicché avrei all’origine del mio cognome un pompiere?
A me pare invece assai più verosimile un’altra ipotesi, che non si faticherebbe a sposare scorrendo un buon dizionario della lingua sarda (o, meglio, un’opera sulla formazione delle parole in sardo): maninchedda, che è variante di manighedda (con una n non etimologica non rara in sardo) è un derivato da manu “mano” (così come conchighedda o conchixedda da conca, oppure canigheddu da cane) e vale “manina”. L’origine soprannominale del mio cognome si spiegherebbe facilmente in relazione a un difetto fisico del soprannominato. Alle volte, la spiegazione più semplice è, appunto, a portata di mano.
Replica di prof. Mauro Maxia
L’onomastica è una materia interdisciplinare che cerca di avvicinarsi alla verità (nessuno ce l’ha in tasca, infatti) studiando le fonti scritte ma non solo. Il cognome Maninchedda è citato dal 1100 con la forma Manikella, Manicella (Condaghe di Trullas 36; 115; 290) che durante il 1300 passò a Maniceda (CDS, doc. 150).
Maninchedda fraintende che sul piano grafico la forma odierna del suo cognome, pur vigendo dal 1600 con la grafia iberica Maninquedda, è attestata dal 1800. Se così non fosse, ancor oggi avremmo Maninquedda così come Sequi per Sechi, Falqui per Falchi ecc.
Come dimostrano le fonti, Manikella era un nome femminile. Questo induce a ritenerlo un diminutivo di Manica che è documentato nello stesso periodo (Condaghe di Bonarcado, 172). L’origine risale al latino manica che passando in sardo assume il significato sia di ‘manica’ sia di ‘manico’. Da manu ‘mano’ deriva invece Manos, Manus che appare solo nel 1388 (cioè due secoli dopo Manikella) e dal quale pare derivare Manedda (Sanluri 1660).
Oggi manighedda e maninchedda significano anche ‘piccola mano’ così come domighedda significa ‘piccola casa’. Ma nei buoni dizionari prevale ‘piccola manica, piccolo manico’, ‘parte del telaio’. Espa registra soltanto quest’ultima definizione. Wagner cita manighedda col solo significato di ‘stipite del telaio’ (DES II, 66).
Non basta essere filologi. Maninchedda, per stare sul pezzo, non sa spiegarsi che il toponimo Patata (Condaghe di Salvennor, 156), già chiarito da Virgilio Tetti, significa ‘piccolo altipiano’ come sanno bene i pastori nuoresi (vedi Sas Patatas di Lodè e Lula). Quanto ai dizionari di sardo, nel recente Manuale di Linguistica Sarda, edito da De Gruyter a Berlino, c’è un mio saggio in cui sono descritti tutti i dizionari, tra i quali ogni giorno consulto i migliori.
Conclusione di prof. Massimo Pittau
Potere e scienza
L’on. Paolo Maninchedda è nel Consiglio Regionale da almeno una quindicina d’anni e quindi logicamente ha fatto la sua regolare fortuna economica ed ha risolto nel migliore dei modi il problema della sua pensione. Però ha pure registrato una logica contropartita: ha chiuso in ampia misura la porta della sua disciplina di docente universitario, la ‘Filologia Romanza’. In questo quindicennio sulla sua disciplina ha scritto soltanto piccoli e poco significativi saggi. Però di tanto in tanto enuncia lapalissiani elogi del grande linguista tedesco Max Leopold Wagner, autore – fra l’altro – del bellissimo «Dizionario Etimologico Sardo», ma insieme mostra di ignorare che un docente di ‘Linguistica Sarda’ ha pubblicato un suo ‘Nuovo Vocabolario di Lingua Sarda – fraseologico ed etimologico’ (NVLS, Selargius 2014) che presenta 7 mila lemmi più di quello del Wagner; che si è interessato a fondo di antroponomastica e di toponomastica della Sardegna, campi quasi del tutto trascurati dal Wagner; ormai è il linguista che ha scritto sulla lingua sarda più di tutti gli altri linguisti presi assieme.- Il Maninchedda poi tratta con un “tono sguaiato e spocchioso” un suo collega Filologo, prof. Mauro Maxia, il quale è stato vincitore a pieni voti di un concorso nazionale della cui commissione faceva parte anche un membro europeo della celebre università tedesca di Heidelberg ed i cui scritti, inoltre, vengono regolarmente accolti e pubblicati da prestigiose riviste europee. Ma era ovvio che avvenisse così: chi segue la via del potere, è logico che finisca col disertare la via della scienza.
I chiarissimi professori
Chiedo scusa ai miei lettori perché so di annoiarli, ma non si deve mai tralasciare di mettere i puntini sulle /i/. Il chiarissimo professore Paolo Maninchedda ha anche fondato una rivista intitolata “Bollettino di Studi Sardi”, della quale ha nominato pure il direttore, l’altro chiarissimo professore Giovanni Lupinu. Al quale però ha imposto di non accettare miei scritti e di neppure nominarmi mai.
E sono stati molto onesti il prof. Manichedda e il prof. Lupinu nei miei riguardi, dato che io sono il linguista che ha scritto sulla lingua sarda più di tutti gli altri presi assieme, molto più dello stesso grande Max Leopold Wagner, mio amico personale….
Massimo Pittau Professore Emerito di Linguistica Sarda.