Eleonora Ortu: “Le ragazze del Rifugio Gesù Bambino si raccontano” di Ange de Clermont
Eleonora Ortu, Le Ragazze del Rifugio Gesù Bambino si raccontano, Edes, Sassari 2017 pp. 265.
In questo scritto di memoria e di storia autobiografica, suddiviso in sei parti, l’autrice, insieme alle compagne, che prendono la parola nella parte sesta, racconta la vita vissuta in collegio da un anno e mezzo fino al suo ventitreesimo compleanno, quando con rammarico fu costretta a lasciare quella che era stata la sua casa e la sua grande e variegata famiglia con le suore educatrici, delle quali una si comportò con lei come una vera madre e le altre come zie affettuose(1960-1983).
Eleonora Ortu ricorda le sue compagne-sorelle con le quali ha trascorso i momenti più belli della sua triplice infanzia dall’accoglienza ai nove anni, la sua vivacissima adolescenza, contrassegnata da un tentativo, bloccato in sul nascere, di scappare con alcune compagne verso il Continente; i sei anni della punizione da parte di una suora direttrice troppo severa, diversamente dalle altre, amorevoli e affettuose; il periodo scolastico pubblico e il conseguimento del diploma d’infermiera professionale.
Non mancano le relazioni con gl’insegnanti, con le compagne di scuola e quelle tempestose con la madre che, finalmente, a cinque anni dall’abbandono, la riconosce dandole il suo cognome.
Il libro non è affatto una geremiade o un lungo piagnisteo o una furia cieca con accuse feroci contro suore e amministratrici,[come può esser successo a qualche compagna dalla sensibilità patologica e super protetta dalla nobildonna più potente della città], ma un racconto forte e scanzonato, a tratti brioso, con la descrizione di una schiera di oltre cento ragazze di varia età che vissero allegramente tra l’asilo e la scuola, i giochi nel vasto cortile, la squadra di pallacanestro e i diversi interessi e con l’allevamento di gatti e galline. Non è mancata nemmeno la formazione religiosa da parte delle suore e dei Preti della Missione, confessori e predicatori domenicali.
Sono descritte tutte le monellerie dell’infanzia e dell’adolescenza oppure le litigate e le zuffe per l’esecuzione dei lavori della cucina.
In chiara luce anche le visite proficue nella dispensa e la distribuzione della mercanzia rubata, come del resto delle uova tolte al pollaio, per farle gustare alle compagne. Esilarante anche qualche scherzo fatto a qualche suora ingenua.
Nell’ingenuità queste numerose ragazze trascorrono la vita di collegio di un solo genere, quello femminile, del tutto ignorato il genere maschile, scoperto solo a causa di alcuni personaggi psichiatrici esibizionisti che si aggiravano intorno al vasto istituto o in seguito a qualche ricovero in ospedale con qualche bambino esterno.
Le numerosissime fotografie rivelano un mondo sereno, allegro e molto movimentato.
Il momento più gioioso è la stagione estiva del mare di Castelsardo, delle razzie nelle vigne, complice la suora educatrice, che, vista l’improduttività della campagna del collegio, le lascia libere di visitare le vigne e i frutteti contigui onde alleggerire il lavoro della vendemmia ai proprietari ignari, che tutto potevano immaginare, ma non certo che le loro vigne e i loro frutteti fossero oggetto di razzia da parte delle ragazze del Rifugio, sempre educate e composte, salvo eccezioni.
Intelligenze varie, acute e operose con qualche ingenua come in ogni aggregazione umana. Che dire poi delle feste di Natale e di Pasqua e le recite carnevalesche!
Quale pedagogia per educare e formare queste ragazze? Quella espressa nello statuto del collegio: formare buone madri di famiglia e oneste lavoratrici, ma anche scrupolose professioniste parasanitarie. La stessa pedagogia seguita nelle famiglie dove agli ammonimenti seguivano le punizioni corporali, i castighi, tra cui quello di andare a letto senza cena, vanificato del resto dalla solidarietà delle compagne che nascostamente riempivano di pane il letto della ragazza punita.
Esaurita la prima edizione del libro, fatto circolare tra compagne e cerchia amicale, ora s’intende presentarlo al vasto pubblico italiano con l’auspicio che questo esempio di “ego documents” possa piacere a tanti lettori che vogliono conoscere anche la vita collegiale, mai sostitutiva della famiglia bene assortita.
San Vincenzo de Paoli e Santa Luisa de Marillac, confondatori delle “Ragazze della Carità”, dovevano far fronte agli abbandoni, all’orfanezza, alle tragedie familiari in cui a pagare sono stati sempre i piccoli e spesso la povertà generalizzata non permetteva agevoli adozioni presso altre famiglie regolari.