Recensione di Giuseppe Rabitti al romanzo PORTA DI SPERANZA di Maria Cristina Manca
Maria Cristina Manca, Porta di speranza, Edizioni grafica del Parteolla.
PORTA DI SPERANZA è a mio avviso il romanzo che ogni uomo dovrebbe leggere. Maria Cristina Manca in questo suo romanzo analizza con una maieutica da vera psicologa gli stati d’animo che le donne presentano in varie occasioni quando sono chiamate in causa. La figura di Carbì non solo evidenzia la sua natura femminile, ma è la sua vita interiore che avvince il lettore.
C’è un richiamo alla nazione Russa, dove molti tesori umani sono presenti ma rimangono nascosti senza una persona che vada a metterli in evidenza. Padre Alberto è la testimonianza di questo.
Il romanzo termina con l’augurio che Rebecca formula ogni sera: «Figli miei, vi do la mia benedizione. Gesù è vivo, ed è presente qui ed ora. Innamorato di noi».
Alcuni passi del romanzo:
“Ho ascoltato tanto nella mia vita, ho ascoltato tante voci, tanti cuori, tante anime; ho ascoltato soprattutto, e con tremore, le parole e i silenzi dei miei figli; i loro dolori anche quando me li nascondevano, le loro gioie anche quando non me ne facevano parte.
Sì, ho sempre ascoltato con amore ed avidità la voce della vita. Ma adesso la sento sempre meno, c’è minore intensità di suono in essa, forse perché nella sua voce si è inserito il sussurrio sibilante della morte.
La morte ora bussa possente negli eventi, finanche nelle rughe del mio volto un tempo liscio e luminoso di gioventù, la quale allora pareva eterna.
Eh sì, ho ascoltato tanto nella mia vita, ho ascoltato tanti, ho ascoltato Dio.
Così si disse Rebecca.”
© (pagina 56)
© I figli! Ecco la risposta! – esclamò Padre Alberto. Lui era padre, doveva rapportarsi con dei figli. I suoi anni reclamavano il diritto ad oziare, di starsene comodo, di vivere dormicchiando, di evitare ogni possibile complicanza al proprio quieto vivere, di curare con attenzione morbosa la propria salute, di godersi l’affetto di chi lo stimava e l’ossequio riverente di chiunque lo incontrasse. Ma lui era padre. Padre Alberto. Non poteva oziare mentre i suoi figli avevano bisogno del suo lavoro, non poteva starsene comodo mentre i figli non avevano un luogo dove posare il capo, non poteva dormire mentre i figli erano persi nella tempesta, non poteva evitare le complicanze dell’amore quando i figli lo bramavano, non poteva prendersi cura idolatrica del proprio ego mentre i figli avevano bisogno urgente di essere curati nelle loro piaghe purulente o sanguinanti, non poteva godersi l’affetto e l’ossequio altrui mentre i suoi figli morivano per mancanza d’affetto e non avevano chi li stimasse. Lui era padre, aveva un solo diritto, amare i suoi figli. Dare loro la propria vita.
Stracciò i foglietti d’appunti che si era portato dall’Italia, si alzò dalla sedia, prese il rosario, s’inginocchiò per terra in direzione della chiesa, posò un attimo la fronte sul freddo pavimento, invocò lo Spirito Santo, iniziò una lotta impari contro la propria carne che reclamava il diritto di rinnegare la propria paternità e starsene comoda nella tiepidezza della morte affettiva.
© (p. 66)
Lourdes. La grotta. La grotta! – risuonò forte nel cuore di Carbì. La grotta! Qui la Madonna era apparsa. La figlia d’Israele dal cui ventre benedetto era nato il Messia atteso da secoli. La Mamma di Gesù. La Madre di Dio. Mama, fiza e isposa de su Segnore. L’unica persona al mondo concepita senza peccato originale. L’Immacolata Concezione. Madre nostra.
Tutti avevano chiuso istintivamente gli ombrelli.
Carbì aveva posato la fronte e le mani, doloranti per il gelo, sopra la parete. Dai suoi occhi uscirono abbondanti lacrime.
Sarebbe voluta restare lì per sempre. Era come se stesse prendendo forza da quelle rocce, come se quelle pietre la stessero trasformando. Ovviamente non erano le pietre ma la presenza di Colei che era arrivata dal regno del Padre. Quella presenza dava forza, trasformava tutto in bellezza, in fecondità. «Mamma! Mamma! Mammina santa!».
© (p. 45)