“Così prendo fiato e torno a più miti consigli” di Sarah Savioli
La settimana scorsa, baciata dalla fortuna di un guasto, sono rimasta senza internet.
La tele non l’abbiamo da anni, così vedevo qualcosa con il cellulare. Proprio il minimo indispensabile.
Una meraviglia incantata di inconsapevolezza mediatica.
In questo isolamento ovattato, mi beavo di un silenzio nel quale potevo illudermi che il mondo fosse esattamente come volevo che fosse.
In questo boschetto da favola pieno di fiori profumati, mi vedevo come Biancaneve che cantava amabilmente circondata da cerbiatti, morbide lepri e usignoli.
E invece no, guasto riparato in solo otto giorni…
Una volta tornata a vedere cosa succedeva, è tornata al galoppo la voglia di spaccare il modem a martellate e isolarmi su un’isola a fare il guardiano del faro. Per contattarmi, cortesemente, utilizzate un piccione viaggiatore.
Macchè. Non si può, non posso.
In più è inutile negarlo: non ho nulla di Biancaneve.
Sono tendente di più al Secco, l’amico di Zerocalcare.
Che, per capirci, a caldo la soluzione di tutto sarebbe “Pezzi de mmmerda, finisco de preparà le molotoff e arrivo a spaccarve la testa.”
Poi ragiono, so che è sbagliato, guardo i due poster che ho in studio con Einstein e Gandhi. Loro mi fissano e in coro mi dicono “minchiona”.
Così prendo fiato e torno a più miti consigli.
Il tutto in un brodo di riflessioni travagliate, animo malmostoso e senso di impotenza.
Ma nelle giornate fatte di furiose arrabbiature, depressione con danza di invocazione per l’asteroide risolutivo, ecco che in quell’asfalto bollente spuntano dei fiori.
Fiori che fanno esplodere di colore tutto quel nero di pece e brillano ancora più intensamente, sfacciati, coraggiosamente disperati e delicatamente poderosi.
E sono un medico che fa bene il suo mestiere, che ti fa sentire un essere umano e non la sua malattia, ti rende protagonista di un percorso di cura nel quale il come tu vedi la vita e la tua dignità restano al centro e ti fa sentire bene perché ha visto il cuore del tuo cuore, ha saputo disporsi lì e da lì parlarti.
E una commessa che chissà da quante ore è lì a farsi pungere le orecchie dal pì pì pì pì del lettore della cassa, incassa più facce di bronzo che la trattano come uno straccio che contanti eppure ti sorride, ha per tutti una parola gentile e una piccola attenzione.
E mentre sei ferma al semaforo, un ragazzino che passa in skate sul marciapiede, vede una lattina per terra, si ferma, la raccoglie e la butta nel cestino.
Perché la sostanza è che nessuno è inutile.
Nessuna azione è inutile.
Ogni piccola cosa che facciamo è un atto politico dirompente e decisivo, non c’è istante nel quale non veniamo chiamati a dimostrare che siamo noi i primi responsabili del mantenimento e della cura della bellezza nel mondo.
Così piantiamola di piagnucolare. Alziamoci alla mattina, prendiamo un bel respiro forte, così forte da sentire che la pelle ci si attacca fino all’anima.
E portiamo in giro quella pellaccia.
Con quella pellaccia ricordiamoci e ricordiamo che non c’è nulla di perso.
Con quella pellaccia cominciamo con ogni nostro piccolo gesto a costruire e ricostruire.