Manlio Brigaglia secondo lo storico Francesco Obinu
Quando, nel 2001, concluse il suo trentennale impegno d’insegnamento universitario, Manlio Brigaglia fu omaggiato dai colleghi dell’ateneo sassarese con un volume di studi in onore e dalla Presidenza della Repubblica con la medaglia d’oro di benemerito della cultura e dell’arte (lui, in modo autoironico, di questa onorificenza diceva: “La danno a tutti”). Se il “Liber amicorum” ha significato l’apprezzamento accademico per il lavoro dello stimato storico contemporaneista, la medaglia ha premiato l’intellettuale presente nel mondo culturale sardo per più di cinquant’anni. Intellettuale di grande rilievo, sì, ma non rinchiuso nella “torre d’avorio”, lui che è stato un conferenziere molto disponibile ed una firma apprezzata dell’Unione Sarda e della Nuova Sardegna, anche in contatto epistolare con i lettori. Bibliofilo e bibliografo (forse in molti conoscono il suo “Tutti i libri della Sardegna”), è stato un instancabile ideatore e curatore di iniziative editoriali, e l’autore o il co-autore di numerosi articoli e volumi, così tanti che nel 1999 è uscita una bibliografia dei suoi scritti. Brigaglia ha focalizzato la sua attenzione sui molteplici aspetti della storia e della “viva” vita isolana: la questione sarda e le inchieste parlamentari sui gravi problemi economici e sociali, l’antifascismo, la riforma agraria, la “rinascita”, il banditismo, l’autonomia regionale, la poesia in lingua sarda e la critica letteraria, la libertà di stampa e il diritto di informazione… E poi gli studi sulle vicende storiche e culturali della sua Tempio, di Alghero catalana, Sassari, Ozieri, Orgosolo, Carloforte, La Maddalena e, ancora, sulle grandi figure come Lamarmora, Deffenu, Lussu, Gramsci, Siotto Pintor, Calvia, Dessy… Collaborò e animò gruppi di lavoro e comitati redazionali, come nel caso della rivista “Ichnusa”, dove fu accanto ad Antonio Pigliaru e Michelangelo Pira. Tanti sono stati gli eventi culturali che lo videro protagonista o tra i protagonisti (anche il Museo della Brigata Sassari, istituito in città nel 1992, gli deve più che qualcosa), ma elencarli tutti richiederebbe uno spazio tale da non poter essere concesso alle contenute ambizioni di questo breve articolo.
A dirla poi tutta, la storia della Sardegna Manlio Brigaglia non l’ha soltanto scritta, perché almeno un pezzetto di essa contribuì a farla. Da uomo dietro le quinte, durante i trascorsi anni Sessanta e Settanta agevolò lo sviluppo di una vicenda della politica regionale non proprio trascurabile, facendo quasi da “spin doctor” ad un gruppo di giovani democristiani di Sassari e provincia che diventarono famosi con l’appellativo di “Giovani turchi”: Pietro Soddu, Piero Are, Nino Giagu De Martini, Francesco Cossiga, Pietro Pala e Paolo Dettori, cugino di Brigaglia, per citare i più noti. Il brillante giovane Brigaglia, tanto brillante da laurearsi in Lettere a Cagliari a soli diciannove anni, faceva proprio al caso del lancio politico di suo cugino e del gruppo, che, vincendo nel segno della “rivoluzione bianca” il congresso provinciale del 1956, aveva letteralmente strappato il controllo della Dc sassarese dalle mani di Nino Campus, parente e, fin lì, favorito di Antonio Segni. Vinte poi anche le elezioni provinciali, per i “turchi” si trattava, a quel punto, di conquistare la Regione attraverso le elezioni del giugno 1965. Per farlo si doveva neutralizzare la forza, ancora consistente, che i “vecchi” democristiani (espressi soprattutto dal comitato provinciale cagliaritano) continuavano a detenere nel comitato regionale della Dc (e quindi nel Consiglio e nella Giunta regionale). Nel 1963, in vista di questo ambizioso traguardo, un certo Luciano Vinci (nome sotto cui si nascondeva, oggi segreto di Pulcinella, Brigaglia) scrisse il volumetto “20 anni di politica in Sardegna”. In esso l’autore narrava la ripresa dell’attività politica nell’isola dopo la caduta del regime fascista, inserendovi anche notizie sulla formazione del gruppo giovanile democristiano e sui suoi componenti, dei quali si rimarcava in modo particolare l’alta statura “morale”, che veniva loro da una solida formazione cattolica e che essi riversavano nell’impegno politico avvicinandosi fisicamente alle persone e ascoltandone problemi, esigenze e speranze. L’intento era quello di mettere in risalto il ruolo decisivo avuto da Dettori e compagni nello svecchiamento e nella “moralizzazione” del costume politico sassarese, che dopo il ’43 era rimasto fermo al modello notabilare e clientelare d’età giolittiana e prefascista, così “lontano” e scarsamente attento rispetto ai problemi concreti delle persone. All’insegna dello slogan “usciamo dall’immobilismo”, i “turchi”, che già avevano innervato l’amministrazione provinciale sassarese, puntavano ora al rilancio dell’istituto autonomistico affinché esso non fosse più un mero “espediente amministrativo”, come scrisse Cossiga nel ’58 su “Il Democratico” (il giornale del gruppo), ma divenisse lo strumento per la crescita della società sarda. La forza moralizzatrice doveva essere portata dentro la pratica politica del più grande partito italiano, se si voleva assolvere finalmente al compito morale, prima ancora che politico, di liberare l’isola dalla sua secolare arrettratezza. Ciò poteva essere fatto (questo voleva essere il messaggio finale del volumetto) rinnovando e allargando alla dimensione regionale la fiducia degli elettori nell’opera dei Giovani turchi.
Quanto influì “20 anni di politica in Sardegna” sull’esito elettorale del 1965? Questo non si può sapere. È un fatto, però, che i “turchi” fecero il pieno dei voti con Giagu e Dettori, i quali in provincia di Sassari surclassarono il “notabile” Nino Costa, mentre in ambito regionale furono superati soltanto da Efisio Corrias, presidente uscente della Giunta. La Dc sarda era ormai praticamente nelle loro mani (potevano vantare anche il parlamentare Cossiga, già da qualche anno deputato). Giagu entrò nel nuovo esecutivo insieme a Soddu e alcuni mesi dopo, dimessosi Corrias, fu Dettori a prendere il timone della Regione. Poi venne il 1969, l’anno della spaccatura interna al gruppo dei Giovani turchi, che portò Dettori e Giagu in contrapposizione fra loro. Brigaglia continuò a spalleggiare l’attività politica del cugino, anche come condirettore, insieme a Soddu (ed altri), del periodico “Autonomia cronache” (posso affermarlo in forza delle confidenze fattemi dallo stesso Brigaglia, che nei primi anni Novanta fu il relatore della mia tesi di laurea sulla “rivoluzione bianca”). E dopo la scomparsa di Dettori, nel 1975, Brigaglia, ancora con Soddu, ne mantenne vivo il ricordo attraverso la pubblicazione degli scritti politici e la fondazione del Centro Studi Autonomistici “Paolo Dettori”.
Francesco Obinu