“Mentre la giornata mi sembra molto meno grigia…” di Sarah Savioli
Quale arcano mistero si nasconde dietro alle botte di luko ?! Mah!
Il laboratorio analisi stranamente non è pieno.
Anzi, davanti a me ho solo tre persone.
Una già in accettazione.
Una donna in tuta da ginnastica e con un bambino di due-tre anni con gli occhi lucidi dalla febbre in braccio.
Una signora altera con un buon restauro addosso, ma senza dubbio con un tempo di pensione partito già da qualche anno.
La donna con il bambino si volta e dice “Uh, signora, mi perdoni! Non mi ero accorta che per l’accettazione ci volesse il numero…”
La signora la guarda con una piega della bocca simile a un improvviso taglio in una stoffa tesa e con un colpo di tosse, forse un tentativo mal riuscito di risata sdegnosa, semplicemente le passa davanti.
La donna con il bimbo si allunga a prendere il biglietto dalla macchinetta che non aveva visto, ma la fermo e le do il mio. Io vado dopo. C’ero dopo, tra l’altro. Nulla di strano dunque.
Ma lei mi guarda e mi ringrazia per una cosa non solo normale, ma giusta…
Mentre fa l’accettazione il bimbo mi guarda imbambolato con la testolina appoggiata alla spalla della mamma. Mannaggia ai cocchi e mica cocchi della gola…forza picèn, mi sa che scoprirai presto la bellezza della vita moderna infiocchettata da scoperte quali quella degli antibiotici.
Tempo di accettazione della donna e del bimbo: al più un minuto e mezzo.
Quando entro per il prelievo non so dove sia la signora elegante e di fretta.
Forse a bucarla si è sgonfiata con lo stesso rumore di un palloncino scoreggiante per aria…
Forse l’ho rimossa e nel caso ne sarei contenta perché vorrebbe dire che finalmente sto imparando qualcosa.
Ma c’è un infermiere nuovo. Chissà dov’è la solita infermiera gentile…casomai a farsi giustamente i catzi suoi come ogni essere umano ancora di tanto in tanto baciato da un diritto sindacale.
“Signora, le faccio il prelievo. Lei guardi altrove.” mi dice lui.
Ma poi vede il mio braccio e si ferma.
“Sono un abituè, non si preoccupi.” lo rassicuro.
“…è che qua per trovare una vena ancora a posto…potrei farle un po’ male, ecco…”
“Vorrà dire che se farò la brava poi mi darà una caramella.”
Quando esco dalla sala prelievi il laboratorio si è alla fine ben riempito. Ma mentre sto per uscire dalla porta principale mi sento chiamare: mi volto ed è l’infermiere.
Mi sorride e ha in mano un lecca lecca a forma di orsetto ed entrambi scoppiamo a ridere mentre la giornata mi sembra molto meno grigia.
Sorrido ancora con il mio bel premio già scartato mentre mi fermo al supermercato a prendere un panino fresco per Matteo. Che oggi il putto inizia la ginnastica e, da brava mamma sarda, di merenda si va di pane e formaggio così poi si corre forte.
In coda alla cassa con solo un panino in una mano e l’impareggiabile compagnia del mio lecca lecca rosa, aspetto che facciano il conto tre carrelli con il ciuffo arrivati prima di me senza che nessuno dei loro condottieri si sogni nemmeno lontanamente di offrirsi di farmi passare.
Ma va bene così. Cioè non va bene affatto, ma ho ormai un’età nella quale non non mi stupisco più di nulla anche se me ne dispiaccio ancora. Brutta età quella del disincanto con in allegato pure il senso della fregatura.
Ma nel parcheggio vedo uno dei tre carrelli in questione con attaccata una vecchietta che cerca con fatica di caricare la sua enorme spesa nel baule di una panda gialla. Sembra che si spezzi nel tentativo di sollevare una confezione da sei bottiglie di gazzosa.
“Ha bisogno signora?” le chiedo.
Mi rivolge uno guardo arcigno. E capisco che ha paura. Di me.
E per aver paura di una donnina di poco più di uno e cinquanta per quarantatré chili lecca lecca ad orsetto compreso vuol dire doversi sentire davvero molto fragili…
Il tutto nella noncuranza di tutte le altre persone che nel parcheggio non si offrono di darle una mano e vanno via a testa bassa per non guardarsi intorno e così potersi dare l’alibi di non vedere.
La vecchietta mi fa di no con la testa con un piccolo ringhio: probabilmente mentre si fa la sua spesa porta a spasso la sua solitudine e la sua acredine, così prendono aria e si mantengono in salute…
Allora monto in macchina e sospiro.
Sento ancora il sapore dolce del lecca lecca. Buono, sa di arancia fragolosa con sprazzi di limone.
E penso che non è facile decidere di farsi illuminare le giornate da piccoli raggi di sole e non lasciarsi andare a una preventiva sfanculatura liberatoria e globale di questa nostra specie spaventata, vigliacca e rabbiosa.